Poco prima di lasciare a casa i lavoratori con una mail, il fondo Melrose ha ceduto la controllata Nortek air management per una cifra a nove zeri. I dirigenti si sono spartiti compensi da decine di milioni ciascuno. E neppure un euro verrà investito per rilanciare la fabbrica in Toscana, destinata alla chiusura

La notizia, passata quasi inosservata dalle nostre parti, risale a fine giugno, un paio di settimane prima che l’azienda inglese Gkn comunicasse via mail il licenziamento dei 422 dipendenti della sua fabbrica di Campi Bisenzio, alle porte di Firenze. Il fondo Melrose cede la controllata Nortek air management per 3 miliardi di euro, questo l’annuncio a suo tempo diffuso dai media. L’incasso, però, non verrà investito per rilanciare le attività industriali del gruppo, a cominciare dalla controllata Gkn, che sta per mettere alla porta centinaia di lavoratori anche nello storico stabilimento di Birmingham, in Inghilterra, destinato alla chiusura al pari di quello toscano. I proventi dell’affare Nortek saranno invece destinati per due terzi a pagare i debiti e il resto, circa un miliardo di euro, verrà distribuito ai soci di Melrose, che è quotato in Borsa a Londra.


Insomma, prima la finanza, perché questa è la logica con cui si muove un fondo come quello a cui fa capo Gkn. Un fondo che si vanta di aver moltiplicato per 20, nell’arco di 16 anni, l’investimento iniziale dei propri azionisti. Il motto della casa, che recita “buy, improve, sell”, ovvero “compra, migliora, vendi”, riassume al meglio la strategia di Melrose, che si concentra su aziende dalle prospettive incerte per ristrutturarle e infine girarle al migliore offerente.

Dall’acquisto alla successiva cessione, il cerchio si chiude nell’arco di quattro-cinque anni al massimo. Questa è la regola, come dimostra il caso appena citato di Nortek, il produttore di condizionatori d’aria acquisito nell’estate del 2016 e rivenduto nel giugno scorso con un guadagno del 25 per cento circa. Prima di Gkn, la rotta di Melrose aveva già incrociato l’Italia con la Marelli Motori di Arzignano, comprata nel 2008. Tempo cinque anni e l’azienda veneta è stata ceduta a Carlyle, un altro fondo.


Il denaro non dorme mai, recita un vecchio adagio. Tantomeno la speculazione. Gli investitori non aspettano. Pretendono risultati, e dividendi, nel breve termine, costi quel che costi. E allora, per moltiplicare i profitti e tenere alta la barra dei rendimenti, la giostra delle compravendite non può mai perdere velocità, neppure quando una catastrofica pandemia manda in recessione l’intero pianeta. Del resto, gli affari fin qui hanno girato alla grande, garantendo ottimi ritorni agli azionisti di Melrose e anche guadagni da record ai manager del gruppo. Nel 2018 l’amministratore delegato Simon Peckham e altri tre dirigenti di prima linea si sono spartiti 167 milioni di sterline: tradotto in euro fanno circa 50 milioni ciascuno. Non era la prima volta: già nel 2014 il capo di Melrose aveva scalato la speciale graduatoria dei manager più pagati della City londinese grazie a un compenso che tra bonus e incentivi vari aveva raggiunto i 31 milioni di sterline, cioè 36 milioni di euro al cambio di questi giorni.


«È tempo di mettere da parte la paura per tornare a caccia di profitti», predicava Peckham poco meno di un anno fa arringando una platea di investitori a proposito delle prospettive dell’economia in tempi di Covid calante. Intanto, però, nel 2020 il bilancio di Melrose è andato in rosso di 551 milioni di sterline (circa 650 milioni di euro) con ricavi crollati del 20 per cento da 10,9 e 8,7 miliardi di sterline (10,2 miliardi di euro). Ad affondare i conti è stato proprio il gruppo Gkn, una multinazionale da 7,5 miliardi di sterline di giro d’affari (8,8 miliardi di euro) con fabbriche in tutto il mondo che producono componenti per l’industria aerospaziale e per quella automobilistica, ovvero due dei settori maggiormente colpiti dalla crisi innescata dalla pandemia. Messi sotto pressione dagli azionisti, i manager di Melrose hanno tracciato una nuova rotta, che prevede tagli per gli impianti considerati inefficienti. Si spiega così la decisione di chiudere lo stabilimento di Campi Bisenzio, specializzato nella fabbricazione di semiassi e sistemi di trasmissione per le auto. Un colpo a freddo, sferrato senza preavviso, che costa oltre 400 posti di lavoro a un territorio già colpito duro dalla crisi.


Gli operai hanno reagito occupando la fabbrica. I sindacati protestano e se la prendono con la finanza predatoria, mentre il governo annuncia nuove norme per ostacolare le scorribande dei fondi speculativi. Per mitigare i danni delle operazioni mordi e fuggi potrebbe per esempio essere introdotto l’obbligo a carico dei gruppi venditori di ricorrere agli ammortizzatori sociali con l’aggiunta di piani per favorire la ricerca di un impiego alternativo dei dipendenti. L’efficacia di queste misure è ancora tutta da dimostrare e c’è anche il rischio che eventuali multe vadano a scontrarsi con le regole di Bruxelles sulla libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali tra Stati membri dell’Unione. Le ipotetiche sanzioni di Roma andrebbero infatti a penalizzare un’azienda che intende ristrutturare le sue attività all’interno dei confini della Ue, visto che la fabbrica toscana verrebbe sacrificata a favore di altri impianti del gruppo inglese in Francia, Polonia e Slovenia. Solo ipotesi, per il momento, visto che Gkn non è mai entrata nel dettaglio del riassetto delle proprie attività.


I documenti ufficiali consultati dall’Espresso rivelano però che negli ultimi due anni Melrose ha già spostato risorse per decine di milioni in direzione dell’altro polo produttivo italiano, quello di Brunico in Alto Adige. È qui che vengono sviluppati i componenti per i veicoli elettrici, la nuova frontiera dell’industria automobilistica. Un altro impianto inaugurato tre anni fa nella vicina Monguelfo, in val Pusteria, è invece specializzato nei sistemi di trasmissione per le macchine agricole. Da quelle parti nessuno parla di crisi. Anzi, in provincia di Bolzano, Gkn conta già su circa 800 dipendenti e continua ad assumere, con i politici locali, a cominciare dal presidente altoatesino Arno Kompatscher, che stendono tappeti rossi e lodano «lo straordinario contributo allo sviluppo delle nostre vallate». Tra il 2019 e il 2020, il gruppo inglese ha investito oltre 50 milioni nello stabilimento di Brunico per una «serie di linee di assemblaggio resesi necessarie - come si legge nei bilanci aziendali - a seguito della decisione strategica di ingresso nel mercato dell’eDrive».
Il cambio di rotta ha già dato i suoi frutti. L’anno scorso, nonostante lo stop nei mesi primaverili a causa della pandemia, i ricavi della fabbrica altoatesina sono aumentati dell’11 per cento fino a sfiorare i 300 milioni grazie soprattutto alla produzione destinata ai motori elettrici. L’impianto di Campi Bisenzio, che rimane concentrato sulla auto tradizionali, benzina o diesel, ha invece visto crollare il fatturato dai 136 milioni del 2019 ai 101 milioni fatti segnare l’anno scorso, chiuso in rosso per 4,5 milioni dopo la perdita di 3,5 milioni dell’esercizio precedente l’esplosione della pandemia. Nei primi mesi del 2021 i ricavi hanno ripreso quota, tanto che nelle carte aziendali si legge che nel primo trimestre la fabbrica toscana ha superato del 14 per cento gli obiettivi di budget.


Questi segnali incoraggianti sono stati spazzati via il 9 luglio scorso dall’annuncio dell’azienda. La prosecuzione dell’attività non è più economicamente praticabile a causa della contrazione del mercato automobilistico, si legge nella lettera di licenziamento inviata ai dipendenti e siglata da Andrea Ghezzi, amministratore delegato di Gkn Driveline Firenze. Non c’è futuro per lo stabilimento di Campi Bisenzio, tagliato fuori dalla corsa del mercato ai motori elettrici. Questa la sentenza senza appello del gruppo britannico, che ha chiuso ogni spiraglio di trattativa con i sindacati e le autorità locali per la gestione della crisi. In questo caso, come pure nella vicenda della brianzola Gianetti, pure controllata da un fondo, il governo minaccia sanzioni e punta ad arrivare quantomeno a un accordo per le 13 settimane di cassa integrazione previste dalla legge. Intanto, 400 chilometri più a nord, la Gkn di Brunico viaggia col vento in poppa grazie anche agli aiuti pubblici. Non solo i contributi per ricerca e sviluppo, che da soli valgono un milione. L’anno scorso la società con sede in Alto Adige ha potuto rivalutare i terreni aziendali per effetto di una norma inserita tra le misure a sostegno dell’economia nel cosiddetto “Decreto Agosto”. La manovra ha fruttato oltre 13 milioni, messi a bilancio giusto qualche mese prima di abbandonare al suo destino l’impianto di Firenze.

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