Un’azione popolare di Libera di abortire e Radicali. La prima udienza lunedì 13 settembre. Tolino: «Con le croci abbiamo superato il limite, è l’atto finale di un percorso pieno di ostacoli»

«A Roma cambiano le generazioni ma le storie sono sempre le stesse, con stessa morale: in questa città non è possibile abortire in modo civile» ha detto Francesca Tolino alla conferenza stampa di presentazione dell’azione popolare con cui Libera di Abortire e i Radicali portano in tribunale la vicenda dei feti sepolti al cimitero Flaminio della capitale. Lunedì 13 settembre ci sarà la prima udienza contro l’azienda ospedaliera San Giovanni, l’Asl e l’Ama (la società che gestisce lo smaltimento dei rifiuti a Roma) responsabili di aver seppellito i feti senza il consenso delle donne e di aver sistemato sopra le tombe una croce con il loro nome e cognome.

Si tratta di una prassi che va avanti da vent’anni, e non solo a Roma, per la quale le associazioni religiose - nella legalità ma approfittando di alcune norme non troppo stringenti nel campo della sepoltura e dello smaltimento dei rifiuti ospedalieri - stringono accordi con le aziende ospedaliere italiane e provvedono all’inumazione dei feti con la libertà di seppellirli secondo cerimonia religiosa. La volontà delle donne passa in secondo piano soprattutto perché, senza nessuna conoscenza di che cosa accadrà al feto dopo l’interruzione di gravidanza e della possibilità di esprimere la propria volontà in merito - passate 24 ore perdono ogni diritto.

«Con il cimitero dei feti abbiamo superato il limite, è l’atto finale di un percorso pieno di ostacoli» spiega Tolino che aveva già raccontato all’Espresso come la sua esperienza di aborto terapeutico si fosse trasformata in tortura a causa dei lunghi tempi d’attesa, degli obiettori di coscienza, della mancanza di informazione, delle violenze fisiche e psicologiche, nonostante il diritto di interrompere la gravidanza sia riconosciuto dalla legge italiana - la 194 - dal 1978. Dopo l’esperienza traumatica dell’aborto all’Ospedale San Giovanni nel 2019, simile a quella che hanno avuto tante altre donne in tutta Italia, Tolino, ormai un anno fa, ha scoperto una tomba al cimitero Flaminio con una croce e il suo nome scritto sopra. 

 

Lo stesso è successo a Marta Loi. Con un post su Facebook lo scorso settembre ha raccontato di aver scoperto, durante una telefonata avvenuta sette mesi dopo l’aborto, che il feto era stato seppellito sotto una croce con il suo nome al cimitero Flaminio di Roma. Sarebbe stato un loro diritto chiedere o rifiutare la sepoltura, qualcuno avrebbe dovuto informale su che cosa sarebbe successo dopo. Così per tante altre donne forse ancora ignare perché non si sa quante siano le sepolture totali e quante di queste siano state richieste.  

 

«Il silenzio è parte del problema» ha dichiarato Tolino, promotrice della campagna “Libera di Abortire”, candidata al consiglio comunale per la lista Roma Futura, che ha scelto di condividere la sua esperienza per avviare un dibattito politico e quanto più possibile trasversale sull’aborto. 

Secondo stime, non aggiornate e non certe, nel 2019 tra le 10 e le 13 mila donne hanno fatto ricorso all’aborto clandestino in Italia, difficile affermare chiaramente il perché ma il fatto che il 69% dei ginecologi italiani sia obiettore di coscienza, il 46% degli anestesisti e il 42% del personale sanitario non medico - come riporta la Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della legge 194/1978 aggiornata per i suoi quarant’anni - non garantisce alle donne il rispetto di quello che secondo Amnesty International dovrebbe essere un diritto umano.

«Accadono illegittimità sulla pelle delle donne. L’azione popolare promossa da Libera di Abortire e i Radicali - ha spiegato l’avvocato Francesco Migliardi durante la conferenza stampa - è una vera e propria azione giudiziaria nella quale i cittadini vestono la fascia della sindaca di Roma per far valere gli interessi comunità. Approfondendo la vicenda di Tolino all’Ospedale San Giovanni ci siamo resi conto che le donne non vengono debitamente informate su quale sarà il trattamento del feto dopo l’interruzione della gravidanza».

Per l’avvocato e per Simone Sapienza dei Radicali l’azione popolare è necessaria per impedire che altre donne vengano tenute allo scuro della sepoltura dei feti dopo l’aborto, la vicenda è inaccettabile e ha causato un danno enorme al comune di Roma a i suoi cittadini oltre che ai diritti di tutte le donne. Si augurano che Virginia Raggi decida di intervenire prendendo parte alla prima udienza del processo di lunedì 13 settembre, sebbene fino ad ora ci sia stato solo silenzio da parte della sindaca.