I dati sul rischio di catastrofi sono pubblici, ma nessuno ne tiene conto. E si continua a costruire sui suoli franabili.È ora di finirla con irresponsabilità e indifferenza che provocano tragedie

Il 5 dicembre è la Giornata mondiale del suolo. Dovremmo spegnere le betoniere e fare il punto sulla sua salute e sulla sua tutela. Facciamolo partendo da alcuni numeri che riguardano dei suoli particolarmente fragili, quelli franosi: +345,6 ettari; +311 ettari; +286 ettari; +371 ettari: sono le aree franose follemente urbanizzate dal 2017 al 2021 in Italia. 1.313,6 ettari asfaltati in soli cinque anni. Tra il 22 e il 32 per cento sono cementificazioni in aree a elevata/molto elevata franosità, dove sono matematici il disastro, le vittime, i danni a cose e case e l’aumento di spesa pubblica. Numeri che sono la prova delle irresponsabilità urbanistica e politica qua e là in tutto il paese, non solo a Ischia. Sono un grido che denuncia la miopia di chi governa il territorio a tutti i livelli.

 

Sono numeri dai quali non si scappa e che non è ammesso ignorare: chi lo fa è colpevole, ancor più se ha un ruolo di amministratore pubblico.

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Quei dati non sono segreti, ma sono parte dei rapporti sul consumo di suolo pubblicati dall’Istituto superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (Ispra) e dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Snpa). Quindi sono accessibili a tutti e gratuitamente. Ispra è un’agenzia del Governo italiano che opera con rigore scientifico e per supportare governi, politici e sindaci nella loro azione decisionale. Ma proprio qui arriva una nota dolorosa: quei rapporti sono poco o per nulla letti da chi dovrebbe leggerli. Una indifferenza che certo non è una medicina per il cambiamento. Ignorare tutto, diciamolo, equivale ad assumersi precise responsabilità e precise aggravanti.

Sono ricevibili le lacrime dei sindaci che piangono i fatti delle tante Casamicciola diffuse in Italia, ma che mai hanno sfogliato quei dati? È ammissibile l’ignoranza dei politici e dei loro staff tecnici? Hanno mai indetto riunioni politiche per diffondere quegli indicatori e capire che fare? Ne hanno parlato in campagna elettorale? E le alte cariche dello Stato? Il suolo italico, caro a Luigi Einaudi, fa ancora parte dei discorsi pubblici, delle preoccupazioni dei nostri tanti presidenti?

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Nessuna legge per fermare il consumo di suolo è stata approvata in Parlamento nelle ultime tre legislature. Un cocktail al fulmicotone di ignoranza e indifferenza tecnica e politica continua a tollerare un’urbanistica fuori controllo: siamo nelle prime posizioni in Europa per consumo di suolo; siamo lontano da tutti i traguardi minimi di sostenibilità; l’Agenda2030 è disattesa; le Olimpiadi del ’26 consumeranno suolo, nessun politico prende le difese del suolo quando un cantante dà dell’econazista a chi tenta di dire che una spiaggia è un ambiente naturale e non una pista da ballo. Poi arrivano Casamicciola, Sarno e Quindici (1998), Giampilieri (2009), Val Canale (2003), Borca di Cadore (2009), Cinque Terre e Lunigiana (2011), Alta Val d’Isarco (2012), San Vito di Cadore (2015), Madonna del Monte (2019), Chiesa in Valmalenco (2020), Cavallerizzo di Cerzeto (2005), Montaguto (2010), Capriglio di Tizzano (2013)… E puntuali arrivano le lacrime di coccodrillo delle istituzioni e dei loro governatori che - ahinoi - non portano da nessuna parte e si asciugano presto, non innescando alcun cambiamento.

 

È tempo di finirla. La latitanza da tutte le evidenze scientifiche che aiuterebbero a decidere meglio è un problema grave che riguarda il modo con cui si fa politica nel nostro Paese e il modo con cui si fa urbanistica e governo del territorio non solo a Ischia. Tutti gli urbanisti, tutti i sindaci, tutti i politici hanno la responsabilità pubblica di fare qualcosa e capire per bene la questione ecologica e climatica che stanno evidenziando l’insostenibilità del governo del territorio.

 

La configurazione amministrativa spezza i territori in migliaia di comuni quando la questione ambientale è una sola. Troppi comuni e con troppe competenze ambientali esclusive che non conoscono e non possono gestire, a partire dall’uso del suolo che non sanno essere un ecosistema fragile.

 

L’urbanistica è ancora inadeguata a raccogliere la sfida climatica. Ma lo è anche il Pnrr sul fronte della prevenzione al dissesto idrogeologico (8 miliardi per 6 anni quando ce ne vorrebbero sei volte tanti) che ancor pensa di combattere a colpi di cemento e grandi opere anziché guardare all’ingegneria naturalistica, figlio dell’ossessionante teorema secondo cui bisogna sempre aggiungere e mai togliere.

 

Matilde Casa, sindaco di Lauriano (TO), nel 2010 invece tolse l’urbanizzabilità a un’area a vincolo idrogeologico perché è così che si deve fare se non vuoi morti e danni sulla coscienza e vuoi salvare il suolo. Ma - assurdo - per questo atto fu spedita dai magistrati ad affrontare un processo penale. Dopo alcuni anni ne uscì illesa processualmente, ma ferita a morte politicamente. Nessun collega, nessuna istituzione, nessuna urbanistica, nessuna alta carica dello Stato hanno mai preso la storia di Matilde per farne una bandiera della sostenibilità e della messa in sicurezza del territorio, provando a cambiare le cose. Nessuno.

 

Ma torniamo a Ischia e al disordine urbanistico ambientale che non è solo campano ma italiano anche se non possiamo nascondere che in Campania la situazione è particolarmente grave. Hanno urbanizzato 77 ettari in aree franose tra il 2020 e il 2021. Altre 37 tra il 2019 e il 2020. Altre 50 tra il 2018 e il 2019 e 81 tra il 2017 e il 2018 (Ispra, 2022). Sono i primi in Italia in questa terrificante classifica di abuso di suolo e di suoli in aree franose. Ma anche da qui possono nascere fiori e vogliamo sognare uno scatto di orgoglio pensando che la miglior politica di questa regione martoriata si intesti una battaglia per cambiare le cose, per togliere urbanizzabilità, per chiedere una legge che fermi il consumo di suolo ovunque, perché il problema non è solo campano.

 

Le frane censite nell’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia sono oltre 625.000 e interessano un’area di quasi 24.000 km2, pari al 7,9 per cento del territorio nazionale (Ispra, 2021). Davanti a tutto questo è vietato stare zitti, a meno di voler essere complici di questo maledetto stato di cose che fa dell’insostenibilità la norma. Non abbiamo ricette se non quella di investire tanto in cultura ecologica e di mettere in piedi un’agenda pubblica senza più compromessi. Si può fare, va fatto.

 

*Docente di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altraeconomia)​​​​​​