Provano a rosicchiare elettori a Forza Italia e Pd in vista delle Europee. E a chiedere posti al prossimo giro di nomine. Una tattica spregiudicata che però apre grandi spazi a sinistra

Dicono i loro fan: sono i soli a fare ancora politica. Con molta spregiudicatezza. A cominciare dalla temerarietà con la quale si dividono sulla scena. Qui si parla, l’avrete capito, di Calenda & Renzi, profeti del Grande Centro che forse verrà, e del loro fitto dialogo con il governo Meloni che già fa gridare - Letta indignato di qua, Berlusconi preoccupato di là - a nuove maggioranze, a generose stampelle, ad aiuti parlamentari e nomine concordate. Del resto c’è l’illustre precedente dell’ascesa di Ignazio La Russa, no? E sì, ma andiamo con ordine.

 

I due, così diversi tra loro ma noti entrambi per essersi rumorosamente disfatti del Pd, incuriosiscono la destra da tempo. Marcello Pera, per esempio, ex berlusconiano di ferro ora senatore di Fratelli d’Italia, si appellò un anno fa a Meloni perché lanciasse Calenda nella corsa a sindaco di Roma: «È una candidatura d’eccellenza». In quanto a Renzi, l’ex Cavaliere lo considera un figlioccio. Poi è arrivato il ciclone Giorgia e le cose a destra si sono complicate.

 

Il primo passo l’ha fatto Renzi, sempre il più svelto di tutti, che si è offerto come presidente di una commissione d’inchiesta su Covid-19 e lockdown. E come dimenticare l’elogio della premier - «Ammazza, bravo!» - mentre al Senato lo ascolta condannare «il no a prescindere su presidenzialismo, giustizia e rigassificatori» e dichiararsi «lealmente contro, lealmente pronto a dare una mano». Dopo un po’ ecco anche Calenda, comprensivo: «La manovra economica non funziona e la premier è nuova: va aiutata, non solo contestata». Poverina.

 

I due sono bravi a dividersi i ruoli. Mentre Calenda si fa ricevere a Palazzo Chigi per parlare di manovra e del contestatissimo Mes, il meccanismo europeo nato per dare assistenza ai Paesi in difficoltà finanziarie, Renzi va a rassicurare Berlusconi su abuso d’ufficio e tv. Meloni assiste con interesse: un aiuto potrebbe servire, al Senato la maggioranza è stretta e Forza Italia fa mille obiezioni su pensioni, superbonus, reddito di cittadinanza. Il Cav. invece è molto agitato per l’intrusione. Commenta il fedelissimo Giorgio Mulè: «Ho il sospetto che i due si muovano come un cavallo di Troia per fare breccia nella maggioranza e scombinare gli equilibri».

 

È proprio così? E perché? Intanto al Terzo Polo, all’asciutto nel giro grosso delle nomine, serve un po’ di concreta gestione del potere: hanno trattato su Copasir, vigilanza Rai, commissione Covid-19; poi verranno Eni, Enel, Poste, Leonardo… Ma dietro c’è anche un progetto più ampio. Calenda continua ad agitarsi nella speranza di strappare al Pd militanti e consensi; Renzi sonda Berlusconi convinto che questi, in caso di difficoltà con Meloni, non si affiderebbe certo a Salvini, ma a lui. E Calenda e Renzi insieme scommettono che alle Europee del ’24 (è vicina un’altra campagna elettorale!) conquisteranno un pacchetto di voti a doppia cifra «parlando ai liberali non sovranisti e ai riformisti che non vogliono morire populisti». E i giochi si riaprirebbero.

 

Alcuni sondaggisti dicono che questi progetti danno più fastidio al Pd che alla destra, e tutto sembra confermarlo, dall’alleanza per le politiche annunciata e poi cancellata, a quelle per Lombardia e Lazio fino al dialogo in corso. I terzopolisti pensano che spingere il Pd verso Conte aprirebbe praterie per le loro scorrerie. Ora però la stampella di Renzi e Calenda a Meloni cambia le cose e forse sposta il dibattito dentro il Pd: la questione non è più scegliere tra Calenda e Conte, ma valutare quanto sia opportuno dialogare con il M5S e a quali condizioni. Scombinare gli equilibri, non subirli. E magari riflettere sulla propria identità.