Il capitalismo sta uccidendo il pianeta: ingabbia la natura, le toglie ogni diritto. Il modello di consumo occidentale è responsabile della crisi climatica e sociale di oggi. Per Amitav Ghosh, scrittore, giornalista e antropologo indiano, tutto è iniziato con la scoperta del Nuovo Mondo che ha aperto a una visione meccanicistica delle terre di conquista, risorse da sfruttare e non entità vive, autonome e ricche di significato. Per Elizabeth Kolbert, scrittrice americana e reporter del New Yorker, è tardi per riportare la natura a quella che era prima dell’intervento dell’uomo: neppure l’immediata dismissione di secoli di progresso potrebbe salvarci. Così è necessario, almeno, guardare con attenzione a tutti i tentativi per contrastare la crisi climatica. Anche ai più stravaganti.
In “La maledizione della noce moscata”, l’ultimo libro di Ghosh, la distruzione di un villaggio nell’arcipelago delle isole Banda, in Indonesia nel 1621, da parte degli occupanti olandesi, per avere il monopolio sulla spezia, è la parabola della devastazione del colonialismo occidentale e delle sue conseguenze che arrivano a oggi. “Sotto un cielo bianco” di Kolbert, invece, è un viaggio tra le soluzioni tecnologiche immaginate degli scienziati per salvare il pianeta: dalla possibilità di schermare le radiazioni solari iniettando nell’atmosfera particelle di calcite, di solfato, o di diamante, agli esperimenti per trasformare l’anidride carbonica in roccia.
Siamo in una situazione così drammatica che anche i tentativi meno convenzionali di contrastare la crisi devono essere presi in considerazione?Elizabeth Kolbert «La mia ricerca parte proprio da questa domanda. Il libro ci introduce all’idea che dobbiamo pensare a nuove soluzioni per contrastare il cambiamento climatico, perché lasciare che la natura ripari se stessa non è più un’opzione percorribile. Quindi è possibile che dovremmo affidarci a soluzioni tecnologiche che tentano di risolvere problemi creati da chi cercava a sua volta soluzioni tecnologiche a problemi precedenti».
Amitav Ghosh «Occorre tentare molte strade. Anche perché si è visto che le vie convenzionali non funzionano. Faccio un esempio: le due attiviste che alla National Gallery di Londra hanno lanciato la zuppa al pomodoro sui “Girasoli” di van Gogh hanno scatenato reazioni in tutto il mondo. Incluse quelle di molti esperti che condannano il gesto. L’azione delle due attiviste potrà pur essere futile ma ha suscitato un’attenzione a livello planetario. E a me sembra ottimo se le persone, anche per effetto di quest’azione mediatica, si pongono delle domande. Il mondo si indigna tanto per lo sfregio fatto su un’opera d’arte ma a nessuno importa degli alberi che abbiamo davanti casa».
Come siamo arrivati a questo punto?
E.K. «Dobbiamo capire se arriveremo mai, a livello globale, a essere così disperati da pensare di ricorrere alla geo-ingegneria per contrastare il cambiamento climatico. Uno degli scienziati con cui ho parlato, un chimico tedesco, ha detto: “All’inizio, stranamente, non ero preoccupato come adesso. Perché l’idea che la geo-ingegneria potesse diventare realtà mi sembrava remota. Con gli anni, però, vedendo che le iniziative per salvaguardare il clima languivano, ho cominciato ad avere paura che potesse accadere sul serio. E la cosa mi mette molta ansia”».
A.G. «Tra le conseguenze tremende della concezione meccanicistica della natura è che gli stessi metodi ora vengono utilizzati anche dalle élite degli Stati del sud del mondo. Parlo del colonialismo di tipo estrattivo, una forma di autocolonizzazione. Significa scavare all’interno dei propri Paesi per estrarre risorse, come hanno fatto i colonialisti bianchi in America o in Australia, di fatto sottraendole ai nativi. L’autocolonizzazione si presenta come un sistema economico ma concentra la ricchezza in un gruppo esiguo di ultramiliardari. Lo sa che in India abita il secondo uomo più ricco del mondo? Si tratta del proprietario di uno dei più grandi gruppi di estrazione del carbone».
Il suo libro contiene anche un invito a riflettere sulla responsabilità delle azioni umane. La Storia dovrebbe avercelo insegnato ma non capiamo?
E.K. «A quanto pare impariamo lentamente. Basta guardare la Storia per capire che ci sono molti schemi che ripetiamo anche se sono molto distruttivi. C’è una guerra ora, non lontano dall’Italia. Che scopo ha? Eppure, la portiamo avanti. Analizzo nel libro proprio questi schemi che sembra che le persone ripetano inconsciamente. Su cui, invece, dovremmo riflettere di più. Non nutro molta speranza che l’umanità abbia un’improvvisa illuminazione».
A.G. «Ci è stato insegnato che cose denominate “progresso, sviluppo, ricchezza” sono obiettivi da perseguire. Che il nostro benessere dipende dal numero di appartamenti, automobili o frigoriferi che possediamo. È dal 1990 che non facciamo altro che diffondere il messaggio per cui lo stile di vita statunitense è il migliore possibile. Un’assurdità se si considerano gli esiti a livello sociale, su salute pubblica, mortalità e violenza provocata dalle armi da fuoco. Eppure, questo modello consumistico è stato spinto a tutta forza».
Qualcuno, però, che sembra aver chiara la necessità di invertire la rotta c’è. Sono soprattutto i più giovani e i movimenti che partono dal basso. Perché godono ancora di poca considerazione tra gli esponenti politici e imprenditori?
E.K. «Ci sono molte persone che hanno compreso la gravità della situazione. I Fridays for Future e i giovani che manifestano hanno chiara la posta in gioco. Ma viviamo in un mondo in cui è la maggioranza a governare, siamo in democrazia. In Italia, ad esempio, ci sono da poco state le elezioni. Il contrasto al cambiamento climatico non è stato tra i temi principali della campagna elettorale: si è parlato di buttare fuori gli immigrati, ecco cosa catalizza l’opinione pubblica. Così, ci si chiede: “Perché dopo un’estate anomala come quella passata non se ne è parlato?”. Devo davvero sottolineare che non si può tornare indietro nel tempo? Possiamo solo scoprire quanto la situazione peggiorerà. Le estati potranno solo diventare più calde. E perché questo non è stato un problema durante le elezioni? Ditemelo voi».
A.G. «Tra i segnali più incoraggianti c’è il movimento di quanti ripropongono uno stile di vita semplice, forse più antico: tornare all’agricoltura. In generale, i movimenti guidati dai giovani, ad esempio a Occupy negli Stati Uniti, mostrano che è possibile costruire un modello di vita diverso. Le energie che si muovono nella direzione giusta ci sono, ma i movimenti green in Europa sono incapaci di attingere a queste energie. Da decenni i Verdi si sono trasformati in un gruppo di tecnocrati che cerca di entrare nelle cabine di regia, senza essere capaci di costruire e sostenere i sentimenti, gli atteggiamenti anti-establishment. Doveva essere un compito della sinistra che, invece, ha perso la capacità di creare una vera controcultura. È evidente nei fatti: la controcultura oggi proviene dalla destra ed è pericolosa».
Con la “Sesta estinzione” ha raccontato come la capacità di distruzione degli esseri umani ha rimodellato il mondo naturale, in “Sotto un cielo bianco” invita i lettori a concentrarsi sulle sfide per salvare il pianeta. Che conclusioni trae da questo reportage?
E.K. «“Sotto un cielo bianco” è il passo successivo alla “Sesta estinzione”. Dopo aver compreso la situazione: che vogliamo fare? Dobbiamo agire. L’impulso degli esseri umani a cercare una soluzione tecnologica, e a comprendere la sua fattibilità, resta una questione aperta. Come sottolinea uno degli scienziati che ho intervistato, Klaus Lackner, un meraviglioso personaggio tedesco che lavora negli Stati Uniti: “Dobbiamo togliere l’anidride carbonica dall’atmosfera. Se la teniamo lassù, è molto pericolosa. Dobbiamo toglierla”. Ha poi aggiunto: “L’iPhone è in commercio dal 2007 e oggi ce ne sono almeno un miliardo in circolazione”. Per dire che quando gli uomini si mettono in testa di fare qualcosa, sono davvero bravi a mobilitarsi».
Dalla ricerca per la “Trilogia dell’Ibis” prende vita “La maledizione della noce moscata”. All’interno c’è l’invito ad ascoltare la natura: per salvare il pianeta serve un approccio olistico alla scienza. Che conclusioni trae dalla possibilità di costruire un dialogo tra umani e forze invisibili?
A.G. «Parlo di fare attenzione alle forze vitali che esistono e si esprimono nel nostro pianeta. In parte sta succedendo: ci sono tanti movimenti che si battono per i diritti della natura, come in Nuova Zelanda dove la Corte suprema ha attribuito ai fiumi una personalità giuridica. I più importanti movimenti di resistenza alla crisi ambientale si fondano sui principi del vitalismo. Ma guardando all’Europa le considerazioni sono tristi: praticamente tutte le foreste sono state abbattute. È deplorevole come l’Unione europea abbia spinto un modello di agricoltura industriale che danneggia l’ambiente. Nei Paesi Bassi, ad esempio, ci sono più suini d’allevamento che esseri umani. I suini producono quantità enormi di rifiuti che creano una crisi devastante per un Paese così piccolo. Tra le conseguenze c’è, infatti, che i movimenti in lotta per l’ambiente sono in conflitto con gli allevatori locali. Assurdo. È impossibile recuperare i principi di uno stile di vita improntato al vitalismo con una pressione così forte».