Analisi
Il futuro della Stazione Spaziale Internazionale spiega quanto sia delicata la diplomazia spaziale
Le dichiarazioni dei vertici di Roscosmos avevano fatto temere una fine imminente per la Iss, dove astronauti occidentali e cosmonauti russi collaborano da oltre venti anni. Ma l’intenzione di Mosca resta quella di creare una sua base indipendente (come la Cina)
Tacciano gli allarmi, almeno quelli cosmici: la Russia non abbandonerà la Stazione spaziale internazionale (Iss) nel 2024. Men che meno la userà come arma in risposta alle sanzioni occidentali per l’invasione dell’Ucraina: uno scenario paventato da molti lo scorso marzo, dopo alcune dichiarazioni quantomeno incaute di Dmtry Rogozin, l’allora numero uno di Roscosmos, l’agenzia spaziale della Federazione. Al contrario, in base a un accordo reso pubblico il 15 luglio, dal prossimo settembre Roscosmos e Nasa riprenderanno voli “misti” con astronauti e cosmonauti seduti nella stessa capsula: i russi voleranno con le Crew Dragon della statunitense SpaceX, mentre gli americani raggiungeranno la Iss a bordo delle Soyuz. Lo scambio avverrà alla pari, senza passaggi di denaro tra le due agenzie. È la prima volta nella storia di cooperazione alla base della Stazione spaziale internazionale, che da oltre vent’anni vede Russia e Stati Uniti collaborare con Esa (Agenzia spaziale europea), Jaxa (giapponese) e Csa (canadese).
Costituita da 16 moduli pressurizzati - buona parte dei quali realizzati in Italia - e grande quanto un campo di calcio, la Iss è il frutto della riconversione, fra il 1993 e il 1994, da parte dell’allora presidente Bill Clinton, degli sforzi per costruire “Freedom”, un avamposto a circa 400 chilometri dalla Terra, proposto da Ronald Reagan una decina di anni prima. La Russia divenne partner del progetto già nel settembre del 1993. La decisione di iniziare un programma congiunto fu un simbolo della cooperazione post-guerra fredda. Costruita dal 1998 e abitata in continuità dal 2 novembre del 2000, la Stazione spaziale internazionale è un laboratorio di ricerca la cui condizione di “microgravità apparente” - in realtà l’assenza di peso è dovuta al suo perenne cadere attorno alla Terra - permette di studiare le future tecnologie spaziali e gli effetti sull’uomo di una lunga permanenza oltre l’atmosfera. Valori tecnico-scientifici a parte, è indubbio che il programma abbia anche avvalorato la leadership statunitense, capace di distrarre l’impegno (e le risorse) dei partner da obbiettivi diversi.
La questione, però, sembra solo rimandata: che cosa succederà alla Iss dopo il 2024? Prima di rispondere è opportuno un passo indietro, al 27 luglio, cioè a quando Yuri Borisov, subentrato a Rogozin nella direzione di Roscosmos, ha comunicato a Vladimir Putin la decisione di ritirarsi dal programma alla scadenza degli impegni attutali, cioè «dopo il 2024». Una volontà corredata dall’intenzione, da parte russa, di concentrarsi subito sulla realizzazione e la messa in orbita di una stazione propria, la Russian orbital service station, o Ross.
Inevitabile la notizia abbia avuto un’eco internazionale e generato fraintendimenti, incendiari e non sempre in buona fede, vista la congiuntura internazionale: la Iss non è solo il progetto ingegneristico più complesso mai realizzato oltre l’atmosfera; è l’esempio supremo di una diplomazia spaziale virtuosa, capace di anticipare, e a volte facilitare, distensioni politiche dalle benefiche conseguenze terrestri. È, inoltre, un progetto interdipendente: sebbene gli Stati Uniti stiano studiando un modo per mitigarne le conseguenze, l’abbandono della Russia oggi condannerebbe la Iss. Al segmento “non occidentale” sono infatti deputate le periodiche manovre di riposizionamento orbitale dell’infrastruttura. Sapere che il programma venga compromesso o interrotto anzitempo dai riverberi della guerra in Ucraina significherebbe rinnegare rapporti pacifici costruiti, oltre il cielo, in quasi mezzo secolo.
In molti si sono affrettati a ridimensionare gli allarmi, dando un senso più preciso a quel «dopo il 2024» detto da Borisov: poche ore dopo l’esplosione del “caso”, Kathy Leuders, a capo del direttorato delle Operazioni spaziali della Nasa, ha dichiarato di essere stata informata dai funzionari dell’agenzia spaziale russa che è intenzione di Mosca restare nel programma almeno a fino a quando la Ross sarà operativa. Vale a dire non prima del 2028, secondo quanto stimato da Vladimir Solovyov, il direttore di volo per il segmento russo della Iss, pronto a ricordare anche quanto sarebbe controproducente non avere un avamposto abitato in orbita. A esclusione di quello cinese, bisognerebbe aggiungere: Pechino ha infatti lanciato il 24 luglio il secondo modulo della sua stazione orbitante, Tiangong, che in caso di dismissione della Iss rimarrebbe l’unica stazione abitata oltre l’atmosfera. «Non abbiamo ricevuto alcuna indicazione che qualcosa sia cambiato», ha detto Leuders in un’intervista alla Reuters, aggiungendo che le relazioni tra Nasa e Roscosmos stanno procedendo «come al solito» malgrado la tesa situazione geopolitica.
Un’ordinarietà ribadita anche dall’attività extraveicolare di Samantha Cristoforetti, che lo scorso 21 luglio, prima astronauta dell’Esa a farlo, ha “passeggiato nello spazio” in compagnia del cosmonauta Oleg Artemyev, e proprio per lavorare sul braccio robotico “Era”, posizionato sul segmento russo della Iss.
Anche l’Agenzia spaziale europea è intervenuta per gettare acqua sul fuoco: «Che la Russia lasci la Iss dopo il 2024 e costruisca un’infrastruttura propria non sono una novità», si legge in uno statement ufficiale. «Roscosmos ha anche confermato che adempirà a tutti i suoi obblighi nei confronti dei partner internazionali. I team continueranno quindi a realizzare missioni di successo sulla Iss a beneficio delle comunità scientifiche di tutto il mondo. L’Esa prevede di continuare a far funzionare il suo modulo Columbus (un laboratorio della Stazione, ndr) fino al 2030».
Va però precisato che sull’estensione del programma oggi non esiste un accordo internazionale: sebbene lo scorso dicembre la Nasa abbia formalmente deciso di continuarlo fino al 2030, anche per preparare il campo alle prime stazioni commerciali - in questo momento in fase di sviluppo progettuale negli stabilimenti di Blue Origin, Nanoracks e Northrop Grumman -, «l’Esa scioglierà la questione a novembre, al prossimo Consiglio ministeriale. Csa e Jaxa stanno lavorando per arrivare a un’approvazione governativa», spiega Frank de Winne, responsabile per l’ente europeo del Gruppo di esplorazione dell’orbita bassa (Leo exploration group).
Ancora più preciso è stato proprio Borisov: il 29 luglio, in un’intervista al canale televisivo Rossiya 24, dopo aver rivendicato gli sforzi russi nel programma Iss, soprattutto nelle sue fasi iniziali «quando i nostri colleghi non erano in grado di consegnare né astronauti né merci», ha ribadito la volontà di abbandonare il programma adducendo motivi scientifici, tecnici e politici: «Dal punto di vista scientifico abbiamo completato i nostri esperimenti. In questo senso, rimanere fino al 2030 non porterebbe alcun vantaggio alla Russia, ma richiederebbe fondi enormi. Non è e non era un segreto: inizieremo il nostro programma di uscita dalla Stazione, un programma che i nostri specialisti stimano possa durare fino a due anni. Che lo si cominci a metà del 2024 o l’anno successivo dipende dallo stato di salute dell’infrastruttura». Un tema, quest’ultimo, non secondario, visto che la Iss è costituita da moduli in alcuni casi in orbita da oltre vent’anni.
«Oggi l’intensità di vari tipi di emergenze, guasti alle apparecchiature, la comparsa di microfessure inizia ad aumentare è un processo naturale alla fine del ciclo di vita di qualsiasi prodotto. È improbabile che uno specialista in qualsiasi Paese del mondo sia in grado di prevedere con precisione quando questo processo diventerà una valanga e creerà una minaccia per l’equipaggio. Ma secondo l’autorevole parere di molti esperti, è molto probabile succederà dopo il 2024, motivo per cui ho annunciato questo periodo», ha continuato Borisov. Che è stato anche più perentorio circa gli aspetti politici dell’abbandono della Iss: «Inesistenti», li ha definiti. «Il progetto Iss ha arricchito la scienza mondiale nel campo della conoscenza dell’Universo e della Terra, ha fornito nuove conoscenze a tutti i partecipanti e, in una certa misura, ci ha uniti. Mi dispiace molto che, in questo momento difficile, alle nostre attività congiunte nello spazio talvolta si dia un colore politico. Non è corretto». Converrebbe chiedersi a chi giovi diffondere l’idea che qualcuno minacci la fine (non tanto) prematura del progetto ingegneristico più complesso e collaborativo della storia spaziale.