In un rifugio di Oulx chi va verso la Francia riceve scarponi e giubbotti. Perché deve affrontare una notte di cammino in condizioni estreme

Il paesaggio montano di Oulx, a 1.100 metri, toglie il fiato per la bellezza. Ma a volte anche per un altro motivo. Non lo stupore, ma la fatica, la paura e il gelo spezzano il respiro dei migranti che provano ad attraversare la frontiera del nord ovest italiano, a pochi km dalla Francia. Non è ancora finito settembre e al mattino la temperatura già tocca gli zero gradi. Al rifugio, una struttura comprata ai Salesiani e gestita da una rete di associazioni, ci sono una settantina di persone, tra uomini, donne e bambini. «Non hai freddo?», chiediamo a un ragazzino in t-shirt. Arriva dalla Siria, è sbarcato in Calabria e ha attraversato tutta l’Italia durante l’estate. Ora che è in montagna, non ha i vestiti adatti. «Adesso vado a chiedere una felpa», dice indicando la struttura.

 

Al pian terreno del rifugio c’è una stanza guardaroba con cappotti, pantaloni, maglioni. Ogni cosa è stata donata dalla società civile ed è a disposizioni dei migranti che vogliono lasciare l’Italia attraversando le montagne. «Tesoro, se vai su con queste ciabattine, ti congeli i piedi e ti fai male, prova queste», dice Sofia Pressiani, porgendo al ragazzo un paio di stivali. Lei è una delle volontarie che gestisce il rifugio e insieme agli altri cerca di tenere il conto degli arrivi. «Non è semplice, perché il turnover è quotidiano», spiega Sofia: «Alcuni arrivano alle tre del mattino, altri partono senza avvisare. Quindi, il calcolo non torna mai precisamente». Al rifugio di Oulx nessuno si ferma più di una notte, a meno che non abbia qualche problema fisico che risolvono subito Rainbow for Africa e Medu, medici per i diritti umani. Ormai quasi alla fine del tragitto, l’urgenza di arrivare è più forte di qualunque altro impulso umano. Bastano 10-12 ore di riposo e poi tutti proseguono la marcia, per quell’ultimo miglio. «I flussi sono cresciuti nell’ultimo periodo. A luglio, ci sono stati 710 arrivi, ad agosto 843 e al 16 settembre siamo già a 677. Il che vuol dire che, probabilmente, chiuderemo superando le mille persone», spiega Rita Moschella, un’altra delle volontarie del rifugio.

MICHELE LAPINI

A Oulx arrivano molti di coloro che sbarcano a Lampedusa o in Calabria, ma arrivano anche i migranti che percorrono la rotta balcanica e che voglio andare in Francia o in Germania. Arrivano a pezzi al rifugio e hanno bisogno di essere curati, di dormire. Poi ripartono e prendono l’autobus per Claviere. Da lì si arrampicano sulle montagne e provano a scavallarle, per poi raggiungere Briancon, in Francia. «Se ci riescono, il viaggio poi prosegue abbastanza facilmente. Ma spesso i migranti vengono fermati dalla polizia di frontiera e vengono rimandati indietro», racconta Piero Gorza, antropologo culturale che vive praticamente da sempre a Oulx e conosce bene quella rotta migratoria. «Le guardie di frontiera respingono soprattutto i più vulnerabili, coloro che magari hanno problemi fisici e sono lenti oppure puntano le famiglie con bambini», spiega ancora Piero.

 

Attraversare le montagne tra Italia e Francia è micidiale. I pendii sono appesi, la strada è lunga e difficile già normalmente, in estate per esempio. Figurarsi in inverno, con -20 gradi e la neve che rallenta il cammino. In due, quest’anno, sono morti. «Succede spesso che i ragazzi arrivino qui con una mappa e sanno che un amico ha fatto questo percorso. Non si rendono conto, però, che è molto diverso farlo in inverno. Possono morire, non solo di freddo, ma anche sotto le slavine. Per questo li attrezziamo, affinché almeno non crepino congelati», spiega Sofia Pressiani. Soprattutto di notte. I migranti iniziano a muoversi durante le ore di buio, per cercare di sfuggire ai controlli. Ma è proprio allora che la polizia li intensifica ed è pronta a respingere.

 

È un paesaggio dalle caratteristiche ambivalenti, quello della valle di Susa. Di giorno è paradiso per escursionisti, sciatori, vacanzieri. Di notte diventa teatro di una caccia all’uomo, senza pietà. La polizia si apposta dietro ai piloni degli impianti sciistici e scruta le montagne con binocoli termici. Poi ci sono i droni, che riescono a individuare persone anche sotto la vegetazione. Il 19 settembre scorso, è stato firmato un accordo che prevede pattuglie miste di carabinieri e componenti della gendarmeria francese proprio nelle zone di Oulx e di Susa. Sono già al lavoro in questi giorni, sia nell’Alta Valle, sia sul versante transalpino, in Alta Savoia.

Ed è solo l’inizio. «Siamo preoccupati per la vittoria di Giorgia Meloni», dicono gli operatori del rifugio. «Ci stiamo già preparando ad un aumento delle denunce per immigrazione clandestina, alle retate, agli sgomberi». L’organizzazione del centro è una macchina perfetta che è sempre pronta ad assistere chi ne ha bisogno. «Non ci lasceremo intimidire. Continueremo, perché l’umanità, il diritto di esistere, la dignità nessun risultato elettorale le potranno mai spazzare via». Preoccupate anche le associazioni che cooperano con il rifugio di Oulx. Dall’altro lato della montagna, a Briançon, infatti, c’è “Terrasses solidaires”, un gruppo cui i migranti che arrivano possono rivolgersi per chiedere aiuto. È lì che avviene lo scambio delle scarpe. «Quando i migranti arrivano a Oulx, noi gli diamo gli scarponi o i doposci . E non appena arrivano a Briancon, li lasciano lì per indossare scarpe normali. In questo modo, l’attrezzatura da montagna può tornare a noi, per essere riutilizzata», spiega ancora Sofia. Un piccolo gesto di solidarietà e forse anche simbolo di un’umanità in grado di resistere e rinnovarsi.

 

Mentre siamo al rifugio, un gruppo di migranti chiede dei giacconi, dei calzettoni pesanti e una sciarpa. L’indomani prenderanno l’autobus per Claviere. «Voglio andare in Germania, c’è la mia famiglia e sono sei mesi che sono in giro», dice un ragazzetto, poco più che maggiorenne. «Mi è caduta una bomba in testa e sono vivo per miracolo. Sono rimasto in Siria per un po’ ma la situazione era tremenda e non c’era lavoro. Sono dovuto scappare via». Uno sguardo malinconico e un sorriso a mezza bocca. Lo ritroviamo il giorno dopo sul pullman che percorre quei pochi km, fino alla frontiera. In quei 25 minuti di viaggio, i migranti sono in silenzio, quasi in raccoglimento, perché sanno che si gioca tutto lì il loro destino.

 

Col naso schiacciato al finestrino ci sono anche due bimbe siriane, non avranno neanche quattro anni e dovranno scarpinare per chilometri in salita, col buio. Lo stesso dovrà fare la ventunenne libica che ha con sé un bimbo di 11 mesi in braccio e un figlio in arrivo nella pancia. È arrivata al centro talmente distrutta che ha dormito per 12 ore di fila, senza neanche mangiare. E quando alla fine si è alzata dal letto si è sentita male. È dovuto intervenire il medico, per poi capire che è fortemente anemica e mal nutrita. Il suo piccolino no, con una serafica dolcezza passa di braccio in braccio, sorridendo a tutti come se ci conoscesse da anni. «Qui si intrecciano storie e vissuti», spiega Piero Gorza. «E si sperimentano sulla pelle diverse dinamiche: quella dell’inclusione e dell’esclusione e quella del guadagno e della perdita».

 

Anche a Oulx, come in tutte le altre frontiere europee, si toccano con mano le disuguaglianze e l’incongruenza delle politiche migratorie. L’incremento degli arrivi a Oulx è legato all’aumento degli sbarchi durante l’estate. Quando, come abbiamo raccontato su queste pagine, flussi di migranti sono stati quasi spinti verso l’Europa, senza nessun tipo di impedimento. Guarda caso, lo stesso è avvenuto parallelamente lungo la rotta balcanica. Al rifugio sono arrivati degli afghani che sono riusciti a fare tutto il percorso in meno di 50 giorni. Niente rispetto ai cinque mesi di media che prima di questa primavera servivano per passare di Paese in Paese, dalla Bulgaria all’Italia. «Ora che ha vinto la destra, le cose potrebbero cambiare di botto anche se non siamo sicuri che i flussi diminuiranno», spiega un operatore umanitario. Aumenteranno certamente i morti, i muri e gli affari per i trafficanti.