Esclusivo
Dal Vaticano ai crack bancari, ecco il filo rosso che lega tre scandali costati oltre 6 miliardi ai risparmiatori italiani
Le indagini sul cardinale Angelo Becciu scoperchiano una rete di affaristi e finanzieri che compaiono anche nelle vicende che hanno portato al dissesto di Popolare Vicenza, Popolare Bari e Carige. Il ruolo di Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi, tra fondi lussemburghesi, operazioni nei paradisi fiscali e manovre in Borsa
L’assalto al tesoro del Papa e il crack della Popolare Vicenza, le manovre sulla banca genovese Carige e il dissesto della Popolare di Bari. C’è un filo rosso che collega queste storie in apparenza così lontane tra loro. Tutto si tiene, nelle 500 pagine dell’atto d’accusa dei promotori di giustizia vaticani che ha mandato a processo presunti mandanti ed esecutori di un progetto criminale che ha sistematicamente spogliato le finanze della Santa Sede affidate al cardinale Angelo Becciu, il primo della lista degli imputati. E così, dalle trame della curia romana si arriva alle vicende bancarie che tra il 2015 e il 2019 hanno distrutto i risparmi di almeno duecentomila famiglie. Un buco che in totale può essere stimato in oltre sei miliardi, di cui almeno la metà provocato dal naufragio della Popolare Vicenza.
È una trama complicata, un racconto a metà strada tra il giallo finanziario e la commedia all’italiana. Alla fine, però, nomi, cifre e documenti illuminano un mondo di mezzo dove si incrociano le manovre di faccendieri, tonache, ex ministri, finanzieri e presunti tali.
Partiamo da Gianluigi Torzi, accusato di un’estorsione milionaria ai danni della Santa Sede, che nel 2019 cercava di recuperare il palazzo londinese su cui aveva incautamente investito 100 milioni di dollari quattro anni prima. Negli atti dell’inchiesta vaticana si legge che il 2 luglio 2019 Torzi ha versato poco più di 20 mila euro da un suo conto inglese alla società Kant capital di Girolamo Stabile, un finanziere che ricorre spesso nell’inchiesta giudiziaria sui dissesti della Popolare di Vicenza e della Popolare di Bari.
Nel settembre scorso Stabile è stato arrestato per la bancarotta delle due società Fimco e Maiora controllate dalla famiglia Fusillo a suo tempo generosamente finanziate dall’istituto pugliese. A Vicenza invece troviamo Stabile nel ruolo di dirigente del fondo lussemburghese Optimum in cui la Popolare veneta all’epoca presieduta da Gianni Zonin investì 250 milioni di euro impiegati nell’acquisto di azioni della banca e di altri titoli, compresi i bond emessi proprio da Fimco e Maiora. Alla fine del 2014, quando il castello di carte di Zonin stava per crollare, Stabile si mise in proprio con la neonata Kant capital.
In quel periodo i manager dell’istituto berico facevano letteralmente i salti mortali per puntellare un bilancio sempre più pericolante. Fu allora che si fece avanti anche Raffaele Mincione. Proprio lui, il finanziere con base a Londra tra i principali protagonisti dello scandalo vaticano, accusato, tra l’altro, di truffa e appropriazione indebita. Ebbene, nel gennaio del 2013 la Popolare Vicenza investì 100 milioni di euro nei fondi Athena di Mincione, denaro che, come già nel caso Optimum, ritornò in parte al mittente: fu infatti parte impiegato per comprare azioni della banca finanziatrice.
Un copione simile si è ripetuto anche in Vaticano. È infatti ancora in corso una controversia giudiziaria che vede opposti da una parte lo Ior, la banca della Santa Sede, e dall’altra i gestori di Optimum. Al centro della contesa un investimento di 17 milioni che risale al 2013. Il primo atto di questa complessa vicenda risale però a qualche anno prima, quando Enasarco, l’istituto di previdenza degli agenti di commercio, un colosso con un patrimonio di oltre 7 miliardi di euro, affidò oltre 200 milioni in gestione ad Athena e ad Optimum. Il rapporto con Enasarco si chiude bruscamente nel 2012 con uno strascico di vertenze giudiziarie e a quel punto è il Vaticano a riempire le casse sofferenti delle due scuderie di fondi, che poi, come detto, continueranno a fare corsa parallela anche a Vicenza. Torzi entra in scena in un secondo tempo, quando a novembre 2018 prende il posto di Mincione nella gestione del palazzo londinese di Sloane avenue e diventa socio del Vaticano tramite la società lussemburghese Gutt.
A quell’epoca il nuovo fiduciario della Santa Sede era pressoché sconosciuto alle cronache, ma le indagini sul sistema Becciu hanno alzato il velo su un intreccio impressionante di affari e relazioni. Un intreccio che, ancora una volta, rimanda agli scandali delle tre banche, Popolare Vicenza, Popolare Bari e Carige, naufragate negli anni scorsi. Adesso, dall’atto d’accusa del Vaticano si scopre che Torzi nelle ultime settimane del 2018 aveva cercato di sedersi anche al tavolo dell’istituto pugliese, già in forte crisi. L’operazione prospettata dall’allora amministratore delegato della Popolare, Vicenzo De Bustis prevedeva la sottoscrizione di un prestito obbligazionario dell’istituto di credito da parte di una minuscola società con base a Malta con soli 1.200 euro di capitale, la Muse service, riconducibile proprio a Torzi. L’operazione non è mai andata in porto ed è finita nel gran calderone dell’inchiesta giudiziaria sul crack della Popolare Bari, per decenni di fatto controllata dalla famiglia Jacobini.
La vicenda però conferma che mentre trattava con la Santa Sede per l’acquisto del palazzo londinese, Torzi già si muoveva sul fronte bancario. Nel 2018 appare consolidato anche il rapporto con Mincione che a gennaio di quell’anno viene finanziato per alcune decine di milioni, almeno 26, proprio da Torzi per comprare azioni Carige. Da dove arrivano quei soldi? Le carte vaticane affermano che il denaro era stato fornito dal miliardario Gabriele Volpi, che in quelle settimane stava cercando di scalare l’istituto genovese. I prestiti viaggiano estero su estero, con passaggi di denaro che transitano dai conti di società con base a Panama, Londra e il Lussemburgo. Anche Carige però arriva presto al capolinea. Nel gennaio 2019, con il capitale azzerato e commissariata dalla Bce, la banca è stata salvata con l’intervento dello Stato che per evitare il peggio stanzia fino a 3 miliardi di euro a titolo di garanzia.
Di lì a qualche mese Torzi, fino ad allora omaggiato e riverito nelle sacre stanze, entra in rotta di collisione con Il Vaticano per il controllo del palazzo di Londra e presto finirà nel mirino dell’inchiesta giudiziaria che ha scoperchiato il sistema Becciu. Per effetto delle indagini crolla anche la rete di relazioni ad alto livello tessuta da Torzi. L’advisory board della società londinese Jci capital controllata dal finanziere grondava nomi altisonanti come gli ex ministri berlusconiani Giulio Tremonti e Franco Frattini, Giancarlo Innocenzi Botti, già sottosegretario alle telecomunicazioni in quota Forza Italia tra il 2001 e il 2005, l’ex ambasciatore negli Stati Uniti, Giovanni Castellaneta e il presidente della Croce Rossa italiana, Francesco Rocca. Del gruppo faceva parte anche Patrizio Messina, l’avvocato d’affari, legato anche a Mincione, che in un’immagine agli atti dell’indagine su Becciu appare in compagnia di Torzi, Frattini, Innocenzi Botti e altri commensali durante una cena in un ristorante londinese del giugno 2019. Messina, non indagato nell’inchiesta della Santa Sede, è lo stesso legale che a suo tempo curò numerose importanti operazioni per conto della banca Popolare di Vicenza di Zonin. Ancora una volta tutto si tiene: dalle banche fino allo scandalo vaticano.