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Cultura
aprile, 2022

Guerra e pregiudizio, Vladimir Luxuria e Zi Faámelu: «Sono sopravvissuta alla transfobia di Zelensky e alle bombe. È ora di ripartire»

La cantante di The Voice Ucraina è scappata a nuoto dalla guerra. La direttrice del Lovers Film Festival è una ex parlamentare e una star del piccolo schermo («Ma non escludo il ritorno in politica»). Sono due donne transgender, unite dalla lotta, l’orgoglio e la passione per l’arte. «Persino il tuo peggior nemico potrebbe cambiare un giorno. Lui, non certo noi»

Zi Faámelu entra in sala al Lovers Film Festival di Torino e con Vladimir Luxuria è subito un minuetto di sguardi, frasi che si completano e sorrisi dolci. È chiaro da subito a entrambe che la via della liberazione si percorre insieme. All’apparenza diversissime: una bionda di burro, l'altra nera e di ferro. In realtà bisogna farci caso, osservare l’orizzonte di traguardi comuni che hanno incrinato quel soffitto di cristallo che le donne trans incontrano nella loro vita. Zi Faámelu in Ucraina era un’icona prima della guerra: volto noto della tv ha partecipato a The Voice Ucraina -non vincendo (“non me lo avrebbero mai permesso”)- ha acceso una luce sulla comunità trans dell’est Europa ed è diventata un simbolo.

Vladimir Luxuria è stata la prima donna transgender a diventar parlamentare in Europa. Oggi è direttrice del Lovers Film Festival di Torino, il più antico Festival Lgbt. Una voce in Italia per la comunità arcobaleno e non solo.

Ma per Zi Faámelu il mondo crolla con l’arrivo dei carriarmati e delle bombe in Ucraina. La sua vita, a soli 31 anni, diventa un incubo. Le donne trans sono considerate uomini per lo Stato che non le riconosce e devono arruolarsi obbligatoriamente nell’esercito per combattere. Zelensky la vuole nell’esercito come simbolo. Lei si rifiuta e scappa, a nuoto: «Ho messo il telefono e il passaporto in una busta di plastica, mi sono buttata nel fiume e ho usato tutta la mia energia per nuotare. Ora non ho più nulla, hanno preso tutto quello che avevo». Detesta la guerra, ma detesta anche chi non vede la condizione della comunità trans in Ucraina. Vladimir e Zi incrociano il proprio sguardo e si commuovono, scansano l'ipocrisia, scelgono parole acuminate e portano negli occhi l’orgoglio e la fatica di chi combatte. È lo stesso sguardo. È una sinergia familiare: spiega la forza di restare diritti, riaccordare la sintonia tra il mondo fuori e quello dentro e tenere la luce accesa.

@Lovers Film Festival Torino

Zi Faámelu, lei ha di recente dichiarato che è stato terribile vivere a Kiev, da persona trans si è sentita “non umana”. Mi domando quale fosse la situazione delle persone trans prima della guerra.
Zi Faámelu: «Noi persone trans non abbiamo una legge che ci protegga. Siamo uno scherzo, una barzelletta. Nessuno ci prende sul serio. Non ci hanno mai chiamato transessuali, transgender. Sempre e solo travestiti. Ci considerano un po’ come l’uomo che si era travestito da donna per assicurarsi un posto in una delle scialuppe del Titanic. Delle persone abusive e un po’ comiche. In Ucraina ero il volto della comunità trans ma le dirò: quando il tuo presidente (Zelensky n.d.r) ti prende in giro sulla tv nazionale, facendo per due volte la tua imitazione e chiama le persone trans “esso” non “lei” non “lui ma “esso”, quando il tuo presidente ti tratta come se fossi uno scherzo allora viene automatico a tutti di farlo. Perdi opportunità, lavoro, occasioni. È successo per la prima volta 10 anni fa, quando Zelesky non era Presidente e la seconda volta dopo la sua elezione. Uno degli sketch mostrava una scatola di palline che dovevano rappresentare i testicoli tagliati delle persone trans. Per noi trans era un tempo medievale».
Vladimir Luxuria: «Fanno male le parole dell’uomo semplice, ma quando un personaggio pubblico ha un potere politico è chiaro che diventa tutto più pesante. Ricordo tutte le cose che sono state dette su di me. Il problema è chi per ignoranza si lascia pigramente guidare da queste dichiarazioni e si allinea. Ricordo le parole di Clemente Mastella: appena si seppe della mia candidatura disse: “È arrivata una Cicciolina ridicola”. Mi offesi per “ridicola”, non per Cicciolina che ha fatto una carriera piena di film a lieto fine. Poi Mastella dopo anni si scusò. Bisogna affidarsi al tempo, ogni tanto».

Subire offese transfobiche da chi ha responsabilità politica è pesante, ma entrambe controvento avete raggiunto traguardi importanti. Qual è la chiave per resistere e andare avanti?
Z.: 
«Non mi hanno fatto vincere The Voice anche se c’erano moltissimi voti a mio favore. Dicevano che il popolo non era pronto. So che Zelensky è oggi un eroe per il mondo, certamente. Ma è molto chiara la sua transfobia e ha per anni alimentato quella del popolo. Il suo era un programma politico preciso: quello di tenere noi trans dentro questo zoo di vetro. La prima volta che sono entrata nello show business avevo 17 anni. L’androginia andava molto di moda. Io non lo sapevo, ero solo me stessa. Questo ha giocato a mio favore ho raggiunto traguardi importanti: tour in Cina e in tutto l’est Europa. Un album. Video. Poi a 26 anni ho fatto coming come persona trans. Ho ricevuto il sostegno della comunità Lgbt da Bielorussia, Moldavia, Russia. Ma avevo osato troppo. Quando interpreti qualcosa per gioco va bene, quando dici: io sono, allora iniziano i problemi. Comunque, non mi sono fermata. Vivere sempre sull’attenti ti aiuta a sopravvivere. Lo facciamo da una vita. Viviamo sempre vigili, in modalità sopravvivenza. Stiamo attente quando siamo per strada, quando usciamo fuori, ci guardiamo intorno. È un talento. Una capacità o se vuole un intuito che ci fa sempre sapere cosa è giusto cosa è sbagliato».
V: «La mia vita si divide in due tranche non trans, tranche. Quella prima, quando non ero famosa, quella dopo quando lo sono diventata. Nei primi 20 anni la gente mi insultava per strada, mi picchiava, mi sputava addosso, mi gettava oggetti contro, mi scriveva ricchione sui quaderni, mi pisciava nelle scarpe degli spogliatoi di educazione fisica. Poi sono diventata famosa. Nessuno più ha affrontato fisicamente ma solo sui social. E quando leggo dovresti morire, tua madre dovrebbe piangere tutti i giorni perché ha partorito il mostro, provo la stessa sensazione di Zi: il mondo contro. Ma poi succede qualcosa di bello; il sorriso di uno sconosciuto, il ringraziamento di una madre. E mi dico: no, non devo vergognarmi e nascondermi. Sono loro a doverlo fare».

L’arte può aiutare a resistere e venir fuori?
Z. «Adesso mi trovo in uno strano limbo. Ho perso tutto. Tornare alla musica è vitale ma devo elaborare questo lutto. Sento che devo creare e vedo quel tuffo nel fiume come una rinascita. Sì, ho perso ogni cosa: musica, foto, soldi. Ma ho anche fatto spazio nella mia vita e ho canzoni che risuonano dentro di me e sono la mia terapia. Le canzoni che ho creato mi stanno aiutando a guarire e tra poco tornerò a creare di nuovo».

V. «L’arte è stato uno strumento di sopravvivenza. Vale la pena vivere per svegliarsi la mattina e andare al cinema, sentire una canzone. Nei momenti più bui della mia vita l’arte, la musica mi hanno salvato. Forse perché mi sono sempre rifugiata nella fantasia. Vivevo in un grandissimo appartamento con i miei quando avevo 15 anni, potevamo permettercelo perché si diceva che dentro fosse morta una donna e nessuno voleva questa casa. Entravo in una stanza prendevo una penna, uno straccio e inventavo un mondo mio. Era terapeutico per me: ero una superstar amata e non sputata a vista, insultata. Era tutto nella mia testa prima. Però poi è successo veramente».

Siamo al Lovers Film Festival, la più grande rassegna di Film Lgbt d’Europa. C’è un film della storia del cinema che vi rispecchia o vi racconta
Z. «Border - Creature di confine (Gräns) di Ali Abbasi, Per me è un film sulla libertà. C’è questa scena di loro che corrono nudi nella foresta fino a raggiungere il fiume. Una scena di gioia, libertà e umanità che oggi sembra persa
V. «The Elephant Man di David Lynch. Mi ero molto immedesimata in questo essere mostruoso che tutti volevano schivare».

 

Le fake-news circondano le nostre vite. La propaganda su questa guerra è particolarmente violenta. Zi Faámelu i suoi genitori vivono in Crimea e non credono che la Russia abbia invaso l’Ucraina.
Z. «Con la mia famiglia si sono alzati due muri. Il primo quando ho fatto coming out. Il secondo con la guerra. Sì, vivono in Crimea e vengono bombardati dalla propaganda russa. Quindi pensano che gli ucraini si siano bombardati da soli. Pensano che io sia ricca sfondata. E si vergognano di me, in quanto persona trans. Però mi hanno sempre cercato per avere qualcosa in cambio. Non penso mi abbiano mai amato. A 16 anni sono andata a vivere da sola. Quando sono diventata famosa mi hanno cercato per i soldi, non era amore».
V. «Non posso dire di sapere cosa significa perché i miei non hanno mai smesso di amarmi. Però c’è stato un periodo in cui mi percepivano come un disagio, pesava lo sguardo degli altri. Ma grazie a un lavoro delle mie sorelle che hanno fatto da ponte, abbiamo superato anche questa. Chi vive un cambiamento può far vivere dei cambiamenti, quando è possibile».

 

Parlando di evoluzione siete cantanti, opinioniste, presentatrici. Quali sono i prossimi progetti?
Z. «Voglio rilasciare il mio nuovo singolo scritto prima della guerra. Avevamo anche girato un video che è andato perso. Mi piacerebbe avere un contratto discografico. E mi piacerebbe anche recitare».
V. Per altri tre anni dirigerò il Lovers Film Festival di Torino. Ma non nascondo potrei ritornare in politica».

Tra pochi giorni in Italia si svolgerà l’Eurovision. Secondo i bookmakers l’Ucraina è tra le favorita assoluta alla vittoria.
Z. «Sto arrivando!, mi piacerebbe partecipare. Ma non con l’Ucraina, per loro sono una criminale come potrei farlo?»
V. «Sarebbe stato bello presentarlo a Torino. Chissà un giorno».

La comunità Lgbt vi osserva, siete modelli da seguire, strade aperte da percorrere. Che messaggio dareste a chi vi legge?
Z. «Nella vita bisogna semplicemente essere fedeli a sé stessi. Io ho scelto di non unirmi all’esercito per uccidere i russi. Volevano. Mi hanno mandato dieci veicoli militari. Il governo mi voleva come simbolo di questa guerra. Ma io non volevo uccidere persone, non volevo portare con me questo peso. E non l’ho fatto solo per me, il mio era un messaggio per tutte le donne trans. Scappare era l’unica opzione. Nuotare nell’acqua fredda, non è stato facile. Ma nella vita ho attraversato così tanti momenti difficili che questo è stato solo uno dei tanti incubi che una persona trans ucraina attraversa. Non avrei avuto possibilità di sopravvivenza in Ucraina. Se una persona mi avesse incontrato per strada armata di pistole futuristiche che arrivano dall’America o chissà quali altri paesi, mi avrebbe uccisa. Amo il mio paese e lo perdono. Non sono contro l’Ucraina ma contro le sue leggi. Ho provato ad andare controcorrente rompere il muro del pregiudizio, ho fatto quello che potevo. E ho imparato a perdonare chi mi ha fatto del male».
V. «Non dobbiamo pensare di essere sbagliati. Sono gli altri che lo pensano a esserlo. Non possiamo non essere ottimiste, è l’unico modo per sopravvivere e non soffrire: lasciare andar via quel sentimento di rancore che ci consuma e pensare che persino il tuo peggior nemico potrebbe cambiare un giorno. Lui, non certo noi».

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