A Torino l‘ex Finmeccanica lavora sui veicoli senza pilota

Droni e non solo. I conflitti del prossimo futuro si preparano nel chiuso di capannoni industriali dove si lavora a prototipi che agiscono in autonomia, grazie all’Intelligenza artificiale (AI). È la «guerra delle macchine» che le Nazioni Unite stanno, per ora senza successo, cercando disperatamente di mettere al bando.

 

Per cercare di capire a che punto è arrivata la ricerca, L’Espresso ha bussato alla porta degli stabilimenti del gruppo Leonardo (l’ex Finmeccanica), colosso pubblico italiano del settore sicurezza, aerospazio e difesa, quotato in Borsa e maggioranza del ministero dell’Economia. La più grande compagnia d’Europa nel settore degli armamenti, tredicesima al mondo (14,1 miliardi di euro fatturato nel 2021 e altrettanti di ordini in portafoglio, un’utile netto di 587 milioni e 106 sedi nel mondo con quasi 50mila dipendenti) è in prima fila anche nel riarmo dell’Unione europea.

 

Secondo un rapporto diffuso dalla Rete europea contro il commercio di armi e dal Transitional institute (sede nei Paesi Bassi) riceverà 28,7 milioni di euro dei 600 messi sul piatto da Bruxelles per comprare nuovi armamenti comunitari. Collocando così l’Italia, assieme a Francia, Germania e Spagna, tra i Paesi che otterranno il 68,4 per cento dei nuovi stanziamenti pubblici della Difesa Ue. 

 

Torino, corso Marche, stabilimento Velivoli del gruppo Leonardo. «Quando sono arrivato alla guida della divisione Unmanned Systems (apparecchi senza pilota, ndr), nelle università italiane non c’era chi lavorava su questo», racconta Laurent Sissmann, ingegnere aerospaziale francese, entrato in quella che allora era Finmeccanica nel 2006. Si è occupato di treni (AnsaldoBreda), poi dell’ammodernamento dei caccia italiani Tornado e infine del programma statunitense per lo sviluppo degli onerosi aerei multiruolo F-35, fino a quando, nel 2018, l’ad Alessandro Profumo non lo ha chiamato a dirigere l’allora nascente divisione interna di quelli che comunemente sono detti droni. «In questo ambito, nel mondo si corre, ecco perché quattro anni fa abbiamo ideato e finanziato il Drone Contest, selezionando sei università, tra le migliori italiane e con le quali solitamente lavoriamo di più», spiega Sissmann. Si tratta di un progetto triennale, con scadenza al prossimo settembre «destinato a proseguire, sia pure con modalità diverse», assicura. Il futuro prevede l’utilizzo di capannoni dismessi dell’area di corso Marche ottenuti in comodato gratuito per creare la Città dello spazio. La Regione Piemonte ha già messo sul piatto 15 milioni e il Politecnico di Torino allestirà i laboratori di ricerca.

 

Da tre anni, il Politecnico di Torino, quello di Milano, il Sant’Anna di Pisa e le università di Bologna, Roma Tor Vergata e Federico II di Napoli si sfidano sul grado crescente di autonomia dei velivoli. Capaci di decollare e atterrare da soli, muoversi in uno spazio protetto e controllato, cercare oggetti. «La stella polare è che un velivolo possa governare in sicurezza la propria missione di volo all’interno di parametri noti, togliendo all’uomo la gestione di tutto e riservandogli solo le eccezioni», spiega Sissmann. Il fascino del progresso sull’intelligenza artificiale e la robotica non copre le grandi questioni etiche sul tappeto. «La matassa è ancora ingarbugliata», riflette uno dei pochi esperti che chiede l’anonimato. «La prima questione riguarda la responsabilità: a chi va attribuita in caso di errore commesso da una macchina guidata dall’intelligenza artificiale?». 

 

E il problema esiste già in ambito civile: «In questo caso è limitato alla certificabilità: ovvero se devo insegnare a un computer che questa è una mela, gli metto cento immagini di mele, così lui apprende cos’è. Ma quando vado a certificare con l’AI, devo andare a verificare che gli è stata davvero messa una mela davanti e non una banana», argomenta Sissmann. Di contro, l’impiego in ambito militare, come accade in altri Paesi, apre scenari terribili.

 

A partire dalla «swarm robotics», la robotica a stormo, già utilizzata, ad esempio, nella cyberguerra con i computer. Un intero gruppo di macchine attacca in base a decisioni che sono il frutto della somma di intelligenze artificiali predisposte ad operare in uno schema di apprendimento al rinforzo. In cui la irresponsabilità delle macchine è massimizzata.

 

I primi ambiti di applicazione nel mondo reale e non virtuale ci sono già. La Cina ha ad esempio ha appena varato una nave drone a tecnologia Stealth (invisibile ai radar), molto simile al Sea Unter statunitense in servizio ormai già da sei anni. È una nave senza equipaggio, che grazie all’AI cerca autonomamente nei mari i sommergibili (soprattutto a propulsione nucleare).

 

Perché in aria e in acqua è tutto più semplice. Il tempo dei robot soldato è ancora lontano ma a quell’orizzonte comunque si guarda, a partire dai progressi in ambito civile. E che i settori di impiego finiscano per intersecarsi lo dimostra l’evoluzione in corso. Se a Torino, Leonardo ha vinto con l’Enac, l’Ente nazionale aviazione civile, un bando per l’uso di droni nella logistica (progetto Sumeri), a Pisa, nella zona industriale di Ospedaletto, il colosso italiano dell’aerospazio e difesa ha l’unico suo stabilimento dedicato interamente ai droni. Il prodotto si chiama AW Hero. È un mini-elicottero a pilotaggio remoto, destinato a compiti di sorveglianza. «Parliamo di un programma classificato, gestito dagli enti della Difesa, perché nasce in ambiente militare, ma la cui valenza tecnologica è duale», chiarisce Leonardo prima di mostrarlo. 

 

In altre parole, come spesso accade, «l’AW Hero può essere applicato sia per fare sorveglianza marittima, tanto quanto per tutte le altre proiezioni». Cosa siano lo chiariscono i dettagli: su tutti gli esemplari campeggia la scritta “Marina militare”. E attraverso la Marina sono state ottenute le certificazioni necessarie al volo e alla commercializzazione. «In futuro qui a Pisa contiamo di produrre una trentina di velivoli l’anno», spiega Luca D’Ambrosio, responsabile Programmi unmanned della Divisione elicotteri del gruppo. «Al momento la normativa prevede che velivolo del genere possa volare soltanto in un’area segregata. Il che costituisce ancora una forte limitazione. Ma qualche settimana fa, a Grottaglie, abbiamo sperimentato un’attività che ci consentirà in futuro di integrarci col traffico aereo convenzionale», assicura Giovanni Gambrini, responsabile Programmi unmanned lato ingegneria.

 

Ricerca e sviluppo, insomma, procedono a spron battuto, in attesa che sul tema dell’Intelligenza artificiale si fissino dei limiti. Il regolamento europeo, l’AI Act, è solo una proposta che classifica già tre livelli di rischio. In quelli banditi, a rischio inaccettabile, rientrano, ad esempio, il social scoring messo in campo in Cina per l’attribuzione del punteggio sociale o il controllo della popolazione con telecamere a riconoscimento facciale. Dove non potranno osare i droni bisogna ancora stabilirlo.