La notizia della carneficina di cani randagi in vista dei Mondiale del Qatar sta facendo il giro del mondo. Eppure non ferma i maltrattamenti: è di pochi giorni fa il video che denuncia il ritrovamento di una cucciola di pastore tedesco di pochi mesi al bordo di una strada, con le zampe posteriori spezzate e il corpo pieno di pallini da caccia. «In nessun paese civile, se c’è un cane ferito ai bordi della strada, poi passa la polizia e gli spara contro», grida la voce che accompagna il video. «Benvenuti nel Qatar che si prepara ai mondiali!».
Dopo l’articolo di denuncia de L’Espresso molti lettori si sono chiesti, in toni più o meno civili, se i maltrattamenti fossero una conseguenza del disprezzo per i cani che si ritiene tipico della cultura arabo-islamica. Che il mondo arabo ami i gatti e detesti i cani è una di quelle cose che tutti sappiamo. Ma è davvero così?
Ne abbiamo parlato con Alessandra Picchio, una delle voci più autorevoli ed entusiaste del fronte mondiale del recupero di cani maltrattati. Tra i levrieri adottati da famiglie italiane molti devono la vita a lei e alla sua rete internazionale di animalisti. E pensare che da piccola non li amava affatto: «Ero terrorizzata: se ne incrociavo uno cambiavo marciapiede».
Tutto è cambiato 13 anni fa: da quando è arrivata in Qatar dal Canada insieme al marito egiziano, ai cani maltrattati ha dedicato tutto il suo tempo libero. Finora, insieme all’associazione Qatar Animal Rescue, ne ha salvati quasi 400, facendoli curare e trovandogli una nuova casa in Italia, Canada o Stati Uniti. Anche lei è sconvolta dalle notizie di maltrattamenti, rapimenti, torture e perfino stragi con armi da fuoco che hanno avuto come vittime i cani nel paese arabo. Ma è convinta che dietro questi comportamenti disumani non ci sia nessuna giustificazione religiosa. «Non riesco a spiegarmi cosa c’è dietro questo odio», commenta accorata.
È vero che ci sono giustificazioni religiose per comportamenti come questi nel mondo islamico?
«Quando ho iniziato a occuparmi di cani mi sono chiesta se davvero nel Corano c’erano versetti contro questi animali. Ne ho parlato con diversi imam. Loro mi hanno spiegato che è un problema culturale, non religioso. Ricordiamoci che per tradizione qui il cane deve essere utile: lavora, serve a qualcosa, e quindi sta fuori casa. È un cane da caccia o da guardia, non un animale da compagnia. E in fondo anche da noi in Italia era così, ancora al tempo dei miei nonni».
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Ma il Corano cosa dice?
«Mi sono andata a cercare tutti i brani in cui si nominano i cani. In uno di questi si racconta che un giorno Maometto camminava in montagna e si è dovuto fermare perché ha incontrato un grosso cane nero che gli bloccava la strada. È in base a questo episodio che in effetti alcuni imam sconsigliano di tenere un cane in casa perché è un animale impuro, visto che ha ostacolato il cammino di Maometto. Però ci sono anche brani che sembrano dire il contrario».
Per esempio?
«In un episodio, una ragazza si ferma per aiutare un cane assetato, e gli fa bere l’acqua dalle proprie mani. E il Corano spiega che questa buona azione garantirà alla ragazza un posto in Paradiso. Quindi diciamo che nel Corano c’è scritta una cosa e un’altra, dipende da come lo si interpreta…».
Ma qual è il rapporto del mondo arabo con i cani?
«Come dicevo, il cane deve essere utile. Non si fanno corse di cani, come avviene ancora in alcuni paesi occidentali: qui le corse le fanno i cammelli. Ma non c’è molto rispetto per loro, nemmeno da parte dei padroni. Succede spesso ad esempio che un cane che è stato preso e portato all’estero per una battuta di caccia in Arabia Saudita o in Kazakistan venga abbandonato al ritorno in Qatar. E lo stesso succede se si rompe una zampa: ne ho trovati diversi, di cani feriti, nel deserto. È importante fare qualcosa per far cambiare questa mentalità: io ci ho provato andando nelle scuole, è stata un’esperienza molto bella anche se l’ho dovuta interrompere quando è arrivato il Covid».
Cosa faceva nelle scuole?
«Andavo nelle classi portando alcuni levrieri saluki, cani bellissimi tipici del mondo arabo, e anche altri cuccioli. Cercavo di spiegare ai bambini, che sono le generazioni del futuro, che gli animali meritano di essere trattati come esseri umani. Per esempio gli facevo sentire il cuore del cagnolino e dicevo “vedi, il suo cuore è come il tuo, quindi se tu gli fai del male lui prova lo stesso dolore che provi tu…” Io sono innamorata in particolare dei saluki, che sono cani dolcissimi e riservati, adattissimi alla vita in famiglia. Anche perché hanno una grande qualità: hanno poca memoria».
E perché è una qualità?
«Perché dimenticano le violenze che gli hanno fatto gli uomini. Io ormai ho una rete di informatori che mi chiamano quando c’è un cane in pericolo. Trovo queste povere bestie in condizioni pietose: li faccio curare da un veterinario che conosco e quando guariscono mi stupisco di come ridiventano subito affettuosi, pronti a fidarsi di nuovo degli esseri umani e ad affezionarsi a una nuova famiglia. Sono cani abituati a stare in gruppo e ad avere responsabilità. Erano loro, nella tradizione della penisola araba, a guidare le carovane dei beduini nel deserto. Un compito che fino a ieri era di grande importanza e che oggi li rende ottimi cani di famiglia».