Opaco, sfuggente, noioso. Simboleggia l’indecisione, è l’aggettivo dei burocrati, il sinonimo di una politica senza visione. E invece no, sostiene il filosofo tedesco. Che, da Dante a Cézanne, spiega perchéè questa la tinta della nostra epoca

I filosofi sono spesso ciechi di fronte alle sfumature cromatiche della realtà... Inizia così il dialogo con Peter Sloterdijk, uno dei più prestigiosi filosofi contemporanei, nel suo studio a Berlino. In cui l’autore della “Critica della ragion cinica” e della mastodontica trilogia delle “Sfere” spiega le ragioni del suo nuovo saggio intitolato: “Wer noch kein Grau gedacht hat”, Chi non ha ancora pensato il grigio. Una vera e propria fenomenologia di uno dei colori più opachi, sfumati e sfuggenti. Ma che in Sloterdijk diventa la traccia luminosa di tante grigie situazioni quotidiane e di scene fondamentali della filosofia. Uno spunto per comprendere meglio non solo «tutta la modernità del Purgatorio di Dante», come la chiama lui, ma anche le derive totalitarie del 20° secolo. «E tutto ciò», continua Sloterdijk, «a partire da una geniale intuizione di Cézanne, secondo cui non è un vero pittore chi non ha dipinto in grigio».

 

Cosa significa quell’intuizione di Cézanne? Cioè, cosa ci dice il grigio nella nostra era digitale e globale?
«L’era globale rimanda di per sé alla dimensione ambigua del grigio, mix inestricabile di luce e di ombre. Se i filosofi si disinteressano dei colori, i romanzi sono densi di riflessioni cromatiche. Ammetto che la spinta a sviluppare una filosofia del grigio me l’ha data “Le anime grigie”, l’oscuro romanzo di Philippe Claudel sull’assassinio di una bambina nell’inverno del 1917».

Il grigio in effetti ci inquieta, rimanda alla noia, all’ansia della routine, ai momenti di indecisione.
«Non è il colore dell’empatia e di primo acchito non ci sta simpatico. Resta un “non-colore” o una neutrale sintesi fra il bianco e il nero, motivo per cui non c’è una vera fotografia in bianco e nero, ma solo una grigia. Non a caso Gerhard Richter, che ha dipinto in grigio tante opere, l’ha definito «il colore dell’indifferenza». E qui assaporiamo la prime vibrazioni metafisiche che il grigio diffonde».

La storia della filosofia parte da un mito decisamente grigio. Dalla caverna nel settimo libro della “Repubblica” di Platone, in cui altro non vediamo che “Skiai”, le ombre grigie delle cose…
«È la scena più letta e commentata della filosofia, e la più critica sulle nostre percezioni quotidiane. Tutto ciò che vediamo, per Platone, non è altro che ombre. Sino a Wittgenstein incluso però, i filosofi non si sono interrogati sul valore cromatico delle ombre stesse, sul loro grigiore. Un colore che attraversa tutta la filosofia senza mai venir esplicitato; il che ben si addice alla traccia così grigia di questo colore» .

Bisognerà attendere Hegel per far trasparire il grigio in tutta la sua complessità. Nella prefazione alla “Filosofia del Diritto”, Hegel annota che “la filosofia dipinge grigio su grigio” e “la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”.
«In quel testo si sottolineano entrambi gli aspetti del lavoro filosofico. La realtà appare in Hegel come un cemento grigio e molto concreto, stratificazione di vari materiali che il filosofo ricompone in concetti. E prendendosi il suo tempo: le nuance di grigio con cui il filosofo la ridisegna appaiono al tramonto, a giochi fatti e come risultato di una storia giunta alla fine».

È l’opposto del messaggio che Martin Heidegger ci ha lasciato sul grigio. Per il filosofo di “Essere e Tempo” la noia e le sue spire grigie non spuntano solo di sera, ma sono la tonalità emotiva quotidiana del nostro “essere-nel-mondo”.
«Esatto, Heidegger lega la filosofia a una base esistenziale, a uno sfondo quotidiano che ci ha sempre già coinvolto nel nostro fare e non riguarda più le dimensioni teoretiche di Platone o di Hegel. Filosofia in Heidegger è immersione nelle cure giornaliere, dove ognuno di noi si scopre come una specie particolarissima di “animale grigio”. E cioè sempre rigettato in un vortice di rimandi, ma con l’impulso ad uscirne fuori per progettarne di nuovi. Questa circolarità fra passato e progettazione del futuro delinea la fenomenologia così grigia del nostro intricato passaggio su questa terra».

Nessuno meglio di Dante ha cantato il passaggio così drasticamente indeciso nel Purgatorio fra i due poli dell’Inferno e del Paradiso.
«Mi sembra evidente che l’Europa doveva diventare quel continente in cui ci si inventa l’idea della Storia. Le due estasi cinetiche che hanno generato la storicità non potevano essere che la caduta nei gironi infernali, e la lievitazione verso la sublimazione paradisiaca dall’altro. L’uomo, insegna Dante, è l’ambigua creatura del Centro, non del tutto reietta né salva, ma può aspirare a un viaggio di espiazione nel terzo regno del Purgatorio. E ciò, come ha ben visto Le Goff, dinamizza l’esistenza medievale».

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È dunque la mediocrità dell’esistenza ciò che Dante focalizza nel Purgatorio, o meglio l’estensione delle “zone grigie” nella vita umana?
«Sì, con le zone grigie del purgatorio è il concetto stoico della “adiofora”, di una più neutrale indifferenza etica, a riemergere. Non si tratta più di prescrivere né vietare i beni terrestri, come i cibi o i dipinti, ma di non idolatrarli, di non esagerare nel godimento. È questo passaggio ad una più salubre indifferenza che aprirà, in campo estetico e politico, ad un atteggiamento più moderno e tollerante verso il mondo».

In effetti, nella storia politica moderna il grigio è il colore della burocrazia.
«Certo, lo Stato come agenzia politica della modernità si regge su uffici e impiegati pubblici. I tavoli dei Bureau erano rivestiti di panno grigio, e la scrivania dell’impiegato è la base ontologica dello Stato. Nessun moderno partito, poi, può mai esistere senza la discreta assistenza di “eminenze grigie”. Anche se poi, mischiandosi fra loro, i partiti trasformano la politica in quel grigissimo torpore che tanto ci angustia nei moderni governi di grande coalizione».

Il grigiore di certi governi non è da disprezzare ripensando ai più radicali cromatismi del 20° secolo. Dalla rivoluzione d’Ottobre al nazifascismo, l’Europa, per dirla con Timothy Snyder, è stata una “Blood Land”, impregnata del sangue di ideologie rosse e nere.
«La storia del 20° secolo è contrassegnata da un dramma che definerei lo spostamento progressivo dal rosso al grigio. Il rosso è stato il colore regale per definizione. Poi il colore rivoluzionario dei giacobini. Quindi il colore del terrore, dalla rivoluzione d’Ottobre alle dittature del proletariato. Le variazioni di rosso marcano la progressiva mutazione dell’idea socialista al programma del Terrorismo di Stato, e cioè della moderna dittatura priva d’ogni libertà politica» .

Esiste nell’Europa del dopoguerra una “zona grigia” più asfittica della ex DDR?

«Il regime comunista aveva imposto un grigiore senza limiti sulla vita della ex Germania-Est. Grigi erano i volti della gente, grigie le case e il cielo sopra le città dell’Est. Per dire l’irrespirabile grigiore della DDR, la gente a Berlino-Est usava il cinico slogan: come ridurre un paese in rovina senza le armi».

Anche i 16 anni di Angela Merkel sono stati un grigiume politico?
«L’era Merkel è stato un periodo intensamente grigio della politica tedesca! Come figlia cresciuta all’ombra del Muro, Merkel ha trapiantato il grigiore della Germania dell’Est nella Repubblica Federale. Specie i suoi ultimi anni sono stati di una soporifera letargocrazia».

Olaf Scholz, il Kanzler così indeciso della Spd, ricorda la figura di Bartleby, lo scrivano di Melville.
«Bartleby non faceva che ripetere il suo agnostico “I prefer not to!”, e se a Scholz chiedi se è il caso di consegnare armi all’Ucraina anche lui ripeterà “I prefer not to!”. In Germania siamo riusciti a eleggere un novello Bartleby alla cancelleria di Berlino».

Scholz è un classico socialdemocratico. Se guardiamo ai partiti in crisi, al trionfo dei sovranisti, ai movimenti No-Vax , sembra che l’Europa sia immersa in una notte populista in cui tutte le vacche sono grigie.
«Con questa osservazione Hegel prendeva in giro il romanticismo di Schelling, mentre i successi dei populisti di oggi derivano dalla loro parodia della pretesa dei partiti di sinistra di essere le banche della rabbia popolare. Il grigiore dei populisti sta nel fatto che mimano la rabbia sia a destra che a sinistra dello spettro politico. In fondo, i partiti populisti non sono che lazzaretti per i frustrati della globalizzazione che, come la Afd in Germania, attirano specie i maschi in piena crisi di mezza età».

All’inizio del 20° secolo Gramsci scriveva: « Odio gli indifferenti... L’indifferenza è il peso morto della storia».
«Nel suo odio dell’indifferenza Gramsci non era solo, dato che Mussolini definirà in modo ancora più radicale il fascismo come “l’orrore per la vita normale”. Quello che Gramsci e Mussolini nel loro furore ideologico non vedono è che la zona grigia, nelle nostre società democratiche e liberali, ci offre un ampio ventaglio di variazioni di vita. Una dottrina del grigio ci mette in grado di cogliere le sfumature positive della normale vita quotidiana. E ci porta a deporre le armi, il livore della “lotta continua” e a rifiutare gli estremismi ideologici».

Lo slogan del suo libro potrebbe essere quello di Salieri nel film di Milos Forman: «Mediocri di tutto il mondo unitevi!».
«Sì, perché sino a che celebriamo solo la varietà della società multiculturale ci sarà difficile comprendere la differenza tra un parlamento funzionante e un asilo nido. Il colore della maturità politica è un bel grigio temperato, in tutto il suo morbido carattere. Per questo Cézanne sosteneva che chi non ha mai dipinto in grigio non è un vero pittore. Così come il filosofo o il politico che non hanno ancora trovato il loro grigio non sono del tutto padroni del loro mestiere».