L’Italia sta facendo passi avanti per contrastare la dispersione, ma un altro fenomeno cresce nel silenzio: la competizione tra scuole o sezioni per accaparrarsi gli studenti migliori, che dall’altra parte genera classi “ghetto”

Dobbiamo iniziare a parlare del problema della segregazione scolastica

L’Europa intende ridurre al nove per cento la dispersione scolastica entro il 2030. In Italia il miglioramento è indiscutibile: dal 19,6 per cento di dispersi nel 2008, al 12,7 del 2021. Un buon risultato considerato però che quando le percentuali si riducono, gli allievi a rischio vivono situazioni di marginalità più radicata ed è difficile accompagnarli al successo scolastico. È tuttavia troppo poco, sia per gli standard europei, sia perché parliamo di grandi numeri, 517mila giovani. E, come suggerisce Invalsi, più di un allievo su cinque arriva al diploma con risultati deludenti, privi di un bagaglio di conoscenze e competenze utili per affrontare con sicurezza le sfide della vita e del lavoro, per l’esercizio di una cittadinanza colta, riflessiva. Un percorso scolastico verso l’esclusione, nel corso del quale molto spesso si è accumulata sfiducia nelle proprie potenzialità, è la premessa dello zoccolo duro e più difficile da trattare.

 

Le medie statistiche nascondono realtà molto diverse, con disuguaglianze che il Covid-19 ha accresciuto. Differenze geografiche con il Nord Est già in linea con gli obiettivi europei, mentre, all’opposto, la Sicilia si avvicina al doppio della media nazionale. Insieme ai fattori di contesto oggi l’attenzione va però centrata anche sul fenomeno emergente, non solo in Italia, della segregazione scolastica. Le scuole, anche le elementari, sono in competizione per accaparrarsi gli allievi migliori che possono scegliere, anche fuori dal bacino di residenza, di frequentare quelle di migliore qualità. È un fenomeno poco studiato dai pedagogisti, che preoccupa chi ha responsabilità nella programmazione urbana: molto del traffico che imbottiglia gli automobilisti nelle prime ore del mattino ha infatti a che fare con le mamme che portano i loro bambini in scuole lontane da casa.

 

Un bello studio di Costanzo Ranci del Politecnico di Milano stima che nella sua città ben il 60 per cento delle famiglie fin dalla prima elementare sceglie di frequentare una scuola non di zona. Un fenomeno che, seppure in proporzioni meno elevate, caratterizza un po’ tutte le grandi città e che, soprattutto al Sud si realizza anche nella variante della scelta del plesso o della sezione migliore della stessa scuola. La possibilità di scegliere crea tra le scuole, e talvolta nelle scuole, una composizione degli allievi socialmente molto più polarizzata di quanto non lo sia quella del quartiere di residenza. Nelle scuole scelte dagli allievi “migliori” si genera un circolo virtuoso per cui i dirigenti e gli insegnanti sono più stabili in modo tale che, nonostante i meccanismi di allocazione delle risorse - insegnanti e laboratori - siano formalmente gli stessi, esse riescono a garantire maggiore qualità e alti valori aggiunti agli allievi che le frequentano. Al polo opposto le scuole, tendenzialmente di periferia, che raccolgono i figli di quanti non hanno la possibilità (talvolta anche solo culturale) di scegliere, sono frequentate da allievi i cui genitori hanno titoli di studio più bassi, spesso sono di origine straniera, e in generale esprimono una domanda meno solida di istruzione, più finalizzata al titolo, al pezzo di carta, che non al possesso di competenze. In queste situazioni il circolo si inverte, gli insegnanti sono spesso precari, gli ambienti di apprendimento più fatiscenti e anche le pur cospicue risorse dei Pon non hanno dimostrato nel corso di questi anni di produrre miglioramenti significativi.

 

Il tema della dispersione resta quindi sicuramente ancorato al contesto sociale e culturale che nel nostro Paese sconta un passato di bassa scolarità, ma sempre di più si fa centrale il modo in cui le scuole che di più sono in difficoltà possano essere accompagnate in un percorso di miglioramento che consenta anche a loro di valorizzare i talenti degli allievi che sono loro affidati.

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