Alla fine, dice, lo hanno lasciato libero. Elio Vito aveva già annunciato di non poter coabitare, lui liberale di destra, con Forza Italia “oggi illiberale e intollerante”. Ora, dopo aver consegnato le sue dimissioni da FI, è stato “liberato” anche dal mandato parlamentare, votato dalla Camera grazie al voto di 225 deputati.
Dentro il Parlamento da 30 anni esatti, Vito entrò nel 1992 con la Lista Pannella e passò a Forza Italia nel 1996. L’inciampo originario che ha portato alle dimissioni dal gruppo di una vita, dice, è stato il ddl Zan, osteggiato e poi affossato anche da Forza Italia. Vito è diventato in pochissimo tempo una sorta di di militante per i diritti, ben voluto nonostante un passato ingombrante da volto duro e puro del berlusconismo. Va da sé che oggi nessun politico posizionato a destra può vantare la sua popolarità tra le file dei Pride e delle manifestazioni di piazza arcobaleno. «Forse perché nessuno nel mio ex partito ci crede veramente», rivela a L’Espresso. «Quello che resta oggi di Forza Italia è un partito con un leader che non è libero e dirigenti intolleranti e dispotici interessati a perpetuare il loro piccolo potere».
Elio Vito come si sente? Il suo intervento è stato molto duro nei confronti del suo ex partito che le ha dato tanto in queste tre decadi. Cito: “C’è chi i diritti vuole conquistarli e chi calpestarli. Forza Italia ha scelto di stare con chi non vuole conoscerli, di stare con i fascisti”.
«Con questo voto mi hanno dato ragione, confermando che ormai Forza Italia è una destra illiberale e intollerante. Per me va bene. Sarebbe stato più complicato restare. Penso di aver fatto una scelta coerente».
Forza Italia è un partito contro i diritti delle persone?
«Hanno votato contro il ddl Zan e hanno applaudito. Hanno votato contro il diritto all’aborto al Parlamento Europeo. Stanno facendo ostruzionismo sulla cannabis. Propongono emendamenti improponibili allo Ius Scholae. Sì, Forza Italia oggi è contro i diritti».
Mi perdoni ma Forza Italia non è mai stato il partito dei diritti, figuriamoci Lgbt.
«Non è vero. C’era un dibattito aperto. Oggi non esiste dibattito. Ma guardi che quello che vediamo è il risultato di un processo che si è consumato negli ultimi anni. Una volta le voci in dissenso erano ammesse. Le cose vanno viste con laicità. se non ti riconosci più in un partito lo lasci. Anche rispetto a questa vicenda si sono comportati in maniera intollerante».
Non l’hanno presa benissimo i suoi ex colleghi
«Hanno avuto un atteggiamento intollerante ma va bene così. Ho trovato uno spazio e una richiesta di diritti a destra che gli altri non vedono o non vogliono vedere. Mi sono dimesso anche per non disperdere questa richiesta che c’è di una politica dei diritti a destra».
Crede sia possibile in questo paese?
«È necessaria una destra anti-fascista e per i diritti in Italia. Però deve superare le ingerenze cattoliche. Ci sono tante le persone di destra che vogliono la liberalizzazione della cannabis, che sono contro le discriminazioni Lgbt. Ma guardiamoci bene intorno: con questi partiti e con questa classe dirigente non si può fare. Per conquistarla è giusto che la destra liberale e anti-fascista faccia delle alleanze programmatiche elettorali».
Ha sentito Silvio Berlusconi?
«No, no quello che devo dire lo dico pubblicamente».
Possiamo dire che i suoi rapporti con il partito dell’ex Cavaliere si sono logorati per via della legge Zan contro l’omotransfobia.
«Lì è iniziata la mia rottura con Forza Italia. Ero vice presidente del gruppo e abbiamo ottenuto che Forza Italia in commissione si astenesse. Ricordo che il testo del ddl Zan è frutto di un insieme di testi tra questi il testo Bartolozzi di Forza Italia. Durante una riunione di gruppo si raggiunse l’accordo: se passava l’emendamento di Costa, che inseriva l’articolo 4 sul pluralismo delle idee, noi come gruppo avremmo votato a favore del ddl Zan. Venne approvato eppure Forza Italia votò contro, io votai a favore in dissenso dal gruppo. Da allora quell’articolo 4, ripeto voluto anche da Forza Italia, è diventato la pietra dello scandalo che minacciava la libertà di espressione».
Ed è diventato anche molto attivo sui social, specialmente su Twitter.
«Da quel momento ho iniziato a utilizzare Twitter perché non c’era spazio nel partito. Non mi mandavano in televisione, non mi passavano i comunicati stampa. Erano anche infastiditi dalle mie dichiarazioni».
Ogni tanto sui social c’è chi le rinfaccia il suo passato. Nel 2011 fu al fianco di Berlusconi anche quando bisognava sostenere che Ruby fosse la nipote di Mubarak.
«Quello è uno spot che deve finire: rinfacciare cose di 50, 40 o 10 anni fa. Il voto su Ruby non era su Ruby. La votazione doveva decidere se autorizzare la perquisizione, chiesta dalla Procura di Milano, di un ufficio milanese di Silvio Berlusconi. Queste cose fanno viste contestualmente. Rinfacciarle così è antipolitica. Sono argomenti strumentali, ci vuole laicità anche in questo. Guardo con serenità al futuro, non al passato».
Nel suo partito gli occhi della comunità Lgbt guardavano speranzosi a Mara Carfagna o Anna Maria Bernini, spesso considerate persone vicino ai diritti lgbt. Deluso?
«No, perché non avevo illusioni. Mara è sempre stata parte di quella destra, basti pensare alla dichiarazione contro l’identità di genere o alla sua legge contro la gestazione per altri. Posizioni che io rispetto ma non condivido. Ma nessuno di loro si è mai avvicinato davvero alla comunità Lgbt. Neanche Anna Maria Bernini che dà una pennellata di arcobaleno al profilo Instagram e poi fa interventi contro il ddl Zan».
E adesso Elio Vito cosa farà?
«Sarò vicino come sempre alla persone, alle loro istanze, alla comunità reale. La politica deve tornare a fare questo. Non so cosa farò da grande ma sono sereno, libero. Continuerò a battermi per i diritti come sto facendo sulla Cannabis ad esempio. Farlo dentro il Parlamento non era più possibile ed io non volevo essere l’ennesimo trasformista. Ho militato molti anni in Forza Italia, sono stato dirigente, ho ricoperto ruoli di rilievo. Sono invecchiato e su molti aspetti sono cresciuto, ma sono a posto con la mia coscienza e anche con la mia storia. Fuori di qui c’è una comunità che lo riconosce e questa è la cosa più importante di tutte. Quanti colleghi del mio partito possono dire lo stesso? Nessuno».