Dossier
Ministero del Sud cancellato e ok all’autonomia: così il governo Meloni abbandona il Mezzogiorno
Pochi esponenti delle regioni sotto Roma nei ruoli di governo, il dicastero di Musumeci ridotto a una scatola vuota e costretto a cambiare nome. E poi il via libera alla riscrittura del Pnrr. il meridione viene tradito un’altra volta dal nuovo esecutivo
Sedotti e abbandonati. Elettori di centrodestra e classe dirigente del Mezzogiorno in queste ore si sentono lasciati al loro destino dai partiti e dal duo trainante del governo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia e il vice presidente e ministro straparlante Matteo Salvini della Lega.
Un Sud abbandonato non solo nelle scelte recenti per la formazione del governo, appena quattro ministri che vivono al di sotto di Roma, ma anche nella compagine dei sottosegretari e nella guida dei gruppi parlamentari. In soldoni, non ci sono esponenti delle regioni meridionali nelle stanze dei bottoni e anche l’agenda politica non sembra delle migliori: taglio del reddito di cittadinanza, unica risorsa spesso nelle aree dove non c’è lavoro vero; autonomia differenziata in stile leghista spinto; rimodulazione del Pnrr che andrebbe in danno alla quota del 40 per cento stanziata per il Mezzogiorno, tanto che i sindaci meridionali stanno protestando a Bruxelles. Ma anche il fantomatico Ponte sullo Stretto sembra più un favore alle grandi imprese del Nord che non a Calabria e Sicilia che non hanno oggi infrastrutture stradali e ferroviarie degne di un Paese moderno. Insomma, il messaggio del governo Meloni sembra chiaro: addio Sud, terra di 5 stelle e di pessima classe politica e dirigente.
A sorprendere elettori e dirigenti meridionali, anche qui alcuni saliti in fretta sul carro di Fratelli d’Italia, sono anche le prime scelte e gli annunci del governo Meloni che riguardano il Mezzogiorno. A partire dalla squadra di governo: tredici ministri hanno radicamento in regioni del Nord, appena quattro quelli che davvero vivono sotto Napoli, o ci hanno vissuto di recente. Nello Musumeci, che ha avuto inizialmente la delega al Sud, Raffaele Fitto, che ha avuto la delega agli Affari europei, politiche di Coesione e Piano Nazionale di ripresa e resilienza, il campano Gennaro Sangiuliano alla Cultura e la sarda Marina Elvira Calderone che si occuperà di Lavoro e politiche sociali.
Difficile considerare del Sud Adolfo Urso, che da anni ormai vive fuori dalla Sicilia con la sua famiglia e non ha alcun collegamento elettorale con l’isola, stesso discorso con il presidente del Senato Ignazio La Russa, milanese d’adozione e con il figlio che è socio in aziende della galassia Berlusconi. Dunque, pochissimo Mezzogiorno a Palazzo Chigi.
Ma il segnale chiaro del disinteresse al tema è lo svuotamento del ministero del Sud: Musumeci non ha avuto le deleghe principali che avevano i suoi recenti predecessori Giuseppe Provenzano e Mara Carfagna, è cioè quelle alla Coesione territoriale e al Pnrr per le regioni meridionali. Aveva il compito di redigere un Piano Sud in raccordo con altri ministeri e siederà al tavolo interministeriale sul mare e sulle spiagge, lasciate da Daniela Santanché perché in palese conflitto di interesse avendo quote nel Twiga di Flavio Briatore a Forte dei Marmi, con concessione ridicola rispetto ai fatturati.
Musumeci avrebbe dovuto fare molti convegni e come contentino ha poi avuto la delega alla Protezione civile, che non riguarda certo politiche per il Mezzogiorno. Tanto che, in uno scatto di orgoglio, ha chiesto di cedere la delega vuota del Sud a Fitto, e rimanere soltanto con quella della protezione civile e il coordinamento del tavolo interministeriale sulla spiagge (perché anche la delega al mare di fatto è vuota non avendo pesca e porti rimasti ad Agricoltura e Infrastrutture).
In compenso siederà in Consiglio dei ministri, per carità, ma con poca o nulla voce in capitolo perché già siede in un ministero senza portafoglio e in più non ha deleghe economiche: difficile che possa contrastare alcune politiche che invece porteranno avanti i colleghi lombardi. A partire dall’autonomia differenziata. Negli ultimi giorni è circolata la bozza scritta da Calderoli e che nelle intenzioni del ministro per gli Affari regionali e le autonomie deve essere approvata senza correzioni da parte di Palazzo Chigi.
Una bozza condivisa da Calderoli con i governatori di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, due su tre leghisti ma con il dem Stefano Bonaccini che sul tema è sulla stessa lunghezza d’onda della Lega: un testo che non è stato discusso in alcuna commissione parlamentare. Una bozza che di fatto non dà regole chiare e prevede sempre il criterio della spesa storica, se non per alcune eccezioni sulle quali si fa riferimento a Livelli essenziali delle prestazioni, tutti ancora da definire.
Ma il governo Meloni ha già annunciato altre azioni che non premiamo i territori più fragili: il taglio al reddito di cittadinanza per gli idonei al lavoro, che nelle aree senza imprese e produzione resteranno comunque disoccupati. Un tema chiave per la tenuta sociale di periferie e città meridionali, che non può essere affrontato senza azioni complesse e organizzate. Ma il governo sul reddito di cittadinanza vuole andare dritto, come ha detto la presidente Meloni.
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C’è poi un altro spauracchio per le regioni meridionali: l’annunciata rimodulazione del Pnrr, che rischia di andare in danno alla quota 40 per cento fissata per il Mezzogiorno. A proposito: il governo Draghi ha sì fissato questa quota, di poco superiore a quello che spetterebbe comunque in base alla popolazione e insufficiente per ridurre i divari di cittadinanza, ma non ha fatto nulla per aiutare le amministrazioni meridionali ad avere professionalità in grado di redigere progetti per partecipare ai bandi. Così le risorse al Sud non stanno arrivando nella quota prefissata e il sindaco di Milano Beppe Sala in tempi non sospetti ha detto: «Siamo pronti a spendere le risorse non utilizzate del Pnrr». Cioè quelle del Sud.
Contro la riscrittura del Pnrr si stanno mobilitando molto sindaci meridionali confluiti nella rete Recovery Sud, che raggruppa quasi cento Comuni. «Non accettiamo l'assalto ai finanziamenti del Pnrr che i Comuni e le lobby politico-economiche del Nord stanno lanciando contro un piano che già di per se è insufficiente a colmare i divari storici che ci condannano agli ultimi posti nelle classifiche europee su Pil, occupazione, infrastrutture e servizi sociosanitari», dice il sindaco di Acquaviva, Davide Carlucci. Il governo Meloni-Salvini sembra però pensare a tutt’altro che al Mezzogiorno. E se per il ministro della Lega la sorpresa sarebbe in fondo stata se avesse agito al contrario, la sorpresa vera è Meloni: che voglia così un po’ punire le regioni feudo dei grillini di Giuseppe Conte?