Eva Brownie, una drag queen tra le più popolari della scena queer di Kiev, si esibisce sul palco di un locale nel quartiere di Podil. È il giorno dopo il compleanno di Putin e, al culmine della performance, alle sue spalle appaiono le immagini - risalenti al giorno precedente - del ponte di Kerch avviluppato dalle fiamme. Il pubblico è in visibilio. Galvanizzati dai successi militari, gli abitanti di Kiev stanno assaporando una parvenza della vecchia quotidianità, per quanto surreale, tra ristoranti aperti e party diurni per aggirare il coprifuoco.
Fino a poco tempo fa, infatti, le uniche esplosioni che scuotevano i palazzi di Kiev erano quelle degli sminatori intenti a far brillare i dispositivi russi rimasti dopo l’assedio fallito alla città. La litania delle sirene veniva puntualmente ignorata dagli abitanti della capitale, che avevano perso l’abitudine di radunarsi nei bunker.
Anche la mattina del 10 ottobre, infatti, le prime sirene sono state ignorate. Ma poi sono arrivate le esplosioni, le colonne di fumo sempre più vicine. È un attacco coordinato contro diverse città del Paese per mezzo di 83 missili e la contraerea ne intercetta solo 43. Uno degli ordigni che colpiscono Kiev si abbatte sul parco di Taras Shevchenko, davanti a una delle più grandi università del Paese. Apre una voragine larga cinque metri e profonda due, facendo volare frammenti di un’altalena a dieci metri di distanza e diffondendo un acre odore di bruciato tra gli alberi tutti intorno.
Poco più avanti c’è un altro cratere: il missile è caduto in mezzo a un incrocio stradale durante l’ora di punta. Tre auto giacciono carbonizzate: tra le vittime c’è Oksana Leontieva, un’oncologa dell’ospedale pediatrico di Kiev che aveva appena lasciato il figlio di 5 anni all’asilo. Tenendo conto di tutto il Paese, il bilancio finale sarà di 14 morti e 97 feriti.
Anja ha 29 anni, lavora per la Siemens e si trovava al primo piano della 101 Tower, nel pieno centro di Kiev, quando alle nove e trenta un missile ha colpito la palazzina di fronte, sventrando gli appartamenti. L’onda d’urto ha frantumato anche le finestre della torre dove lavora Anja, ben oltre il ventesimo piano. Nel cortile interno del suo ufficio ci sono pezzi di lamiera sopra gli alberi e grandi Suv schiacciati dal peso delle macerie.
Anja è stata ferita dai pannelli che si sono staccati dal soffitto e come tutti i suoi colleghi ha riportato escoriazioni causate dai vetri delle finestre andate in frantumi. «Sono terrorizzata. Domani stesso partirò e andrò a stare da un’amica in Polonia. Non ho ancora deciso quanto mi fermerò, ma potrei anche non tornare più», dice. Poi aggiunge: «Le persone a Kiev si comportavano in maniera troppo rilassata. Andavano al ristorante, bevevano una cosa con gli amici. Forse qualcuno si era scordato che c’è un guerra in corso».
Quarantotto ore dopo i raid, quando ormai il peggio sembra passato, due uomini si infilano in uno degli uffici e riemergono con due computer integri. Nel parcheggio, una persona estrae una ruota di scorta da un’auto che non ha neanche un finestrino intatto. L’economia di guerra comporta anche questo.
La resistenza all’invasore russo si combatte su più fronti e non tutti sono convinti che per lottare serva un fucile. La drag queen Eva Brownie, 27 anni e originaria proprio della capitale, continua a esibirsi ogni fine settimana nonostante gli attacchi russi siano ripresi. Mentre termina gli ultimi ritocchi al trucco nel suo camerino, spiega che è il suo modo per sentirsi parte integrante della resistenza all’invasore. «Ognuno ha il suo campo di battaglia. Il mio è nella mente delle persone: le aiuto a rilassarsi e a scappare dai pensieri più bui, dalla depressione della vita quotidiana». Del resto, continua, «se pensi ininterrottamente alla guerra entri nel gioco di specchi di Vladimir Putin. Una volta che ti abitui a percepire la guerra come un fatto normale, lui ha già vinto».
Durante una pausa del suo spettacolo nel cortile del locale si formano piccoli capannelli di fumatori. Due soldati in licenza si salutano calorosamente: vengono entrambi da Kharkiv, città tutt’ora oggetto di pesanti bombardamenti. Per uno di loro è arrivato il momento di tornare al fronte, ma non prova rancore per chi esce la sera a ballare, anzi. «Combattiamo anche per questo», sostiene.
Il fronte psicologico della guerra è fondamentale, perché l’invasione russa non è un fenomeno esclusivamente militare. I bombardamenti sono accompagnati da propaganda che all’apparenza non ha nulla a che vedere con la guerra. Come è accaduto lo scorso 28 settembre, durante la celebrazione dell’annessione russa delle quattro regioni ucraine di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, quando Putin ha attaccato l’Occidente, reo secondo lui di aver appoggiato la teoria del gender: «Vogliamo che i nostri bambini siano indottrinati rispetto all’esistenza di altri generi oltre a quello maschile e femminile?».
Intere frange della popolazione ucraina lottano per contrastare un modello culturale, quello russo, che vorrebbe negare loro l’esistenza. «È paradossale, ma lo scoppio della guerra ha contribuito ad abbattere parecchi stereotipi», dice Marlen Scandal, una drag queen trentunenne che nel 2014 ha ricoperto un ruolo attivo nell’esercito. «Adesso non importa più con chi vai a letto o come ti vesti. Conta solo se sei ucraino e se sei pronto a difendere il tuo Paese».
Mentre passeggia davanti alla casa di Mihail Bulgakov, Marlen sorride al pensiero della minaccia atomica ed estrae il cellulare: «Se Putin premerà il pulsante nucleare, migliaia di abitanti di Kiev si ritroveranno sulla collina qui dietro per un’ultima grande orgia. Ci siamo già dati appuntamento». Come tanti ucraini, Marlen è obbligata a vivere il terrore con leggerezza e l’unico momento in cui si fa scura in volto è quando le viene chiesto se abbia mai maneggiato armi da fuoco. I primi razzi russi, il 24 febbraio scorso, sono caduti proprio a poche centinaia di metri dal suo appartamento nella periferia di Kiev e forse anche per questo lei mantiene un suo codice d’onore: non si esibisce più da febbraio e continuerà lo sciopero fino a quando non tornerà la pace.
Per i giovani ucraini finire sotto l’occupazione russa significherebbe riportare le lancette indietro nel tempo. Dyma ha 21 anni ed è originario di Luhansk. Con l’inizio della guerra nel 2014 aveva trovato rifugio a Kharkiv, ma quest’anno è dovuto scappare di nuovo e rifugiarsi a Kiev. Sta in piedi accanto al bar di una fabbrica dismessa, dove è in corso un rave party a tutti gli effetti. Al piano terra, davanti alla dark-room - una stanza priva di luce dove è possibile appartarsi per consumare rapporti sessuali - una donna minuta in abiti succinti di pelle nera e borchie porta al guinzaglio un sacripante mascherato che sfiora i due metri. Potrebbe sembrare Berlino, invece è Kiev. Nello scantinato ci sono centinaia di corpi pressati uno contro l’altro che ondeggiano sulle note della musica techno: «Gli americani e gli europei combattono le loro battaglie culturali», afferma Dyma: «Anche noi vorremmo andare verso il futuro, ma la guerra ci spinge verso il passato».
La necessità di dimenticare la guerra anche solo per qualche ora è palpabile. A settembre la linea nazionale per la prevenzione dei suicidi ha ricevuto 2.775 chiamate: circa il triplo rispetto alla norma. Chi riesce a scampare alle barbarie russe spesso convive con lo shock post-traumatico e la sindrome del sopravvissuto. Distrarsi diventa una questione di vita o di morte. E così, nonostante Kiev sia nuovamente sotto attacco, i rave vanno avanti. Oltre a offrire una valvola di sfogo a migliaia di persone, questi eventi underground hanno uno scopo ben preciso: raccogliere fondi per la resistenza. Come racconta il 25enne Mykhail Maliarchuk, tra gli organizzatori dell’evento nella fabbrica dismessa: «Noi lavoriamo spesso con Rebuild Together», un collettivo che raduna volontari per ricostruire i villaggi colpiti dal conflitto. «L’atto di costruire qualcosa durante una guerra è la risposta più potente che una comunità possa offrire», chiosa Mykhail.
La guerra però è entrata in una nuova fase: gli attacchi russi si concentrano sull’infrastruttura energetica e gli abitanti della capitale fanno incetta di power-bank. Dopo aver fallito la conquista del Paese con la forza, i russi sperano di staccare la spina all’elettricità e al riscaldamento ucraino. Se così fosse, a Kiev dovrà fermarsi anche la musica.