Le sezioni dem d’Italia sono semideserte. Tra gli iscritti più critici, ci sono i giovani. quelli della generazione Z, un potenziale elettorato che si sente incompreso. E la sfida tra candidati non accende le passioni

«Ma perché c’è un congresso?» è la battuta più in voga nei circoli, semideserti, di tutta Italia. Diciamo, per usare un eufemismo, che sono i giovani del Partito Democratico quelli meno entusiasti di queste primarie. Quelli della generazione Z, alla quale il Pd guarda come al suo elettorato, ma che sempre meno da quel partito si sentono ascoltati. «Questo congresso è la copia di tutti i precedenti. Hanno solo aggiunto la parola “costituente”, ma non c’è visione, non c’è un percorso», dice Filippo Greco, 24 anni, segretario reggente dei Giovani Democratici del Lazio.

 

È diventata un baratro la distanza che separa le parole dei candidati dai militanti che colorano di rabbia e stanchezza questa fase congressuale. Lo si vede nei volti desolati di chi è nel Partito da tempo come Raffaele Boninfante, esperto di comunicazione, amministratore della pagina Facebook di satira politica Socialisti Gaudenti, con diverse campagne elettorali vinte sulle spalle: «Il Pd sta cercando il nuovo segretario come si cerca un idraulico e con la stessa passione. Ma servirebbe uno psicoanalista, dovrebbe capire chi è e cosa rappresenta oggi. Invece sembra che si ripeta quanto siano bravi i nostri amministratori, cosa in parte vera, ma non basta essere bravi a tappare le buche per strada per convincere il Paese e la maggioranza a scegliere la sinistra alle politiche».

 

La discussione sul nome, su chi dovrà salvare un partito ai minimi storici, ha già stancato i suoi iscritti. Giorgia Cirelli, dei Giovani Democratici di Ostia, è chiara: «Siamo ossessionati dall’uomo solo al comando (o la donna). Ogni volta in attesa di un salvatore. Noi Gd siamo contrari alle primarie: valorizzano l’aspetto personale, poco quello politico, la discussione è sul singolo candidato, mentre i problemi sono più profondi. Il Pd avrebbe dovuto, da subito, imporre un congresso per tesi, politico, e non un “cambio nome”. Sono tesserata a un partito perché voglio determinare una linea politica, non seguirla».

 

Eppure, proprio alla ricerca della linea politica, il Nazareno ha deciso di sottoporre ai suoi iscritti un questionario chiamato la Bussola. Domande a risposta multipla, ma anche box da compilare sulle ragioni profonde della «missione» del PD. Un lunghissimo elenco di quesiti su «chi siamo e cosa vogliamo». I risultati verranno lavorati da Ipsos e confluiranno nella discussione preliminare alla stesura del nuovo Manifesto dei valori che un comitato di 87 saggi sta preparando e che l’assemblea dovrà votare. Un tempo c’erano i gruppi dirigenti, le sezioni, le riunioni e anche le cene tra compagni. Ma quello era il mondo di prima, oggi c’è un pdf.

 

«Se chiamo i vecchi militanti e chiedo loro di compilare il pdf su come si sta nel partito me ce mandano», ride amaramente Andrea Falzetti, 25 anni, del Pd di Roma: «I dirigenti non capiscono che sono i circoli la base su cui rifondare questo partito. Certo, faremo la gazebata, andremo diligentemente a votare a queste benedette primarie, ma non c’è stata una riflessione importante sul ruolo del Pd nella società. Si parla dei nomi, ma non capiscono che ci puoi mettere anche Lenin alla guida del Pd, rimarrai comunque fagocitato dalle logiche che hanno portato a questo congresso. E non è questione anagrafica, attenzione, bensì di contenuti. Una generazione di venticinquenni scese in piazza per Bersani, che 25 anni non li aveva. Era per quello che proponeva. Oggi non vedo grandi idee che parlano al mio mondo. La mia non è una generazione che vive di apatia politica, vuole lottare per cambiare lo stato delle cose e lo fa anche dentro il partito. Solo che siamo un Paese che vive con il 40 per cento di disoccupazione giovanile, ma che ogni cinque anni fa campagna elettorale sulle pensioni minime. Forse bisogna ripartire da qui».

 

Filippo, che di anni ne ha 22, annuisce: «Se ascolti i quadri di partito, c’è entusiasmo; ti raccontano una storia su questo congresso. Se parli con la nostra gente, anche coi vecchi, è un’altra cosa. Abbiamo chiesto in queste settimane un confronto nei circoli con gli esponenti nazionali, su tutti i livelli, e ci hanno risposto con un pezzo di carta che chiede come dev’essere un partito. Ma come si fa? Bisognerebbe ripartire dalle idee, dalle riunioni, riattivare i circoli, ma alla fine dai circoli non passano più neanche i candidati».

 

In Toscana Stefano Bonaccini ha attraversato con la sua campagna elettorale Livorno, Carrara, Castelvecchio Pascoli. «Ma non ha fatto incontri nei circoli; la sua è una campagna che guarda già alla seconda fase, quella delle primarie aperte», fa notare Danilo, 24 anni. E ci sarà una ragione. Se i numeri contano, e in questo caso contano, è fuori che si giocherà veramente il congresso. Il motivo è il crollo degli iscritti, in particolare negli ultimi due anni: erano 830 mila nel 2008, agli esordi, ma era un’era geologica fa, poi 380 mila con Renzi, 320 mila nel 2021 e 50 mila oggi. La conta interna, quella che si tiene, appunto, tra gli iscritti, rischia di diventare una corsa al ribasso, per pochi intimi, ed è meglio preparare il terreno altrove.

 

Calcoli, insomma. Ma dove sono le idee, gli slanci, gli azzardi? «Passiamo troppo tempo a pensare ai destini futuri dei Franceschini e degli Orlando di turno e parliamo troppo poco di sanità, istruzione, di tutto quello che rende possibile vivere bene in Italia», dice Manuele Covillo, giovane vicesegretario del Pd di Vignola, nella rossa provincia di Modena: «Devo essere sincero: anche qui che il partito gode di buona salute, che i circoli sono pieni di tesserati giovanissimi, c’è sconforto. Ci troviamo con un congresso che si gioca su regole decise dalla segreteria uscente. Una segreteria che continua a gestire il partito come se nulla fosse successo. E francamente è poco convincente veder portare avanti temi “costituenti” da persone che per tanto tempo avrebbero potuto incidere dalle loro posizioni e non lo hanno fatto. Non sono credibili».

 

La credibilità del partito, ai minimi storici, pesa anche su chi lavora dentro i circoli. Lo spiega Marina, 23 anni, di Milano, che milita nel Pd da quando ne aveva 18: «La gente non capisce cosa sia accaduto. Lo addebita al partito, a Letta, a Draghi, alle alleanze. Facciamo molta fatica a spiegarlo e direi che non lo hanno ancora capito neanche ai vertici». Comunque sia, per l’analisi della sconfitta è troppo tardi; chi si è fidato ed è caduto non si fida più. «Ero militante del Pd e me ne sono andato dopo pochissimo tempo. Mi ero tesserato durante la segreteria Zingaretti, mi sembrava giusto fare la mia parte», spiega Antonio, 21 anni, studente di Scienze politiche: «Per me il Pd avrebbe dovuto ritrovarsi in un progetto che riguardi tutti, i giovani e gli anziani, il centro e le periferie, gli stranieri che arrivano da profughi e quelli che arrivano a studiare. Ma quando mi sono tesserato ho visto che il sistema partito non c’era già più. C’erano giovani vecchi che si muovevano all’ombra dei padri politici. Queste elezioni hanno solo messo in scena il suicidio assistito di una classe dirigente abituata a campare di rendita e incapace di pensare alla competizione. Qui la passione è finita».

 

Ma non per tutti. Andrea Bertaccini, capogruppo del Pd di Valsamoggia, è nato nel 1997: «Sì, lo sguardo è disincantato. Mi aspetto che il Pd chiarisca cosa possa fare da grande. È importante che si scelga una linea condivisa e la si porti avanti soprattutto su temi come diritti, lavoro, precariato. E bisogna tenere conto non solo della famosa base, ma di tutto quel corpo di militanza che porta avanti il Paese come gli amministratori locali».

 

«La passione non è finita, bisogna far spazio al rinnovamento», dice Brando Benifei, capodelegazione (e tra i più giovani in questa legislatura) degli eurodeputati Pd: «La prova è nell’affollata assemblea soprattutto di under 40 che con Coraggio Pd abbiamo riunito a Roma e che è proseguita con incontri a Milano, Padova, Cagliari, Firenze, Bari. Faremo proposte per l’assemblea costituente del 20 gennaio perché non conta solo chi sarà la nuova guida del Pd, ma anche come ci organizziamo e dove andiamo. Ci interessa cosa accadrà dopo».