Trenta animali uccisi in una spedizione punitiva. Altri imprigionati dentro sacchi di plastica. E ammassati a migliaia in un canile disumano. Mentre il torneo si avvicina, il governo decide di affrontare l’annoso problema del randagismo con modalità vergognose

Quattro uomini entrano di notte in un cantiere vicino a Doha dove i muratori tengono dei cani. Due di loro tirano fuori un fucile, minacciano le guardie e iniziano a sparare, fino a lasciare a terra 29 animali morti e tre gravemente feriti – due sono cagne vicine al parto. Una strage che esce dai confini del Paese e fa scoppiare lo scandalo: «Ventinove cani uccisi in Qatar mentre il Paese si prepara per i Mondiali», titola il Guardian. Che aggiunge dettagli agghiaccianti: «Quando gli uomini sono entrati i cani gli sono andati incontro festosi, ha detto un attivista, pensando che li avrebbero nutriti. E invece gli uomini hanno cominciato a sparargli contro». Uno dei sopravvissuti è ancora in cura da un veterinario, che non riesce a decidere se sia più pericoloso lasciargli in corpo le pallottole che lo hanno colpito o cercare di estrarle.

Dopo le inchieste sulla corruzione per l’assegnazione del torneo, dopo le notizie sull’ecatombe di muratori nei cantieri che dovevano costruire a tempo di record palazzi e impianti necessari allo show, ora tocca ai cani. «Ma attenzione», commenta un’animalista del posto che si occupa da anni di cani randagi. «È solo per un caso che sono morti solo i cani e non i muratori: tanto, in Qatar i lavoratori sono tutti immigrati, anche se ne moriva qualcuno…». Le autorità hanno detto che i responsabili sono stati fermati, ma gli attivisti non riescono ad avere notizie e temono un processo-farsa. Gli uomini arrestati hanno detto, a quanto si è saputo, che era una spedizione punitiva perché «un cane aveva morso il figlio di uno di loro»: «Ma il cantiere è chiuso a chiave e circondato da reti», fa notare l’animalista. «Com’è possibile che dei bambini siano andati a giocare lì dentro?»

Il fatto è che improvvisamente la parola d’ordine in Qatar è: strade pulite. Che significa strade senza cani. A qualsiasi costo: «Ad occuparsi del randagismo sono persone sospette, che non hanno nessuna esperienza nel campo e che nessuno scrupolo», continua la fonte. «È questo clima in cui tutto è permesso che ha portato alla strage nel cantiere di Doha».

Un Paese in cui il randagismo non è affrontato seriamente nemmeno nei frequenti casi di maltrattamenti e di torture, ha scoperto che gli animali per strada fanno fare brutta figura con i turisti occidentali in arrivo. E si è messo a combattere con qualsiasi mezzo: non c’è più tempo per portare i cani  in rifugi, curarli, sterilizzarli e trovargli un padrone. La pulizia si fa molto più rapidamente. Sulla rete girano immagini di accalappiacani che portano via gli animali a decine: «È così: vengono con grandi furgoni senza nessun logo di un’agenzia governativa, mettono i cani dentro sacchi di plastica e li caricano», conferma l’attivista, uno dei pochi che ha il coraggio di parlare in un Paese in cui qualsiasi presa di posizione contro il comportamento delle autorità fa rischiare come minimo un interrogatorio.

Le uniche posizioni ufficiali vengono dall’Inghilterra dove ha sede Paws Rescue, charity fondata da un gruppo di donne inglesi che hanno vissuto in Qatar. E da un post di Noora al-Tani, che fa parte della famiglia reale ma è fortemente critica sulla gestione dei cani da parte delle autorità. La donna ha affidato al sua denuncia a un lungo testo in cui lancia una campagna social con l’hastag #StandUpForQatarStrays. «Questi uomini rubano e uccidono cani giovani e sani», scrive. «E quando ho proposto di aiutare o di pagare il cibo per far mangiare i cani che sono rinchiusi nel canile del governo, le mie offerte sono state rifiutate. Abbiamo seguito i cani che sono entrati nel canile di Rawdat al Faras, e tutte le strade portano all’eutanasia, alla fame e alla morte». Il problema è che non c’è nessun rispetto per quelli che in occidente consideriamo “animali da compagnia”: «Le autorità vedono cani e gatti come animali infestanti e li trattano di conseguenza».

 

Ma dove finiscono i cani? L’unico posto ufficiale è Rawdat al Faras, un enorme canile isolato e mal attrezzato. Agli attivisti non è mai stato aperto il cancello. I gestori hanno fatto entrare solo una giornalista che ha raccontato una situazione accettabile: ma gli attivisti assicurano che a lei è stata fatta vedere solo una facciata splendente. «Sappiamo che ci sono almeno 4000 cani chiusi lì tutti insieme», continua la fonte. «Non sono vaccinati né sterilizzati. Ogni tanto dall’alto gli buttano dei sacchi di cibo: chi arriva primo mangia, i più fragili si indeboliscono sempre di più». Muoiono così, lontano dagli occhi dei tifosi in arrivo per il Mondiale, ma non dal cuore degli animalisti.

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