Il 30 luglio la festa dei diritti invade la Riviera. E la città cantata da Tondelli prova a proporsi come simbolo di inclusione. E rispolvera la memoria di decenni di battaglie civili

Se l’amore ha bisogno del mondo per potersi affermare, Rimini, che chiude l’onda Pride dell’estate italiana, è lo scoglio dove l’arcobaleno s’infrange nei rivoli dei diritti e del cambiamento. La città simbolo della villeggiatura estiva ha spezzato la linea retta del conformismo al punto tale da diventare, come scriveva Pier Vittorio Tondelli in “Rimini”, «la frontiera tra l’illusione luccicante del divertimento e il peso opaco della realtà».

 

Dagli anni Settanta, però, la Riviera non baratta più i sogni di una comunità con una società ansiosa di preservare il suo status quo. In fondo, non lo ho mai fatto, spiega Franco Grillini, padre di Arcigay, militante da oltre 40 anni: «Allora, il mito del vitellone, il maschio donnaiolo romagnolo, nascondeva un’assidua frequentazione da parte del mondo omosessuale, che però si voleva tenere nascosto, relegato nell’ombra di luoghi, come le cabine prospicienti lo storico bar Lina. Ma, ieri come oggi, gli atti di omofobia sono legati all’espressione pubblica dell’affettività».

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Lo sa bene l’influencer Gabriele Gentile aka Avocadogabb, aggredito perché indossava un vestito rosa mentre rientrava nell’albergo dove lavora come receptionist al termine della Notte rosa. Oggi il crop top macchiato dalle birre che un gruppo di 25enni gli ha riversato addosso facendolo sbandare con il monopattino, materializza una ferita che lui, tiktoker 21enne a suo agio con la propria omosessualità, porta con sé: «Non meritavo di essere trattato così quella sera, non dimenticherò mai il desiderio di sparire che ho sentito dentro. Oggi sto ritornando alla normalità, ma mi fa male sapere che, se per quei ragazzi è stato un gioco perverso di cinque minuti, per me ha rappresentato la violazione di una quotidianità».

 

Per questo, manifestare il proprio orgoglio è essenziale, spiega Marco Tonti, organizzatore del Summer Pride, fondatore di Arcigay Rimini e consigliere comunale, che nei prossimi giorni dichiarerà la città zona di libertà per le persone Lgbt, seconda solo a Milano: «La marea colorata di persone che sfileranno sul lungomare serve a dimostrare che ci sono più possibilità che possono mettere in discussione i nostri modi di vivere e mostrare un mondo più giusto».

 

Se il lungomare di Rimini non è più quello che, quarant’anni fa, Tondelli descriveva come un sogno vissuto «a patto di non sbandare mai né da una parte né dall’altra», la partecipazione di attivisti e volontari è ancora necessaria a vincere le resistenze di una realtà complessa per storia e tradizioni.

 

È a Rimini, infatti, che il 24 agosto 1928 Fernanda Bellachioma fu incarcerata per una relazione con Violet Righetti-Collins. Non esistono memorie di quell’Italietta dove il regime fascista negava l’esistenza dell’omosessualità pur ammonendo e confinando gli omosessuali in segreto. A Viserba, è ancora possibile vedere Villa Bavassano, la casa al mare da cui Fernanda fu portata via in una giornata di sole: una scatola liberty prospiciente il mare di mattoni rossi impastati di sabbia e vento, che solo il braccio di un’intolleranza marziale ha potuto scolorire in un tramonto di fine estate: «Dagli anni Ottanta, abbiamo rivendicato questa visibilità che ci veniva costantemente negata», puntualizza Grillini.

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Il suo ricordo va agli anni Novanta, quando l’Italia era terza in Europa per numero di malati di Aids (almeno 23mila, secondo le statistiche di allora), il virus usato dalla politica come grimaldello per stigmatizzare, ancora una volta, gli omosessuali. Erano gli anni del X Congresso mondiale sull’Aids in Giappone e, di fronte al silenzio democristiano della politica, gli attivisti di Arcigay erano i soli a fare prevenzione. Nel ’94 la Colonia reggiana di Riccione veniva tappezzata di manifesti che invitavano a proteggersi, mentre nelle discoteche si distribuiva “Il piccolo libro dell’amore senza rischio”, così contestato da essere ritirato poco dopo per l’uso di un linguaggio basilare, eppure reputato osceno.

 

Intanto, dagli scranni del Consiglio comunale di Riccione, l’esponente dei Popolari italiani, Piergiorgio Ricci, disse: «I gay dovrebbero stare almeno un metro oltre il confine». «In quell’Italia in miniatura che era la Riviera, fondare un Arcigay a Rimini fu un atto politico», spiega Marco Tonti, indicando l’oblò della Colonia reggiana, dove ancora campeggia la scritta “Arcigay Rimini” in quello che prima fu un tempio della propaganda fascista, poi - per paradosso - un sacello dell’attivismo omosessuale. Gli fa eco Grillini: «Persiste quello che all’epoca definii clerico-fascismo di Stato. Lo ha mostrato plasticamente l’esultanza in Senato dopo la tagliola sul ddl Zan: quando un pezzo della politica gode per la sconfitta di una legge che tutela una minoranza, non stupisce la resistenza locale della pubblica amministrazione o della scuola dove, malgrado i giovani, alcuni temi non sono ancora totalmente accettati».

 

Se la libertà è sotto scacco, anche i gesti semplici sono rivoluzionari. Come quello di Stefano Mazzotti, titolare del Bagno 27, che due anni fa ha dipinto la passerella che collega la spiaggia alla battigia con i colori dell’arcobaleno: una lunga linea rainbow fino al mare, capace di trasformare il Sissy that walk del mondo queer in un puro atto di libertà e riappropriazione dello spazio: «Per me e mia moglie significava prendere una posizione netta su temi importanti, che noi stessi abbiamo imparato dalle nostre figlie negli anni, perché a scuola certe tematiche sono state sdoganate», spiega.

 

Due anni dopo la riapertura, il Bagno 27 è diventato una community dove trovano casa eventi a tema e spazi di sensibilizzazione, visto che Stefano ha preso ad assumere giovani con autismo e ritardo cognitivo, perché la tutela delle minoranze è un atto universale di accoglienza: «Se mia figlia un giorno mi dicesse di essere lesbica, non vorrei mai pentirmi di lasciarla a combattere battaglie che dovremmo fare noi adulti per loro. La nostra sfida di adulti è, infatti, questa: combattere per una società sempre più aperta e inclusiva per le giovani generazioni».

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Oggi la Community 27 è la terza meta del turismo Lgbt in Italia, e mostra i benefici del turismo arcobaleno in termini di indotto economico, come già evidente in Spagna, dove vale otto miliardi di euro: «Il progetto di Stefano è importante, perché sta spingendo le imprese ad aprirsi a nuove possibilità», spiega Marco Tonti. Mazzotti specifica: «Io faccio l’imprenditore, e questo ha un grande valore, perché il cliente è più disposto a spendere in un’azienda che promuove azioni di sensibilizzazione. Non c’è sostenibilità economica senza una sostenibilità sociale». Ma il barlume nei suoi occhi per l’entusiasmo di quanto fatto ha una sfumatura amara: «Quando vedo che una coppia gay si stringe la mano solo quando attraversa la soglia del mio Bagno, da una parte sono felice di aver costruito per loro uno spazio sicuro, dall’altra capisco che lì fuori è dura».

 

Il successo di luoghi come il Bagno 27 o il Chiringay, il chiosco poco distante, non è infatti sufficiente a sradicare la mentalità provinciale, ammette Emiliano Ciavatta, 25enne referente del gruppo giovani di Arcigay Rimini: «Se a livello locale si sta facendo molto, come con il progetto regionale Youth, che ci darà la possibilità di accedere a fondi per progetti di inclusione, è a livello nazionale che l’omofobia va contrastata. Una volta, una donna ci ha scritto del disagio del figlio, bullizzato per il suo orientamento sessuale e isolato dai suoi stessi amici, al punto da trovare serenità solo in una città distante da Rimini, come Milano.

 

Non sono rari i casi di omolesbobitransfobia nella pubblica amministrazione, o nelle Asl, dove le persone trans sono spesso messe in difficoltà per il loro nome. Il più delle volte, l’omofobia passa dall’esclusione». Emiliano parla con il tono di chi ha vissuto quella solitudine che fa rumore, ma ha anche sperimentato il coraggio di reagire: «Sono ad Arcigay da due anni, è un posto che mi ha salvato perché mi ha accolto per quello che sono. Vorrei che lo ricordassimo nelle scuole, in quei luoghi di formazione dove l’omofobia è più una violenza piscologica che fisica. E questa non si combatte con la legge, ma con l’ascolto».

 

Claudio Tempesta, storico dj del Cocoricò, il superclub nato dalle ceneri della Fragolaccia, fra i primi spazi Lgbt friendly della Riviera, guarda con un po’ di nostalgia al passato: «In quei luoghi ci sentivamo sicuri, erano un luogo fatto per noi, dove la comunità viveva la sensazione di essere un gradino avanti rispetto a una società chiusa». Non a caso, il Cocoricò nasce nell’89, quando le masse giovani abbattevano cortine di ferro e muri sociali, sfidavano l’autorità a Tienanmen e facevano della creatività artistico-musicale un atto politico. Se è vero che, come ricordava Tondelli, «l’amore ha bisogno del mondo per potersi affermare», anche un Pride che dura un giorno può fare tutta la differenza in una comunità che ha bisogno di un luogo e un tempo per ritrovarsi. E, così, continuare a vivere.