In principio - nel 2019 - furono gli attivisti di Extinction Rebellion. Inzuppati di vernice nera, invasero la sala della National Portrait Gallery di Londra che esponeva opere sponsorizzate dal gigante del petrolio BP: il denaro proveniente dai combustibili fossili è incompatibile con le battaglie per la crisi climatica, urlavano. Le proteste proseguirono implacabili, supportate da artisti come Sarah Lucas, Antony Gormley e Anish Kapoor. Fino all’inizio del 2022, quando il museo a due passi da Trafalgar Square ha annunciato il grande strappo: stop alla sponsorizzazione di British Petroleum.
Le incursioni ambientaliste in questi mesi sono state molte: dal liquido nero lanciato su “Morte e vita” di Gustav Klimt al Leopold Museum di Vienna al purè rovesciato su “Il Pagliaio” di Claude Monet, al Museo di Potsdam, in Germania, fino alle azioni italiane di Ultima generazione: con ragazzi incollati al vetro della “Primavera” di Botticelli agli Uffizi o armati di zuppa di verdure contro il “Seminatore” di Van Gogh a Palazzo Bonaparte, a Roma.
Mentre la stampa inglese riaccende ora il dibattito sulle sponsorizzazioni ambigue, scuotendo un’istituzione come il British Museum; mentre i direttori di tutto il mondo siglano un documento per mettere in guardia contro la potenziale pericolosità di certe azioni dimostrative, il tema si allarga, esonda dalle polemiche nazionali e si impone: qual è il museo del futuro? Come i musei possono fare la loro parte nella corsa contro il tempo per salvare il pianeta? E perché non rappresentare modelli di sostenibilità all’interno della società, anziché finire nel mirino degli ecoattivisti globali?
Il presupposto è che i musei inquinano, e tanto. Ma la rotta si può ancora invertire.
«Quando sono arrivata a dirigere la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma l’emissione di CO2 era equivalente a 2.600 tonnellate all’anno. Per bilanciare queste emissioni di gas climalteranti sarebbe stata necessaria una foresta tre volte più grande di Villa Borghese», interviene Cristiana Collu, al vertice di un luogo emblematico nella sfida di convertire i musei in modelli di sostenibilità: una sede storica, nel cuore della Capitale, con consumi di partenza altissimi e un percorso da campioni di consumi a carbon neutral.
Perché i musei non sono “entità statiche, nascoste nei magazzini o intrappolate all’interno di vetrine chiuse. Al contrario, generano nel tempo una complessa rete di relazioni e una forte influenza sulla società civile”, sottolineano Evelina Christillin e Christian Greco, presidente e direttore del Museo Egizio di Torino, nel saggio a quattro mani “Le memorie del futuro” (Einaudi): non sono semplici custodi del passato, cioè, “ma possono trasformarsi in laboratori attivi di innovazione e cambiamento”.
Collu lo conferma: «Nel 2016, Anno internazionale del Turismo sostenibile per lo sviluppo indetto dalla World Tourism Organization, ospitammo un convegno e decidemmo di avviare un piano di ottimizzazione fino al 2025».
Nominano un Energy manager. Avviano la realizzazione di una centrale termoelettrica, migliorano l’illuminazione dei locali con un impianto a led, sostituiscono i lucernari esistenti. E i risultati non tardano: dall’agosto dello stesso anno la Galleria ottiene la certificazione Iso 50001, con risparmi energetici considerevoli ed emissioni di CO2 azzerate. «Nel 2019 siamo stati il primo museo storico in Europa a ottenere questa certificazione; il Louvre è arrivato dopo, nel 2020. Oggi per tutta la sfida è di creare un nuovo paradigma di priorità e fare la nostra parte. Anche i musei inquinano, ma la consapevolezza di ciò è aumentata. E io credo che ognuno debba fare la propria parte. Solo che, anche quando siamo pronti a prenderci responsabilità, a un certo punto ci sentiamo inefficaci, lenti, frustrati: perché servono cambiamenti strutturali. Per richiederli con forza bisogna avere la convinzione che le cose possano cambiare. Che siamo ancora in tempo».
La Galleria ospita attualmente la collettiva “Hot Spot. Caring for a burning world” a cura di Gerardo Mosquera: 26 artisti da tutto il mondo raccontano l’emergenza climatica e la possibilità, appunto, di fronteggiarla. «Quello che fa la mostra, e che ha fatto silenziosamente il museo prima, è proporre una possibilità: un orizzonte non apocalittico. La mostra dice che esiste l’utopia, intesa alla maniera di Walt Disney però, come sogno che si avvera (“se si può pensare si può fare”). L’utopia è una parola poco usata, che invece dovremmo tutti recuperare: perché è il territorio della possibilità. Il futuro è compromesso, certo, ma non del tutto: è ancora territorio di progetto», sottolinea Collu, che parla di attivismo estetico: bellezza non disgiunta dalle urgenze della contemporaneità.
I musei sono, oggi più che mai, agorà dentro le quali passano memorie e vita. Oggi possono rappresentare hub centrali nell’adozione di buone pratiche ecologiche. La pandemia, del resto, ridefinendo il rapporto tra gli spazi che abitiamo e il nostro benessere, e dimostrando drammaticamente l’interrelazione tra i viventi e la loro impronta sul pianeta, ha accelerato la necessità di ripensare i luoghi fisici. E la crisi energetica di questi mesi ha ribadito la necessità di ridurre consumi e sprechi. Come notano diversi saggi sull’argomento: “The future of the museum” (Hatje Cantz Verlag) di Andras Szanto, dialoghi con direttori internazionali sul potenziale dei musei nel promuovere pratiche virtuose; “La nuova museologia. Le opportunità nell’incertezza. Verso uno sviluppo sostenibile” di Domenico Piraina e Maurizio Vanni (Celid) su come le piattaforme museali possano ispirare nuovi stili di vita e nuove forme dell’abitare. E come indirettamente propone il filosofo Emanuele Coccia (“Filosofia della casa”, “Metamorfosi”) invitando a riscoprire il valore delle “pietre”: pietre modificate, testimoni di vita, modelli che forgiano la vita di oggi. Pietre come memorie che esprimono la biografia dell’uomo. E, oggi, anche le sue preoccupazioni.
«Action speaks louder è una frase che mi piace ripetere: bisogna agire al più presto, e farlo sapere. Perché, come diceva Marie von Ebner-Eschenbach, quando arriva il tempo in cui si potrebbe è finito quello in cui si può», aggiunge Collu.
Come proseguirà l’impegno della Gnam? «Il processo è avviato e certificato. Lo integreremo con lucernari che funzionano come fossero pannelli fotovoltaici, completeremo l’illuminazione a led, potenzieremo l’isolamento delle pareti con finestre che confinano con l’esterno…». Il cambio di passo per integrare cultura e sostenibilità è segnato. Anche dal punto di vista teorico: il 24 agosto 2022, all’Assemblea generale di ICOM a Praga, è stata approvata una nuova definizione di museo, che esplicitamente richiama l’impegno per la Terra: “Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità”. Gli esempi, nel mondo, sono tanti: dal Museo Quai Branly di Parigi, che accoglie i visitatori con un muro vegetale, da un progetto di Jean Nouvel, alla California Academy Science di San Francisco, modello nella promozione di cultura verde.
Guai, però, a dare l’impegno per scontato: «Tutto dipende da quanto si sente l’urgenza di un cambiamento. Per me lo era. Molti si stanno avvicinando ora all’idea di una rivoluzione sostenibile. Ovviamente ci sono musei giovani che si strutturano in partenza con tecnologie innovative». Più delicata, e faticosa, è la riconversione dei grandi musei storici. E le polemiche sul fronte delle sponsorizzazioni? «È sempre complicato per i musei fare a meno del denaro degli sponsor, ma è anche vero che la sensibilità generale non può più ammettere il green washing».
E se la filantropia tossica è smascherata, l’ecoattivismo finisce proprio per sottolineare il ruolo centrale dei musei nella rivoluzione necessaria: «Il museo è un luogo culturalmente iconico, protestare all’interno con azioni eclatanti come quelle che abbiamo visto è sicuramente un modo per attirare l’attenzione. Naturalmente è esecrabile e deve essere respinto. Tuttavia deve anche essere compreso: se la modalità è sbagliata, il principio è corretto e ci riguarda tutti», dice Collu: «E soprattutto riguarda i giovani, cioè quelli ai quali stiamo rubando il futuro e a cui dovremmo restituirlo. Che strumenti hanno i ragazzi, non avendo ancora il potere di prendere decisioni? Io non li giustifico, però non posso non comprenderli, perché sono genitore, perché sono stata anch’io giovane, e perché sento la loro grande preoccupazione verso la Terra che riceveranno in eredità: non sarà semplice il futuro. Per questo abbiamo ancora di più la responsabilità di raccontare quello che stiamo facendo, mostrando di stare dalla loro parte».