Da che mondo è mondo, la destra al potere offre grandi opportunità alla satira. È così anche sotto il governo Meloni? Nel 1994, all’epoca del trionfo di Silvio Berlusconi e Forza Italia alle elezioni politiche, Altan pubblicò una vignetta profetica: due vecchietti seduti sulla panca con il basco di traverso. «Ci tocca vedere un’altra volta i fasci al governo», fa il primo. L’altro replica: «La vita è troppo lunga, ecco il dramma». Davvero lunga, verrebbe da dire.
Per misurare lo stato di salute della satira abbiamo coinvolto Stefano Disegni, disegnatore satirico di lungo corso e autore di programmi tv, e Fabrizio Barca, un tempo voce critica del Pd, già ministro per la Coesione territoriale del governo Monti (oggi non ha incarichi politici), attuale coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità. L’occasione: le sei vignette sul tema delle diseguaglianze firmate da Disegni e completate con una battuta di un sostenitore del Forum, a favore della campagna di raccolta fondi “Insieme per la giustizia sociale e ambientale” sulla piattaforma Produzioni dal Basso, pubblicate nelle scorse settimane su L’Espresso, sul sito e sui canali social del Forum.
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Barca, Disegni, qual è lo stato di salute della satira?
Stefano Disegni: «È una domanda che torna ciclicamente. Più che di satira, però, parlerei di autori di satira. La gettata che tirò fuori gente come me, Vincino, Vauro, non si è ripetuta. Questo non toglie che oggi esistono figure di altissimo livello come Zerocalcare. Ma il punto è un altro. Questo è un Paese in cui in edicola non trovi un giornale di satira, dal punto di vista culturale è grave. Oggi le scuderie sono sparite, in questo senso la satira è in crisi. Ma gli autori resistono, la satira esiste dai tempi di Tito Maccio Plauto ed esisterà sempre. È un’eruzione spontanea».
Fabrizio Barca: «Mi domando se l’assenza di scuole sia un altro segno dell’impoverimento del nostro Paese. Ma c’è anche un’altra cosa che non capisco: esistono momenti della Storia in cui gli autoritarismi sono compatibili con la satira, penso all’Unione Sovietica degli anni Settanta e Ottanta, in cui esisteva una satira interessante, organizzata, per certi versi quasi tollerata. A volte la satira viene tollerata dai regimi purché non travalichi certi limiti, è uno sfogatoio. Ma giro la domanda a Stefano: quel gruppo di disegnatori che a Bologna si è cimentato a difesa della Costituzione rappresenta un’eccezione?».
Disegni: «Sarò pessimista, ma temo sia un’eccezione. Tuttavia mi pongo un’altra domanda: quanta richiesta di satira c’è in un Paese addormentato? Una fetta d’Italia la vuole, un’altra se ne frega allegramente».
Non sarà che la politica, con i suoi eccessi, ha superato la parodia?
Disegni: «In effetti, quando Berlusconi dice una cazzata, uno pensa: “Come farò a superarlo?”. L’autore capace invece sfrutta a proprio vantaggio anche le “autosatirizzazioni” dei personaggi per tirare fuori delle maschere in commedia. Anzi, non c’è niente di meglio della gente che sproloquia. Sul Fatto Quotidiano disegno una striscia che si intitola “Monsters & Co.”, in cui ho messo insieme i cinque personaggi del momento: la signora un po’ coatta, il fascista col braccio legato perché sennò gli si alza come il dottor Stranamore, Salvini che sta sempre col telefonino in mano, un signore anziano un po’ rincoglionito e un fanatico religioso che vorrebbe riportarci al Medioevo. Questa striscia sta riscuotendo molto successo, non me l’aspettavo. Non è un problema se i politici sono comici, anzi. Il guaio è quando il personaggio è opaco, Vincenzo Visco o Giulio Tremonti per capirci. Aspetto che Barca ricopra qualche incarico importante, è molto caricaturabile».
Barca: «È un punto interessante. I tecnici che dominano la politica da moltissimo tempo sono meno attaccabili, sono rimasto molto colpito da quanto poco sia stato sfrugugliato Draghi. I tecnici dicono cose oggettive, sono impermeabili alle critiche, non possono essere ridicolizzati. È un altro segno della vittoria del neoliberismo sulla politica».
Oggi i politici si offendono di più rispetto al passato?
Disegni: «Tutti questi politici offesi non me li ricordo. Il politico ha un chilo e mezzo di pelo sullo stomaco, ha a che fare più con magistrati e carabinieri che con i satirici. Alla maggior parte di loro la vignetta può dare fastidio, ma poi se ne fregano, alcuni la considerano una medaglia. Ma il punto è un altro: lavoro per una rivista di cinema, la gente di spettacolo se la prende molto più dei politici. Le querele più pesanti le ho ricevute da personaggi del mondo spettacolo, perché lavorano con la faccia».
Barca: «La difficoltà di intaccare i tecnici attraverso la satira probabilmente è legata al fatto che sono venuti meno i laboratori. Facevate politica, tu Stefano fai politica anche adesso, ma la fai da solo, manca il confronto con gli altri proprio nel momento in cui sarebbe necessario. I personaggi che esercitano il potere lo fanno sotto uno scudo potente della tecnica, manca una comunità in grado di attaccarli».
Da un lato il politicamente corretto, dall’altro la volgarità, il razzismo, la violenza di genere. Come si destreggia la satira tra questi due estremi?
Barca: «Viviamo nell’epoca della fine dell’ipocrisia, che è un freno importante della natura umana. Ipocrisia vuol dire essere consapevoli che certe cose non vanno dette. Sulle donne, sugli omosessuali, sui migranti. Si capisce che le pensi, ma il fatto che tu non le dica produce due risultati. Primo: eviti di affermare cose orrende. Secondo: ti offri alla satira. Chi ti prende in giro può grattare nella frase nascosta, nella dichiarazione in cui non credi. Può far emergere la contraddizione».
Disegni: «Svelare le ipocrisie dovrebbe essere una delle missioni primarie della satira. Personalmente, il concetto di “politically correct” me lo tengo stretto perché non vorrei vedere spalancare le porte a volgarità, insulti e satira di bassissima qualità. Devo poter chiamare negro un nero perché altrimenti sono politicamente corretto? In nome della libertà di parola passano i luoghi comuni più beceri. All’estremo opposto, quello che non accetto del politicamente corretto è che diventa una posa, la mania di cercare il pelo nell’uovo. Una vocale che da “o” diventa “a” perché è necessario, ma poi la parola fa schifo. Direttora al posto di direttore mi pare una cacofonia».
Si usa dire che non è lecito porre limiti alla satira. Vale anche per i simboli religiosi?
Disegni: «Ho disegnato cardinali travestiti da donna, da transessuali che tra loro si chiamano Loretta e Donatella. Ho parlato di pedofilia nella Chiesa, attaccato il loro potere economico. Cristo è nato in una mangiatoia e loro hanno miliardi alle Cayman. Però esito davanti alla ricerca che qualsiasi individuo compie nel corso della sua esistenza. E non mi sento di prendere in giro nessuno: né gli islamici, né gli ebrei, né i cristiani, né gli atei. Non sono credente, per certi aspetti mi reputo cristiano. Non so se Cristo sia esistito, certi valori però li condivido e, se fossero applicati, avremmo meno guerre. Se invece le religioni producono potere, denaro o follia omicida bisogna picchiare duro perché è irrispettoso per la dignità dell’uomo. Lo vediamo anche in Iran».
Barca: «La sacralità è intoccabile, non necessariamente quella religiosa. Un conto è prendere per i fondelli, mostrare le contraddizioni di ricchi signori, indipendentemente dal fatto che siano ebrei, cattolici, protestanti. Un altro è rappresentarli con il naso adunco e far intravedere dietro i simboli dell’ebraismo o magari del comunismo. I limiti devono esserci: se milioni di persone hanno un credo e scelgono un simbolo, ad esempio un crocefisso, prenderli in giro equivale a insultarli».
In una intervista con Il Venerdì di Repubblica, Altan ha detto che alle elezioni ha votato per il Pd perché «non vuole buttare il voto». Voi per chi avete votato?
Disegni: «Per Ilaria Cucchi, ho votato Sinistra Italiana. Faceva parte di una coalizione che volevo sostenere e poi ho voluto sostenere lei come persona. Se c’era Barca votavo per lui».
Barca: «Faccio come ha fatto mio padre dopo lo scioglimento del Partito Comunista Italiano, che non ha mai detto per chi ha votato».
Una delle ultime vignette firmate da Disegni ha come protagonista Giorgia Meloni. «Ogni mattina Giorgia si sveglia sapendo che dovrà correre a tappare la bocca al rincojonito». «Che artro cazzo avrà detto, li mortacci sua!», dice lei. «Amore, sono le cinque…», replica il suo compagno. Il sottotitolo è «Resistiamo, forse durano poco». Il nuovo governo resterà in carica a lungo?
Barca: «Quella battuta mi è piaciuta molto, ci ho visto quella stranissima inconfessabile simpatia per Meloni che molti di noi hanno. Forse non tu, Stefano».
Disegni: «Ti concedo comprensione, simpatia ci devo lavorare».
Barca: «Fai un’operazione intimista senza armarti dell’armadillo, visto che hai citato Zerocalcare. Non hai l’armadillo ma stai “armadillando” Meloni. Non mi convince invece la tua battuta di commento: essendo io un inguaribile veterocomunista, contrario al tanto peggio tanto meglio, mi auguro che riescano a governare. Per un motivo banale: dobbiamo vedere quello che fanno, temo che la fragilità mostrata in Senato dia luogo non a una opposizione matura, ma a un “paciugo” di centro irraccontabile. E questo il Paese non lo merita».
Disegni: «Ammetto che quella battuta è più di pancia che di testa. Non sono così ottimista che durino poco, l’ho scritto, ma ho un punto interrogativo anche io».
Barca: «Ci vorrebbe un’opposizione di sinistra…».
Disegni: «Di cosa? Non ho capito la parola… Opposizione di che?».
Barca: «Ci vorrebbe una opposizione di sinistra, ma richiede un po’ di tempo, visti i chiari di luna».
Aggiornamento del 15 novembre 2022
La precisazione di Giulio Tremonti: “Nessuna querela a Stefano Disegni”