Draghi non è un politico e quindi non ha evitato la crisi e le indicazioni che sarebbero arrivate dal Colle più alto, per proseguire, lo hanno appena sfiorato. È come se questi politici lo avessero fatto stancare di stare a Palazzo Chigi. Chissà come avrebbe raccontato questo momento il Fondatore Eugenio Scalfari

Ha fatto di tutto Mario Draghi per andare via e lasciare il governo. Ha lanciato strali contro alcuni componenti della maggioranza perché non remavano nella direzione in cui voleva andasse il Paese. Non è un politico e quindi non ha evitato la crisi e le indicazioni che sarebbero arrivate dal Colle più alto, per proseguire, lo hanno appena sfiorato.

 

È come se questi politici lo avessero fatto stancare di stare a Palazzo Chigi. E non ha tutti i torti. Perché adesso lasciare spazio aperto alla destra è da irresponsabili. Draghi ha presentato le sue dimissioni la settimana precedente dopo l’uscita di scena del M5S, ma il Presidente Sergio Mattarella le ha respinte e gli ha detto di tornare davanti al Parlamento. Cosa che ha fatto mercoledì, giorno decisivo per il governo, con la tensione politica che è salita, provocando ripercussioni sui mercati e lo spread Btp/Bund che, dopo aver aperto in calo a 206, si è allargato a 214 punti, in attesa dell’esito del voto di fiducia. Il messaggio di Draghi al Parlamento era, in sostanza, «prendimi o lasciami». Ha offerto alcune concessioni al M5S, anche se i senatori Cinquestelle non hanno applaudito il suo discorso. Quello che viviamo e subiamo è un periodo politico ingarbugliato, capovolto, incoerente con un falso senso di responsabilità.

 

Alla camera ardente del direttore Eugenio Scalfari in Campidoglio, Mario Draghi viene a portare i suoi omaggi al fondatore de L’Espresso. Stringe la mano ai presenti e una di loro gli dice: «Resista, presidente». Lui si ferma, la guarda negli occhi, e abbozzando un sorriso risponde: «Ma intende resistere sulla decisione delle mie dimissioni? Oppure resistere e quindi cambiare idea e andare avanti nel governo?».

 

Ribatte immediatamente l’interlocutrice: «Deve restare, presidente». Draghi per qualche secondo si ferma a guardarla ancora con un sorriso, ma l’espressione del volto tradisce una frase trattenuta, come se volesse replicare e, per evitare di svelare il suo vero pensiero, si cucisse di colpo le labbra, limitandosi a stringerle la mano. Quindi prosegue, saluta gli altri presenti, con qualcuno rievoca la conoscenza che il padre aveva con Scalfari. Spiega che questo rapporto è proseguito con lui, «anche se in un paio di occasioni mi ha attaccato in prima pagina su Repubblica». Lì e altrove non fornisce alcuna risposta alla richiesta di restare.

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L’enigma rimane tale fino a mercoledì scorso, quando a palazzo Madama, Mario Draghi nella sua breve replica al Senato ringrazia «chi ha sostenuto l’operato del governo con lealtà». Per poi aggiungere un’osservazione «a proposito di alcune parole che avrebbero messo addirittura in discussione la natura della nostra democrazia, come se non fosse parlamentare mentre lo è e io la rispetto e mi riconosco». E ai senatori premette che sono loro che decidono, perché la democrazia è una democrazia parlamentare. E non fa alcuna richiesta di pieni poteri. Perché se dei disegni di legge non sono stati incardinati e approvati non è certo per responsabilità dell’esecutivo. La colpa delle mancate scelte legislative deve quindi essere rivolta altrove. Al Parlamento eletto dagli italiani che da mesi sembra essere bloccato, immobile, fermo su temi sociali ed economici che segnano il nostro Paese.

 

Chissà come avrebbe raccontato questo periodo politico il direttore Eugenio Scalfari. Quella sua idea di fare giornalismo, con le battaglie politiche, culturali e sociali, ha modificato la nostra vita, e sicuramente ha migliorato la mia vita professionale. E il dolore per la sua scomparsa è profondo non solo in me ma in tutta la redazione. Abbiamo perduto il fondatore, il padre de L’Espresso, che amava ricordare che era nato per affermare il valore dell’innovazione, d’un accordo produttivo tra gli imprenditori e i lavoratori per portare la sinistra democratica al governo del Paese, purché quella sinistra abbandonasse l’ideologia marxista e soprattutto le sue aberrazioni. Volevano una forza riformista, con libera Chiesa in libero Stato, capace di lottare contro la corruzione e l’evasione fiscale. Grazie “Direttore” per quello che ci hai dato. Proseguiremo nel solco dei tuoi insegnamenti e delle tue idee, tenendo alta la bandiera del tuo giornalismo.