L’intervento
Smettiamola di parlare di migranti solo come un’emergenza
Bisogna uscire dallo schema del discorso imposto dalle Destre, perché le derive securitarie sono causa di illegalità. Mentre i flussi controllati sono l’antidoto a schiavitù e clandestinità
Per superare i blocchi fisici, bisogna smontare quelli mentali. Questo è necessario per evitare di riaprire l’ennesimo inutile dibattito sull’immigrazione, che rischia ancora una volta di essere sempre identico a sé stesso.
Per farlo è necessario dare voce ai diretti interessati. Non parlo solo dei migranti, ma anche degli individui e delle comunità che stanno a stretto contatto quotidiano con persone che decidono o sono costrette a migrare: operatori della cooperazione, del welfare interculturale, dell’assistenza legale, dell’accoglienza. Sono centinaia di persone, di origine italiana e non, profondamente informati su dinamiche reali, su distorsioni amministrative, incongruenze legali, e anche tensioni psico-sociali, che andrebbero costantemente tenute al centro delle scelte e delle direzioni da prendere.
Senza il loro contributo è inevitabile che il punto di vista sull’immigrazione di cui ci occupiamo sia sempre lo stesso da oltre 20 anni: come ridurre il numero di arrivi irregolari. Questa prospettiva è l’unica consegnata dalla classe politica all’opinione pubblica, perché ripete e conserva lo schema di cittadini non coinvolti e preoccupati che temono la pressione di non cittadini coinvolti e disperati. In mezzo non c’è nulla, sembra non esserci nulla, tranne il ministro di turno che propone la nuova bacchetta magica all’eterno problema, continuando a spendere miliardi di fondi pubblici nella solita e unica direzione della gestione securitaria della frontiera.
È necessario interrompere questo schema. Il Forum per cambiare l’ordine delle cose, nato cinque anni fa da un’assemblea di oltre 500 persone a Roma, prova a fare esattamente questo. È oggi, in modo libero e interattivo, uno spazio di confronto costante di decine di realtà nazionali e locali che partendo da esigenze reali propone cambiamenti delle politiche migratorie. Lo farà anche il 9 novembre a Roma, alla sala della Protomoteca in Campidoglio, grazie al patrocinio dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Roma, lanciando una provocazione, seria e tutt’altro che simbolica: come liberare flussi di migrazione regolare. Flussi di energia, così si è deciso di definirli, movimenti che se gestiti con il principio del favorirne la regolarità possono diventare motori di energia sociale, economica e culturale di cui il mondo ha infinito bisogno.
Se il flusso invece viene imbavagliato e bloccato, l’energia si disperde producendo sprechi molto dannosi: i migranti viaggiano in modo illegale e rischioso, finanziando organizzazioni criminali e milizie di stati dittatoriali, e gli Stati che cercano di proteggersi agiscono con misure sempre più lontane dal rispetto dei diritti, finanziando aziende private multinazionali specializzate in sistemi di sicurezza sempre più costosi. Secondo gli ultimi dati del dossier immigrazione Idos da poco presentato sono circa 280 milioni le persone che vivono in Paesi diversi dal proprio, di questi circa un terzo ha viaggiato in modo irregolare, senza poter accedere a vie regolari e sicure, e vengono definite statisticamente «migranti forzati». La domanda è quanti di questi migranti forzati non lo sarebbero se potessero muoversi in modo regolare? Certamente esiste una parte importante di migrazione forzata che è causata da crisi umanitarie ed ambientali a cui andrebbero garantite vie di fughe sicure e diritto alla protezione. Ma la sensazione di chi quotidianamente lavora a contatto con i migranti, forzati e non, è che vi sia una percentuale rilevante di forzati dalle politiche migratorie stesse.
Operatori dell’accoglienza e della cooperazione internazionale sanno bene che molti dei loro “assistiti” (che nel quotidiano diventato persone, uomini, donne, individui con storie, idee, desideri) avrebbero potuto evitare la forzatura, l’illegalità, ma l’hanno dovuta scegliere come unica possibilità. Molti di loro sapevano anche chi raggiungere, dove andare e anche cosa fare. Avevano un progetto e anche i fondi per attuarlo, ma hanno dovuto invece trasformarsi, fisicamente non simbolicamente, in disperati in cerca di protezione. I «finti profughi» direbbe qualcuno: ebbene sì, sono finti in partenza, ma lo diventano necessariamente all’arrivo, se sopravvivono. Andrebbero trasformati in veri migranti regolari, e non respinti violentemente come «finti».
Ma è lo schema incancrenito del dibattito sull’immigrazione che impedisce di cambiare davvero rotta. L’esempio più lampante è quello economico (anche se per il Forum non può e non deve essere l’unica prospettiva con cui affrontare il tema). Non c’è più alcun dubbio che le economie e le società più ricche (il 17 per cento della popolazione mondiale, governata dalla costante e crescente urgenza di proteggersi) hanno in realtà bisogno di attrarre persone, soprattutto giovani, per svolgere lavori in cui l’offerta è ampiamente superiore alla domanda autoctona e per rendere sostenibile il proprio sistema contributivo e di welfare. Questa consapevolezza non si trasforma però mai in costruzione di vie regolari. Perché? Semplicemente perché la gestione securitaria e la sua retorica rendono politicamente (ed economicamente) di più. L’assuefazione dell’opinione pubblica a questo punto di vista sta bloccando la capacità di cambiare lo schema, anche se le condizioni materiali lo richiederebbero.
E così sta succedendo anche in Italia. Lo spiega bene Gianfranco Schiavone, uno dei promotori del Forum: «A vent’anni dalla legge Bossi-Fini sull’immigrazione i canali di ingresso regolari semplicemente non esistono ed entrare irregolarmente e poi restare in qualche modo è quasi l’unica strada percorribile da parte degli stranieri. Eppure una riforma delle norme su ingressi e soggiorni che prevedano effettivi canali di ingresso per lavoro e ricerca di lavoro che eviti agli stranieri di finire per anni nel circuito del lavoro nero e del grave sfruttamento, è una strada possibile e necessaria. Tale riforma, liberando un’enorme quantità di energia, darebbe all’Italia sviluppo economico e maggiore sicurezza». Ci vogliamo provare?
L’assessora Barbara Funari, che ha deciso di promuovere l’incontro a Roma, lancia un appello: «I flussi migratori sono per l’appunto flussi, come tali regolabili e canalizzabili, almeno in buona misura. Sta a noi decidere se lasciarli all’anarchia di un mercato di vite umane, e alla volontà dei nuovi schiavisti, o assumerci la responsabilità di affrontare i problemi per provare, finalmente, a risolverli. Nell’interesse nostro e di tutti».