Intervista
Ken Loach: «Io, cacciato dal Labour: i nuovi vertici vogliono un partito di destra amico dei poteri forti»
Il regista è stato espulso dalla formazione per la sua amicizia con l’ex leader Corbyn. «Starmer è espressione di quell’establishment che vuole liberarsi della sinistra»
Quando lo sentiamo sono passate poche ore dall’espulsione di Ken Loach dal partito laburista, che aveva lasciato negli anni Novanta in rotta con le politiche blairiane e in cui era rientrato nel 2015, conquistato dalla sterzata a sinistra dell’amico Jeremy Corbyn.
Ma il partito in cui era rientrato ha ora cambiato completamente pelle. Corbyn sconfitto alle elezioni del dicembre 2019, poi sospeso nell’ottobre dello scorso anno per aver affermato che il problema dell’antisemitismo all’interno del Labour era stato «drasticamente sopravvalutato per ragioni politiche» dagli oppositori e dai media. Infine, reintegrato dal comitato centrale ma non riammesso in Parlamento per l’opposizione del nuovo segretario Keir Starmer.
Ora la traumatica espulsione del simbolo, che lo stesso Loach, in un tweet rovente, ha commentato così: «Lo stato maggiore laburista ha infine deciso che non sono adatto a far parte del loro partito, poiché non rinnegherò quelli che sono stati già espulsi. Bene. Sono orgoglioso di restare leale ai buoni amici e compagni vittime della purga. Non c’è dubbio che sia in corso una caccia alle streghe. Starmer e la sua cricca non guideranno mai un partito del popolo. Noi siamo tanti, loro sono pochi. Solidarietà».
I compagni che Loach non ha rinnegato sono i gruppi Resist, Socialist appeal, Labour in exile network e Labour against the witchhunt, proscritti lo scorso mese dal National executive committee: gli ultimi due in particolare avevano fatto campagna contro la sospensione ed espulsione di membri della sinistra laburista ed avevano criticato la gestione di Sir Starmer dell’antisemitismo nel partito.
Che Labour è un Labour che espelle Ken Loach, il regista che più di tutti ha sempre raccontato, con doloroso realismo, gli aspetti più brutali della società inglese, ciò che resta della working class falcidiata da Margaret Thatcher, la trappola della gig economy, la perdita di ogni dignità che accompagna la perdita del lavoro?
«Espellere me significa mandare un segnale alla sinistra del partito, alle centinaia di migliaia che si sono iscritti, trascinati da Corbyn e dal suo progetto di trasformazione politica, sociale ed economica. Se possono liberarsi di me possono liberarsi di chiunque».
Ma il progetto di Corbyn è fallito...
«No, nel 2017 il Labour di Corbyn è arrivato vicino alla vittoria. Abbiamo perso per un pugno di voti. Ma poi si è trovato davanti uno sbarramento formidabile, l’opposizione dell’intero establishment. Non solo i Tories, ma tutto l’establishment: quello che è interessante è che la classe al potere ha usato la destra laburista, quella degli eredi di Blair, deboli fra gli iscritti ma ancora forti in Parlamento, e il sistema mediatico, inclusa la Bbc e il Guardian. Hanno fatto breccia anche nelle roccaforti laburiste povere delle Midlands e del Nord, dove sono ambientati i miei ultimi film I, Daniel Blake e Sorry we missed you; regioni devastate dalla Thatcher, per cui il Labour di Blair e Brown non ha fatto nulla, che non hanno più alcuna speranza e hanno riversato la loro rabbia contro gli amministratori locali laburisti. Eppure la proposta politica di Corbyn e di John McDonnell avrebbe portato ad una vera trasformazione del Paese, con il ritorno in mani pubbliche dei servizi. Prevedeva, fra l’altro, una vera lotta al cambiamento climatico, a partire dalla proprietà e gestione pubblica dell’energia, con una rigenerazione verde proprio di quelle regioni dimenticate . Si immagina quali profondi cambiamenti, sociali, politici, strutturali, questo avrebbe portato? Per impedirlo il sistema ha serrato le fila, con una character assassination contro Corbyn di una violenza che non avevo mai vista».
E che secondo lei è passata per le accuse di antisemitismo?
«Assolutamente sì. Chiariamo un punto: l’antisemitismo nel partito laburista esiste, come in tutti i partiti britannici. Ed è ributtante. Non ci può essere alcuna tolleranza per nessuna forma di razzismo: deve essere eliminato alla radice. Ma è completamente assurdo accusare di antisemitismo uno come Jeremy Corbyn, uno che ha dedicato la sua vita a combattere ogni forma di razzismo».
È quello che sta succedendo a lei?
«Vengo attaccato anche con accuse di antisemitismo. E allora sarò esplicito: io supporto quegli ebrei per i quali antisionismo non coincide con antisemitismo. Il sionismo politico è un progetto che deve essere soggetto a rigorosa analisi, deve essere criticabile, e invece nel partito laburista ora prevale una fazione pro Israele che dichiara che l’antisionismo, la critica politica al progetto sionista, è il nuovo antisemitismo. Questo rende impossibile un libero dibattito su Israele, perché tutto viene strumentalizzato dalla destra del partito, pro Israele, per liberarsi della sinistra, che è il vero obiettivo da distruggere. In ogni caso nelle motivazioni della mia espulsione non c’è alcun riferimento all’antisemitismo: sono stato espulso per il mio sostegno a gruppi critici della leadership. Il problema è il deficit di democrazia nel Labour, che va avanti da mesi ed è pervasivo».
A questo si riferiva, quando nel suo tweet in cui annunciava l’espulsione ha scritto: “Non c’è dubbio che sia in corso una caccia alle streghe”?
«L’ho denunciato pubblicamente. Starmer è stato scelto come l’unificatore delle anime del Labour, ma è stato un errore. Lui è espressione di quell’establishment di cui parlavo, che vuole liberarsi della sinistra. Le sezioni di sinistra sono chiuse da sei mesi, senza spiegazione, per un diktat dall’alto. Qualsiasi risoluzione critica di Starmer viene bloccata, i candidati della sinistra a posizioni locali, votati dagli iscritti, vengono ostacolati, i normali processi democratici interrotti, mozioni a sostegno della Palestina bloccate. E il partito vive un’emorragia: lo hanno lasciato in 120mila, quasi un quarto dei membri».
Lei ha scritto anche: “Starmer e la sua cricca non guideranno mai un partito del popolo. Noi siamo tanti, loro sono pochi”.
«Con Corbyn il partito laburista inglese era diventato il maggiore in Europa. Seicentomila iscritti. Questo va distrutto, perché a Starmer non serve un partito di massa, e certamente non serve un partito di sinistra che ottenga cambiamenti reali. Vuole un partito blairista, socialdemocratico di destra, agile, alleato del grande business, finanziato dal grande business e difensore della ricchezza privata, di cui ridistribuire nei servizi pubblici le briciole. Non vuole attivisti o membri: vuole parlare direttamente agli elettori tramite la Bbc, il Guardian e la stampa di destra. Anche in questo si ispira a Blair e al suo accordo con Murdoch. Perché è cosí che Blair ha vinto le elezioni».
Lei ritiene che Blair abbia un ruolo da burattinaio nella strategia di Starmer? Che possa tornare alla politica attiva?
«È molto presente sui media, ma non credo possa tornare in campo, perché la massa degli iscritti lo considera un bugiardo e non gli perdona la guerra in Iraq. Ma anche Starmer è un bugiardo. Pensi al paradosso della gestione di Brexit. Corbyn ha sempre detto di voler rispettare la volontà del popolo, e l’esito del referendum. Chi ha tenuto una posizione ambigua, rigettata dagli elettori laburisti del Nord, pro Brexit? Chi era il responsabile del dossier Brexit nel Labour? Keir Starmer».
Cosa c’è dopo l’espulsione? Una nuova formazione politica a sinistra, che raccolga i molti transfughi?
«No, non per me almeno. E dubito che Jeremy Corbyn o John Mc Donnell torneranno a candidarsi. Ora penso che debbano essere i sindacati a mobilitarsi, perché sono gli unici ad avere le risorse finanziarie e il seguito per mobilitare i lavoratori».
Se oggi lei dovesse scegliere una nuova storia da raccontare, cosa racconterebbe?
(Ride). «Non posso dirlo. Poi lei lo scrive e mi rovina i piani».
Però, la questione più urgente?
(Esita, sospira). «Ci sono tanti temi, ma forse ora la storia da raccontare è questa: le opzioni e le possibilità della sinistra».