Le vecchie glorie con guai giudiziari tornano protagoniste. E dietro le quinte scaldano i motori Formigoni e Scopelliti. Tutti in campo come gran suggeritori e strateghi, ma anche con propri partiti

A volte ritornano. Dopo essere stati travolti da scandali, dopo aver fatto anche qualche anno in carcere per scontare condanne definitive, e in alcuni casi anche se ancora ai domiciliari, sono rientrati in grande spolvero nel campo della politica. Senza aver chiesto scusa, senza aver collaborato con la giustizia, ma comunque adesso liberi pensatori una volta scontata la pena, eccoli lì a fare da gran consiglieri di manovre politiche nazionali, fondare partiti, tornare a tessere trame per far eleggere i loro amici o, perché no, loro stessi se è possibile e non si è ancora interdetti dai pubblici uffici.

 

Tutti dicono di essersi ritirati a vita privata, molti in campagna a produrre anche vino come l’ex governatore Salvatore Cuffaro o l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, ma in realtà sempre attratti dalla calamita della politica e soprattutto del potere: il potere di far eleggere o no chi si vuole, di indirizzare il corso delle cose o quanto meno provarci. E nella scadente classe dirigente che avrebbe dovuto prendere il loro posto trovano ancora udienza e ascolto perché restano comunque dei fini pensatori di tattiche e strategie politiche: non molto altro, ma tanto basta.

Manovre
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Matteo Salvini, il leader del centrodestra, o aspirante tale, ascolta a esempio con molta attenzione il padre della sua compagna, quel Denis Verdini ai domiciliari per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino. In casa Lega molti dicono ci sia lui dietro la svolta moderata e “draghiana” del Capitano e la creazione di Prima l’Italia, il contenitore che dovrebbe diventare una sorta di Casa delle libertà nuova versione con dentro tutti, dai forzisti agli ex democristiani. L’ex senatore Verdini guarda avanti, al dopo Berlusconi, e non a caso ha consigliato proprio al Cavaliere di benedire come suo successore il genero Matteo: la benedizione è arrivata puntuale alle finte nozze con Marta Fascina, quando davanti a telecamere e cellulari ha abbracciato calorosamente Matteo dicendo che è l’unico amico politico di cui si fida.

 

Verdini, uno che non si è mai posto molti limiti, d’altronde voleva avere un ruolo anche nell’elezione del Capo dello Stato: autorizzato dai giudici ad andare a Roma due volte alla settimana per cure dentarie, dal suo quartier generale in via della Scrofa tra gennaio e febbraio ha fatto diverse amichevoli telefonate agli amici del centrodestra suggerendo manovre. A pranzo in quei giorni è andato spesso al ristorante del figlio Tommaso e lì magari è capitato, vuoi il caso, di ordinare qualche portata insieme a Lorenzo Cesa. Poi quando è stato costretto a restare nella sua casa toscana ai domiciliari ha scritto lettere, come quelle inviate a Marcello Dell’Utri e Fedele Confalonieri sempre per suggerire manovre parlamentari.

Verdini insomma c’è sempre e dietro le quinte, ma nemmeno molto dietro, ancora oggi è il gran suggeritore in Forza Italia e nella Lega. A proposito del suo grande amico Dell’Utri, anche l’ex senatore siciliano non riesce a stare lontano dalla politica che conta. Il fondatore di Forza Italia, che nel dicembre del 2019 ha finito di scontare una condanna per concorso esterno in quanto «mediatore» del patto di protezione tra Berlusconi e Cosa Nostra alla fine degli anni Settanta, dopo qualche mese di inabissamento è tornato nell’agone. Nel capoluogo siciliano, in una stanzetta dell’appena restaurato e ancora più lussuoso Hotel des Palmes nella centralissima via Roma, per giorni ha ricevuto amici e conoscenti suggerendo loro di sostenere come candidato sindaco l’ex rettore Roberto Lagalla. Anche al non matrimonio di Berlusconi ha perorato la causa del professore Lagalla parlando a lungo con Salvini: «Solo chiacchiere tra amici», si è schernito.

 

Personaggi
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Ma a Palermo tutti sanno che non è così: Dell’Utri conta, tanto che pur di tornare a dare carte nel gioco della politica ha litigato con il suo delfino di sempre, l’ex viceministro Gianfranco Micciché, che invece punta tutto su Francesco Cascio. L’ex senatore forzista va dritto per la sua strada e per le regionali sostiene la ricandidatura del governatore Nello Musumeci, che Micciché invece non sopporta più: i due, Musumeci e Dell’Utri, proprio in una saletta dell’Hotel des Palmes, hanno chiamato anche Berlusconi per avere il via libera al secondo mandato del governatore, ex missino ed ex presidente della commissione regionale Antimafia.

 

Ma a Palermo e in Sicilia si agita, e da tempo, anche un altro noto politico che qualche inciampo con la giustizia lo ha avuto: l’ex governatore Salvatore Cuffaro, che dopo aver scontato la condanna per favoreggiamento, avendo rivelato elementi dell’indagine che riguardava il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro (e non ha mai detto ai magistrati chi era la talpa che gli ha dato le informazioni), adesso ha rifondato la Democrazia cristiana e sta presentando liste alle comunali e alle regionali: «Incredibile che Cuffaro e Dell’Utri indichino candidature in Sicilia», hanno detto il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio e l’ex pm della “trattativa” Nino Di Matteo. Entrambi isolati, perché l’opinione pubblica siciliana non si è scomposta per nulla e non lo farà come da usanza centenaria dell’Isola che tutto assorbe e tutto dimentica.

 

Ma risalendo verso Nord ci sono altri politici che hanno appena finito di scontare condanne e che scalpitano per tornare in campo. Al momento molto dietro le quinte, meno sfacciatamente, ma che i bene informati dicono siano comunque pronti al grande passo. A Reggio Calabria è ritornata in grande attività la pagina Facebook degli «amici di Giuseppe Scopelliti»: l’ex governatore della Calabria condannato per falso in atto pubblico. In città i suoi delfini organizzano incontri con circoli e gruppi di cittadini e molti scommettono sul ritorno in scena di un riferimento della destra reggina. Salendo ancora verso Nord, a Milano si parla molto invece dell’attivismo dell’ex governatore azzurro Roberto Formigoni. Sulla sua vicenda giudiziaria, la condanna per corruzione, è appena uscito un documentario che lui stesso apprezza e presenta in giro per la Lombardia. Un’occasione per tornare a parlare di politica, dice lui, che è diventato anche editorialista di Libero. E a chi gli chiede lumi su questo suo ritorno quanto meno sul palcoscenico della politica lui ribatte: «Lasciando il Senato ho detto che non mi sarei ricandidato, ma ho detto che avrei continuato a occuparmi di politica scegliendo il ruolo di insegnante. Ricevo giovani e meno giovani che vogliono sapere come si pratica la politica, che cercano un giudizio sulla situazione attuale e su quello che stiamo vivendo», ha detto al sito Open.

D’altronde in questo paese le condanne contano poco, specie se non si è mai ammesso il reato che invece è stato provato nelle aule giudiziarie e in tre gradi di giudizio. Ecco, se tre gradi di giudizio non bastano, figuriamoci una “semplice” richiesta di arresto confermata dal Riesame e bocciata dal Senato, come per Luigi Cesaro, alias Giggino a Purpetta, oppure una condanna in primo grado: l’ex ministro Claudio Scajola perché mai dovrebbe fare un passo indietro da sindaco di Imperia e da gran manovratore del centro in Liguria dopo una condanna in primo grado per la latitanza di Matacena? Condanna del 2020 e appello ancora nemmeno iniziato a Reggio Calabria: è la giustizia, anzi la politica, bellezza.