Opinione
I Cinque Stelle non sono mai stati un Movimento. E hanno fallito su tutta la linea
Si sono ibridati con i partiti e hanno infangato una parola che indicava chi si posiziona ai bordi della politica. La sinistra smetta di corteggiarli e guardi ai veri movimenti che ci sono in Italia
Spesso si usano le parole strumentalmente, senza riflettere sul significato. È il caso del termine “movimento” volto a indicare l’azione di una massa che si mobilita spontaneamente su obiettivi comuni. Ma che vuol dire oggi “movimento”? Anche questa parola è stata infangata, com’è avvenuto ad altre. Si pensi a “libertà”.
Mentre la clamorosa debacle dei Cinque Stelle è sotto gli occhi di tutti, non solo per i grotteschi dissidi interni, la mancanza di una linea politica, il fallimento di ogni obiettivo pomposamente annunciato, ma anche per la perdita irrimediabile dei consensi, c’è chi tenta l’ultima difesa rivendicando la parola “movimento”. Per dire insomma che se i Cinque Stelle hanno fatto fiasco è perché non sono - non hanno mai voluto essere - un partito. Questa sarebbe la narrazione salvifica: il Movimento è entrato nel Palazzo, oscuro e corrotto, per illuminarlo ed elevarlo con le sue cinque stelle. Ha finito per ibridarsi, diventando un po’ partito - non era inevitabile? È rimasto pur sempre l’Elevato lì fuori a garantirne la candida trasparenza. Via facendo si è perduta qualche stella, anzi a ben guardare tutte. Però è un Movimento - e tale resterà.
Pensare che un ambizioso avvocato, scialbo e opportunista, privo di afflato politico, sia il “capo” di un “movimento” fa venire la pelle d’oca. E vuol dire parlare per ossimori. Il punto è che i Cinque Stelle non sono mai stati un movimento. Sono nati quando gli slogan dei partiti non avevano più presa e la piazza è diventata teatro di comici e commedianti specializzanti in battute irriverenti. Spente le luci, resta ben poco. Ma soprattutto i Cinque Stelle non si sono situati ai bordi della politica, come i veri movimenti, bensì ai confini dei partiti, in un’ambigua antitesi, che è anche contiguità. L’“antipolitica” ha lasciato intendere che la politica fosse circoscritta ai partiti, tutti corrotti e inseriti nella casta. Come se la crisi della politica non fosse che la corruzione dei singoli. Sarebbe bastato sostituirli, ripristinando le regole al di là dei contenuti - fa nulla se di destra o di sinistra - e il gioco era fatto. La debacle dei Cinque Stelle mostra che la loro antipolitica non è stata che un goffo tentativo di ristabilire il vecchio ordine. Perciò adesso appaiono obsoleti.
Non si faccia l’errore a sinistra di continuare a prenderli per un movimento. Hanno contribuito solo a dilapidare il valore di questa parola. I movimenti sono altri. Vedono nello svuotamento dei partiti politici il sintomo della governance dell’emergenza. Si situano ai bordi della politica mettendone in discussione la trama concettuale, dal tema della sovranità a quello di cittadinanza. Su questi si deve puntare l’attenzione, sul movimento delle donne, degli studenti, di chi lotta dalla parte di migranti.