Aveva fondato il suo partito lasciando i 5 Stelle e prometteva di "valere oltre il 3 per cento". Invece l'unica ragione per cui qualcuno si è accorto della sua presenza è la foto in cui simula Dirty Dancing. Perde in un seggio considerato blindato e il suo flop costa caro al Pd

Forse ci avrebbe dovuto pensare quando veniva sollevato dai camerieri del ristorante "Nennella", nell'unico momento di questa campagna elettorale in cui qualcuno si è ricordato che lui ancora c’è. Luigi Di Maio volteggiava leggiadro in aria sulle note di “(I've Had) The Time Of My Life", la colonna sonora di Dirty Dancing. Tradotto: “è stato il tempo più bello della mia vita”. È stato, e forse non sarà più.

 

Il ministro degli Esteri uscente con il suo partito costruito in fretta e furia con Bruno Tabacci dopo aver mollato il Movimento 5 Stelle (per la cronaca, si chiama Impegno Civico) raccoglie, dai primi dati, uno zero virgola qualcosa. Che significa irrilevanza politica. Un flop che costa caro al Pd e alla coalizione tutta perché, con questa legge elettorale, il partito di una coalizione che non arriva all'un percento dei voti non contribuisce al risultato ma vede disperse le sue preferenze. Volano via anche loro, come il ministro.

 

Eppure le premesse per Luigi Di Maio erano molto diverse. La sua decisione di lasciare i pentastellati a giugno doveva dare il colpo di grazia a Giuseppe Conte e ai 5 Stelle, avvitati in una crisi che sembrava senza vie d'uscita. Il responsabile Di Maio giurava fedeltà a Mario Draghi (sul web gira ancora un meme in cui guarda l'ex leader della Bce con sguardo sognante e la didascalia "trova qualcuno che ti guarda come Di Maio guarda Draghi") e se ne andava portando con se una grossa pattuglia di 5 Stelle di cui molti al secondo mandato e quindi non ricandidabili tra i grillini. Un'operazione che ha contribuito agli eventi successivi: Conte che sfiducia Draghi e il centrodestra che coglie la palla al balzo per tornare alle urne. Il resto è storia di oggi.

A restare con il cerino in mano è proprio Di Maio. La sua formazione, che in appena tre mesi di vita è riuscita anche a cambiare nome abbandonando l'originale "Insieme per il futuro", si presenta con le parole d'ordine di ogni partito che si rispetti nato da una scissione: «Ci poniamo come coloro che intercettano il voto moderato, con un partito fatto di proposte, pragmatismo e concretezza», dichiara ad agosto Di Maio, che fissa anche un risultato da raggiungere: «Impegno civico andrà oltre il 3 per cento e ci sarà spazio per tutti quelli che vorranno correre nelle liste».

 

Tre per cento, ovvero la soglia per ottenere seggi attraverso il listino plurinominale. Pura utopia. «Hey, baby / With my body and soul / I want you more than you'll ever know (hey baby, con il mio corpo e l'anima, ti voglio molto di più di quanto tu possa mai sapere)» tanto per tornare a citare Dirty Dancing.

 

E infatti Impegno Civico - dopo una campagna elettorale finita nel momento stesso in cui Luigi Di Maio ha trovato l'accordo per essere candidato all'uninominale in Campania con la coalizione di centrosinistra - fallisce non solo l'obiettivo del 3 per cento, ma anche quello dell'uno. Mentre i 5 Stelle ritrovano vigore e si confermano terzo polo del Paese. Di più, è volato via anche il seggio blindato garantito a Di Maio in Campania che, a sorpresa, è stato conquistato dall'ex ministro 5 Stelle Sergio Costa. Doveva essere un volo, è stato uno schianto.