Reportage
I treni e la rete ferroviaria stanno salvando l’Ucraina
Ponti e binari distrutti dai bombardamenti russi sono stati ricostruiti in tempo record. Oggi la via ferrata che collega Kiev e le altre città è la spina dorsale del paese. Ecco come viene difesa e rinforzata
Alexander Pretzosky, 36 anni, non ha dormito che un paio d’ore la scorsa notte. Così da settimane. Ma gli occhi stanchi si allungano in un sorriso quando guarda fuori dal finestrino del primo treno che dopo 74 giorni di guerra lascia Kiev per raggiungere un’ora dopo Borodyanka, la città simbolo dei bombardamenti russi. Quella in cui il presidente Zelensky il 9 maggio, giorno dedicato all’Unione europea, ha detto: «Quest’anno pronunciamo “mai più” in un altro modo. Non con un punto esclamativo ma con un punto interrogativo».
Sono le sei e mezza del mattino. Un sole timido illumina un carro armato bruciato che si intravede velocemente tra gli alberi. Le immagini scorrono veloci. Mucchi di lamiera e ferro. E poi edifici dai vetri frantumati. Vecchie fabbriche di epoca sovietica distrutte. Case sventrate. Ma le strade sono tornate pulite. Squadre in tute arancioni riempiono le buche create dai mezzi militari, sistemano la rete elettrica, mettono in sicurezza gli edifici pubblici. Quando il treno si arresta sul ponte che congiunge Kiev a Irpin, la città dove è stata fermata l’invasione russa della capitale, Pretzosky si gira verso il suo capo, Oleksandr Kamyshin, 37 anni, amministratore delegato delle Ferrovie ucraine, con un cenno di intesa.
Il ponte ferroviario, uno dei 300 distrutti in tutto il Paese, è stato ricostruito a tempo di record. Il sangue non sarà dimenticato ma la ferita è fisicamente rimarginata. Adesso due treni al giorno riprenderanno a connettere la capitale alla periferia. Tra qualche settimana, quando anche il troncone in senso inverso sarà terminato, saranno molti di più. «Stiamo dimostrando che l’Ucraina non si arrende», dice Pretzosky, responsabile della pianificazione delle linee passeggeri. È lui l’uomo che ha organizzato l’evacuazione via treno dell’Ucraina, che ha fatto giungere a destinazione 140mila tonnellate di cibo e un milione di chili di posta, dopo un recente accordo con le Poste ucraine che da vent’anni non usavano più i treni. Lui che assicura il trasporto e la sicurezza dei diplomatici in visita al presidente. Lui che ha portato Bono a cantare nella metropolitana di Kiev. «Ricostruire in fretta vuol dire tenere alto il morale, dimostrare all’Europa che siamo all’altezza e fare vedere ai russi che i nostri standard di vita sono più elevati dei loro», sottolinea Kamyshin: «Che siamo un Paese europeo».
Le Ferrovie ucraine, 230mila dipendenti in tempo di pace, si sono dimostrate la spina dorsale dell’Ucraina in tempo di guerra. «Oggi due sono le istituzioni chiave del Paese», dice Kamyshin, infilato in una tuta di tela blu scuro, un codino legato sulla testa rasata: «Prima l’esercito, poi le ferrovie». Non mancano i problemi, tra cui il dato che non tutti i passeggeri pagano il biglietto e salgono allungando una mancia alle hostess. Però i treni non hanno mai smesso di funzionare. Con il passare dei giorni di guerra le Ferrovie hanno invece moltiplicato le funzioni, diventando la vera war-room logistica del Paese, arrivando dove le altre istituzioni non potevano o non volevano.
I 22mila chilometri di binari hanno consentito alla gente di scappare dalle aree sotto assedio fin dal primo giorno. «Facevamo entrare anche tremila persone su treni che normalmente ne contengono 800», ricorda Pretzosky: «Nelle toilette stavano in piedi quattro persone per lunghissime ore. Piangeva il cuore ogni volta che una madre restava indietro sulla banchina con i figli». Adesso la situazione si è normalizzata. Chi voleva partire l’ha fatto. «Negli ultimi giorni stiamo portando via le persone più povere, i vecchi e i malati», continua mostrando la fotografia di una stazione coperta di carrozzine vuote per disabili. Gli ultimi a partire sono poche centinaia ma a loro la sua squadra trova un domicilio. «Tra Pokrovsk, l’ultima stazione aperta del Donbass e quelle a Occidente ci sono circa 20 ore di viaggio», dice: «In questo arco di tempo facciamo in modo di individuare un alloggio per tutti e un bus pronto a portarli a destinazione quando arrivano».
Volodomyr Zelensky, un anno fa, ha rivoluzionato l’azienda di stato, mettendoci a capo una squadra di giovani manager del settore privato, esperti di logistica, marketing e finanza, come Kamyshin e Pretzosky, per traghettare nella modernità un carrozzone di altri tempi. Lavorano insieme ai consiglieri del presidente, ai ministri e all’esercito: il coordinamento è continuo per rispondere immediatamente ad ogni emergenza. Li chiamano i “Zelensky boys”.
Non fermare i treni sotto le bombe ha voluto dire cambiare metodo di lavoro, riprendendo lo schema top-down dei tempi russi e riadattandolo all’oggi. La squadra di comando è composta da sei persone, ciascuna messa a capo di una regione dell’Ucraina e di un settore, dal cargo ai passeggeri alle infrastrutture. Ognuna di loro coordina altri sei manager, che a loro volta guidano venti persone ciascuno. La squadra di comando è in costante movimento sui treni, migliaia di chilometri in pochi giorni, per non essere facilmente individuata e per dimostrare a tutti i dipendenti rimasti nel Paese che lavorare sotto le bombe è possibile. «Se io non mi faccio vedere a Kramatorsk o non arrivo a Kharkiv, come posso pretendere poi che i miei dipendenti salgano su quei treni?», dice Kamyshin, che si trovava a Kramatorsk il giorno prima del bombardamento della stazione.
Fino ad oggi 122 dipendenti sono morti e 155 feriti. L’unico membro del personale viaggiante morto su un treno è stata una donna colpita dai vetri dei finestrini saltati in aria nell’esplosione di un ponte stradale che correva accanto a quello ferroviario. Da allora tutti i finestrini sono ricoperti di tela, oltre che oscurati di notte. Per fare fronte a ogni evenienza è stata creata anche un’altra squadra di top manager ombra, dovesse succedere qualcosa a quella attualmente ai comandi. Ogni treno è sorvegliato: a bordo un controllore decide quale rotta scegliere a seconda delle circostanze - bombardamenti, interruzioni - comunicate dagli uomini disseminati lungo i binari, sotto la protezione dei militari. Nella sede centrale l’avanzamento del percorso di ciascun treno è riportato oggi su un cartellone elettronico, durante i primi giorni di guerra su un enorme foglio appeso alla parete, come vent’anni fa. I treni che non appaiono sono quelli che trasportano armi, mai insieme ai passeggeri, soldati o personalità importanti. In quel caso le informazioni sono riservatissime e la comunicazione ristretta ai vertici. «Utilizziamo la linea fissa perché le conversazioni non siano intercettabili», dice: «I russi provano a distruggere i fili del telefono ma sono tra le cose più facili da riparare, e noi ripariamo tutto in poche ore». I ritardi sono frequenti ma limitati, mai più di un paio d’ore nelle situazioni peggiori. «In Inghilterra cade un albero e i treni ritardano mezza giornata, qui cade una bomba è il ritardo è di un’ora», ride orgoglioso Kamyshin.
Ad essere colpiti non sono tanto i treni quanto le centraline elettriche che riforniscono le ferrovie, il modo più rapido per fare arrivare le armi al fronte orientale. Ma le armi non sono l’unico obiettivo di Mosca: «Vogliono distruggere le infrastrutture critiche tanto quanto quelle militari per indebolire l’economia del Paese e diffondere il panico tra la popolazione», dice il ministro delle Infrastrutture Oleksandr Kubrakov, anche lui sul primo treno ad attraversare il ponte di Irpin: «Non glielo permetteremo. Abbiamo già elaborato un piano per la ricostruzione in cui coinvolgeremo tutti i Paesi europei».
L’idea è quella di gemellare una regione o una città europea con una ucraina così da costruire una nuova Ucraina che sia un sincretismo di soldi, idee e architetture europee, cancellando le tracce ancora pesanti della dominazione sovietica. Con il passare delle settimane il lavoro delle Ferrovie si è moltiplicato: «Per volontà del presidente non ci occupiamo più solo di trasportare gli aiuti umanitari ma anche di stipularne gli accordi. E siamo stati noi a convincere a ripartire la fabbrica di acciaio di ArcelorMitall a Kryvyi Rih, dimostrando di potere assicurare il trasporto di lavoratori e prodotti». I treni sono ora attrezzati anche con vagoni per assistere i feriti in cui operano “Medici senza frontiere”.
Sempre più alle ferrovie spetta anche il compito di salvare il futuro commerciale del Paese. L’Ucraina è il quarto esportatore mondiale di cereali, con oltre 50 milioni di tonnellate annue, che si stanno accumulando nei silos, e principale fornitore del Nord Africa. Ma con la conquista di Mariupol, di Kherson, la battaglia a Mykolaiv e il bombardamento continuo di Odessa, tutti i porti ucraini sono chiusi, ad eccezione dei due piccoli sul Danubio, da cui può passare solo il dieci per cento delle esportazioni complessive. «La nostra priorità è trovare il modo di trasportare via treno i cargo di cereali per farli giungere a tre porti polacchi e a un porto rumeno», dice Kamyshin.
«Stiamo adattando i nostri vagoni ai binari delle ferrovie europee, che li hanno più stretti». Ma anche gli europei dovranno ammodernare e ingrandire porti e stazioni di arrivo. Ci vorranno almeno un paio d’anni, calcola il ministero delle Infrastrutture, che potrebbero cambiare per sempre le rotte dei rapporti commerciali dell’Ucraina. «Si tratta di una grande opportunità di business per l’Europa, che potrà acquistare i cereali per sé o rivenderli, magari parzialmente lavorati», dice Kamyshin. Anche perché la situazione non cambierà. «Abbiamo un vicino pazzo. Che anche in futuro potrebbe attaccare in qualsiasi momento».