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Inchieste
settembre, 2021

In Italia è record di incendi. Ma la politica preferisce vivere di emergenze e ignorare la prevenzione

Oltre 150mila ettari in fiamme, peggio del 2017. E la scomparsa del corpo forestale ha peggiorato la situazione. Secondo Coldiretti spegnimento, bonifica e ricostruzione post incendi valgono un miliardo di euro

L’incendio che ha distrutto i “giganti di Acatti”, i pini del territorio di San Luca in Aspromonte, è durato 11 giorni. Gli interventi di spegnimento in tutta la regione, Reggio e Cosenza in testa, superano i 6.700. Sul Montiferru, in Sardegna, di giorni ne sono bastati due per bruciare 20.000 ettari di bosco, macchia mediterranea e pascoli. Solo il comune di Cuglieri ha perso il 90 per cento dei suoi uliveti, compresi quelli millenari. A Pescara la Pineta Dannunziana è andata a fuoco con tre inneschi. In Sicilia, la provincia di Catania ha contato 30 incendi in un giorno ed evacuato 150 persone via mare. È stato il satellite Sentinel-2 del programma Copernicus dell’Agenzia Spaziale Europea a quantificare la distruzione di 2.000 ettari di Parco delle Madonie.


L’Italia brucia se stessa: i parchi naturali, le riserve, le attività agricole con incendi che sono diventati «eventi estremi» basati su fattori nuovi: aree boschive poco pulite in cui propagazione e intensità delle fiamme sono aumentate, cambiamenti climatici, prevenzione fuori alle agende politiche, dolo sempre più efferato. Peggio dell’estate 2017, quando anche il Vesuvio bruciò per un mese: gli ettari di territorio che non esistono più sono 153.690, con oltre 400 incendi sopra i 30 ettari. I dati dell’European forest fire information system della Commissione europea assegnano all’Italia il primato europeo per numero di incendi. E poi ci sono le vittime dei roghi. Sei morti, migliaia di capi di bestiame, oltre mille cani da catena arsi vivi secondo l’Associazione italiana difesa animali ed ambiente e tra i 20 e i 24 milioni gli animali selvatici cancellati, secondo una stima di Legambiente.


Il 57% degli incendi è doloso. Il rapporto Ecomafia 2021 dell’associazione spiega che l’82 per cento della superficie in fumo e il 54 per cento degli illeciti è concentrato in Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Lazio. Sono state denunciate per incendio doloso e colposo 552 persone, solo 18 gli arresti. Al netto di piromani e incendiari, accanto ai casi in cui la pratica del fuoco per «rinnovare» o ingrandire un pascolo per accedere a fondi economici diventa una catastrofe, casi di ritorsione, vendetta, il business dell’antincendio, ci sono interessi criminali. «Io sono in Calabria: le aree percorse dal fuoco, se si guardano le cartografie della Dia, sono tutte appartenenti alle famiglie di ’ndrangheta. Che interesse può avere a fare operazioni del genere?», spiega Antonio Nicoletti, responsabile aree protette e biodiversità di Legambiente. «La ’ndrangheta fa affari da sempre con i boschi. Stiamo formulando varie ipotesi, tra cui la volontà di mettere in ginocchio territori che vogliono rilanciarsi, magari con l’eco-turismo».

 

Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi racconta le tecniche estorsive mafiose per ottenere la cessione di un terreno: «Al terzo o quarto rifiuto da parte del proprietario, la terra viene bruciata», e ritiene che la peculiarità dell’estate 2021 siano i danni subiti soprattutto da aziende agricole e allevatori. E lancia una proposta: «Agricoltori e allevatori perbene devono essere sentinelle del territorio, dobbiamo creare una premialità dentro le contribuzioni dei fondi Ue all’agricoltura se dai loro terreni non partono incendi». Di interessi per riserve e fotovoltaico si è parlato nel corso delle audizioni della commissione antimafia siciliana presieduta da Claudio Fava, alla luce dei 200 progetti depositati in Regione e scenari peculiari nelle province di Enna e Caltanissetta. Secondo le associazioni ambientaliste, il problema sono i Comuni che non aggiornano i catasti delle aree incendiate e non applicano i vincoli: la legge 353/2000 vieta il cambio di destinazione d’uso di boschi percorsi dal fuoco per 15 anni, la trasformazione edilizia per 10 anni, pascolo e caccia per 10 anni, e il rimboschimento con fondi pubblici per 5 anni.


Spegnimento, bonifica e ricostruzione post incendi, secondo uno studio di Coldiretti sulla media 2008-2020, valgono un miliardo di euro. Il rimboschimento in Italia costa 3/5.000 euro ad ettaro. Costano invece 10 mila euro ad ettaro le operazioni di spegnimento. La Regione Toscana ha sperimentato un modello di calcolo elaborato dall’Università di Firenze: ha speso 1,5 milioni di euro nel 2020 per 242 interventi con 710 mezzi e soprattutto 4.000 volontari e 500 operai forestali. Questi ultimi in Italia sono circa 70 mila, spesso stagionali, 5.800 quelli addetti agli incendi su 19.000 nella sola Regione Sicilia. E al netto di un’unicum tutto italiano: la cancellazione del Corpo forestale dello Stato per effetto, nel 2016, della Riforma Madia. Monitoraggio e attività di indagine è passata all’Arma dei carabinieri. Il servizio di prevenzione e il comparto antincendio ai Vigili del Fuoco. «Ce lo chiede l’Europa, era lo slogan. Ma la Ue non ha mai chiesto di cancellare un Corpo di polizia o militarizzare forzatamente dei civili», dicono dalla segreteria nazionale di Ferfa, Federazione rinascita forestale ambientale.

 

A fine luglio, la Corte dei Conti ha calcolato un risparmio di 31 milioni di euro in tre anni. «È un documento “vetrina”. Infatti subito dopo è uscita una circolare dell’Arma per chiudere i presidi del corpo forestale e accorparli ai loro presidi territoriali. Ma quanto è stato speso per cambio livree o fare formazione? Il risparmio giustifica il disastro che sta succedendo?».

 

Il personale è stato assegnato a polizia di Stato, Vigili del fuoco, Arma, Guardia di finanza e Dipartimento delle foreste del ministero delle Politiche agricole. «Noi facevamo servizio antincendio gratuitamente grazie a convenzioni tra Corpo forestale e Regioni. Ora le Regioni fanno convenzioni con i Vigili, i quali ogni giornata di antincendio boschivo la fanno in straordinario, al costo di 120 euro al giorno».

 

Conoscenze di botanica, selvicoltura, controllo diretto nei boschi, prevenzione, pratica del territorio e presidio sul posto, coordinamento diretto, fondamentali in caso di emergenza, sono andati perduti. «Io sono transitato nei Vigili, ma ho solo funzioni amministrative. I miei ex colleghi ora in polizia fanno i celerini», racconta un ex Forestale. Un altro aspetto analizzato dal dossier è la flotta aerea: «Avevamo 36 elicotteri, 18 sono passati all’Arma e 18 ai Vigili, ma solo 3 sono in attività».

 

La campagna estiva antincendio boschivo della Protezione civile 2021 conta su 30 mezzi aerei: 23 dei Vigili del fuoco tra cui 15 Canadair e 7 della Difesa (5 elicotteri delle forze armate e 2 elicotteri dei carabinieri). Ma ogni anno si discute sul costo della flotta italiana di 19 Canadair gestiti dalla società inglese Babcock: 45 milioni di euro l’anno (per 8 anni di convenzione) e una media prevista di 3.500 ore di volo, 12.000 euro all’ora.

 

L’Italia rinuncia alla prevenzione per vivere in perenne emergenza. Spiega Angeletti: «Siamo un Paese in cui ci sono responsabilità che poi nessuno verifica. Come fa un piccolo comune come Forte del Greco in Aspromonte che non ha un operaio comunale a tenere pulite le linee di interfaccia come dice la legge? E come fa Calabria Verde, l’azienda regionale che spende 210 milioni di euro all’anno per attività di forestazione, a non tenere la regione come un giardino?».

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