Centinaia di corpi nelle fosse comuni, esecuzioni sommarie, torture, brutalità. Dopo la riconquista della cittadina del sud-est del Paese, i racconti dei sopravvissuti spiegano nel dettaglio l’inferno vissuto in questi sei mesi

Le strade che conducono a Izyum, nel sud-est dell’Ucraina, sono un cumulo di detriti di guerra e brandelli di carne.Carcasse di decine di carri armati russi e veicoli militari carbonizzati campeggiano ai bordi dell’asfalto, punteggiato da profondi crateri aperti dalle bombe esplose durante la controffensiva ucraina per la riconquista della città, una delle più strategiche per Mosca, che l’ha occupata per quasi 6 mesi. Il cadavere di un soldato russo ucciso in battaglia inizia a decomporsi tra i cespugli a ridosso della strada. Frammenti di gambe e braccia penzolano dagli alberi. Più ci si avvicina alla città, più cresce il sospetto che il peggio debba ancora arrivare.

 

Decine di edifici sventrati dalle incursioni aeree svettano dalle colline come gli scheletri di una città fantasma. Sotto quelle macerie, giacciono ancora i corpi di un numero imprecisato di civili seppelliti vivi dai bombardamenti russi a metà marzo. Centinaia di altri corpi iniziano ad affiorare dalla terra umida dei boschi attorno a Izyum dove la polizia ha rinvenuto le salme dei primi 445 civili uccisi, sepolti senza nome. Chi è sopravvissuto ai missili, alle torture e all’occupazione, attende il proprio turno in fila per la distribuzione di cibo, indumenti e acqua, mentre in lontananza riecheggiano i colpi dell’artiglieria russa, spinta indietro a otto chilometri da qui. Considerata per secoli la porta del Donbass e cerniera tra la Russia e il Mar d’Azov, Izyum oggi sembra la porta di un inferno.

Alessio Mamo

«Anche se provassi a spiegarti quello che abbiamo vissuto, non lo capiresti, perché se non lo hai vissuto, non lo puoi comprendere», dice Olga, 44 anni. «Siamo rimasti così a lungo in casa che abbiamo imparato a riconoscere le bombe ascoltando il rumore degli aerei russi. Se dal suono il velivolo sembrava piccolo, sapevamo che avrebbe sganciato due bombe. Se il frastuono proveniente dai cieli era più fragoroso, ne avrebbe sganciate sei. Contavamo le esplosioni una alla volta, prima di tirare un sospiro di sollievo, senza sapere però quanti altri amici e parenti erano morti nel frattempo».

 

Dalle città liberate dall’esercito ucraino nella regione di Kharkiv, emergono gli orrori dell’occupazione russa. I residenti sopravvissuti raccontano di come Mosca abbia ridotto i loro villaggi all’osso, sventrando case e palazzi, lasciando morire gli infermi, torturando i ribelli e affamando la popolazione. A Izyum, Balakleya e Kupiansk, non c’è tempo per festeggiare la vittoria di Kiev. Ci sono amici e parenti da disseppellire dopo che erano stati sepolti in fretta e furia durante i bombardamenti. Ci sono funerali da celebrare e cumuli di legna da preparare in vista di un in inverno freddo e tetro. Ci sono fratelli, sorelle, madri e padri da cercare, spariti nei primi giorni dell’occupazione e di cui ad oggi si sono perse le tracce. Della guerra che imperversava nel resto del Paese, gli abitanti delle aree occupate dai russi sapevano poco o nulla. Mosca era stata ben attenta a non far trapelare gli orrori che le sue truppe avevano commesso a nord di Kiev. Per 6 lunghi mesi, decine di migliaia di ucraini, sono stati tagliati fuori dal mondo, dal tempo e dallo spazio.

Alessio Mamo

«Una volta entrati in città i russi trasferirono i loro cingolati nelle vie del centro», dice Vitaliy Ivanovych, un ex ingegnere elettronico di 64 anni di Izyum, che indossa stracci sporchi e polverosi. «Da quel momento nessuno di noi avrebbe più potuto lasciare il paese».

 

Ivanovych spiega che le torri telefoniche e le centrali elettriche erano state distrutte durante i primi bombardamenti russi a marzo. La mancanza di rete telefonica, significava niente più contatti con il mondo esterno. La mancanza di elettricità significava anche mancanza di acqua. Raramente, nel corso dei 6 mesi, i residenti erano stati in grado di lavare se stessi o i propri vestiti.

 

Poi fu la volta dei rastrellamenti. Una volta rimpiazzati gli amministratori ucraini, commissari di polizia e giudici con ufficiali del Cremlino, iniziarono i raid nelle case dei residenti. Mosca aveva ricevuto da decine di collaboratori russi gli elenchi dei poliziotti ucraini, dei militari e dei veterani che avevano combattuto contro la Russia nel Donbass.

 

«Sapevano esattamente dove cercarli, conoscevano i loro indirizzi e una notte bussarono alle loro porte», dice Serhiy Shtanko, 33 anni, rimasto a Izyum per tutta la durata dell’occupazione. «Li caricarono sui loro veicoli e di loro non si seppe più nulla».Serhiy Bolvinov, capo del dipartimento investigativo della polizia della regione di Kharkiv, ha affermato che gli investigatori avrebbero scoperto a Balakleya una vera e propria “stanza delle torture” in cui decine di persone sarebbero state detenute nel seminterrato del commissariato della città.

Reportage
L’avamposto dell’Isola dei Serpenti, simbolo della battaglia per la libertà del popolo ucraino
2/8/2022

Le dichiarazioni di Bolvinov coincidono con i racconti raccolti da L’Espresso tra la popolazione civile in altri villaggi liberati a Kharkiv e dai quali sembra emergere un vero e proprio manuale russo dell’occupazione che prevedeva, appunto, la trasformazione dei comandi di polizia locali in veri e propri campi di prigionia, dove i detenuti venivano seviziati per estorcere loro informazioni sui movimenti e piani dell’esercito ucraino. La maggioranza dei testimoni ha descritto la gestione russa dei territori occupati come un vero e proprio stato di polizia, in cui le autorità non tolleravano il minimo accenno di dissenso. Il prezzo da pagare era l’arresto, o peggio, la morte.

 

«Due soldati russi, all’inizio dell’occupazione, rubarono l’auto di un mio amico», dice Eduard, 30 anni, di Izyum. «Quello quasi d’istinto protestò. Lo uccisero davanti ai miei occhi a sangue freddo, insieme al suo cane».

 

Secondo i procuratori ucraini, nei boschi di Kharkiv si celano i corpi di centinaia di persone uccise dai soldati di Mosca. Molte di queste aree sono però ancora irraggiungibili dagli investigatori a causa dei colpi incessanti dell’artiglieria che in alcune città, come Kupiansk, proseguono nonostante la liberazione.

 

Altre di queste, invece, sono già una gigantesca scena del crimine.

 

L’esalazione di decine di corpi in decomposizione disseppelliti dalla fossa comune scoperta a Izyum, avvelena l’aria del bosco. Uomini e donne, con indosso camici, guanti e mascherine, scavano da ore nel terreno polveroso. I cadaveri brutalizzati dai bombardamenti e dalle esecuzioni sommarie, che erano stati seppelliti individualmente e senza nome, così come avevano ordinato i russi, riaffiorano dalla terra bagnata dalle piogge. La prima salma riesumata, ha una corda attorno al collo. Ne seguiranno altre.

 

Tamara Volodymyrovna, a capo di un’impresa di pompe funebri di Izyum, che ha detto di essere stata incaricata dalle forze di occupazione russe di stilare una lista dei morti, spiega che la maggior parte delle vittime avrebbe perso la vita la scorsa primavera, durante l’assalto di Mosca a Izyum e che tra di essi ci sarebbero almeno 20 bambini.

«Non avevano fatto in tempo a raggiungere i rifugi antiaerei», dice Tamara. «Poi ci sono gli anziani e gli infermi, morti di stenti o mancanze di cure».

Alessio Mamo

Nel piccolo ospedale di Balakleya, la sala operatoria è illuminata dalla luce fioca di una candela. Per sei mesi, medici e infermieri hanno continuato a lavorare senza acqua corrente né elettricità.

 

Intanto, a Kharkiv, è iniziata la caccia ai cittadini accusati di aver collaborato con i russi durante l’occupazione. Serhii Smak 44, di Balakleya, dice che la maggioranza dei residenti che avevano collaborato con Mosca, temendo le ritorsioni del governo ucraino, sarebbero scappati in Russia. Kiev ha confermato la presenza di lunghe file di auto ai valichi di frontiera russi e stando a quanto raccontato da alcuni testimoni, molti dei presunti collaboratori avrebbero già raggiunto la città di Belgorod.

 

Liudmyla Voloshyna, residente a Balakleya, dice che gli ufficiali di Mosca avevano persino annunciato l’imminente rilascio di passaporti alla popolazione: «La nuova Repubblica popolare di Kharkiv è vicina, ci dicevano», ha raccontato Liudmyla. «Poi un giorno, iniziammo a sentire i colpi dell’artiglieria. Non ci dissero che era l’esercito ucraino che avanzava, ma non fu difficile intuirlo».

 

Pochi giorni prima dell’arrivo delle truppe di Kiev, Natasha, una commerciante di mezza età di Izyum, ha riferito che i russi avevano decretato un lockdown di dieci giorni per impedire alla gente di lasciare la città con l’avvicinarsi dell’esercito ucraino. Il sabato successivo, però, intorno alle due del mattino, la donna udì il rumore di alcuni camion che lasciavano Izyum, dirigendosi a sud.

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) TONDO_27]]

«Il giorno dopo, uscii dalla porta di casa e vidi che il posto di blocco russo davanti alla nostra abitazione era deserto», dice Natasha. «Aspettammo ancora un po’ e infine constatammo che se ne erano andati».

 

Nel giro di poche ore, i primi battaglioni ucraini entravano nelle città di Izyum, Kupiansk e Balakleya, cogliendo di sorpresa non solo Mosca, ma gran parte degli osservatori internazionali. La liberazione della regione di Kharkiv avveniva in uno dei momenti più difficili per Kiev, messa con le spalle al muro dalla Russia nel Donbass.

 

I residenti dei territori occupati non credevano ai loro occhi. Alcuni avevano vissuto sotto l’occupazione russa sin dai primi di marzo, e, non avendo da allora avuto alcun contatto con il mondo esterno, in tanti erano convinti che Kiev fosse stata conquistata dai russi e che l’intero comando militare ucraino orientale fosse stato sconfitto.

 

Vedendo delle truppe avvicinarsi, sventolando le bandiere giallo-blu, Olga pensò addirittura ad una trappola, che i militari russi si fossero travestiti da soldati ucraini per inscenare chissà quale inganno.

 

La donna, in preda all’emozione, decise di tentare la sorte, urlando in direzione di quei soldati che si avvicinavano il celebre motto ucraino, diffuso già prima della guerra ma diventato dall’inizio dell’invasione lo slogan patriottico di un’intera nazione.

 

«Gloria all’Ucraina!», gridò Olga, con tutta la forza che aveva in corpo.

 

«Gloria agli eroi!», risposero in coro i soldati.

 

Il resto è già storia.