Centosessanta ore in mezzo al mare. Centosessanta ore schiacciato fra bambini cullati da mamme disperate, fra anziani, esseri umani infreddoliti che pregavano ognuno il proprio Dio, mentre il pericolo di non farcela allontanava sempre di più la speranza di raggiungere illesi una terra libera.
Remon Karam ha solo quattordici anni quando abbandona il suo Paese, l’Egitto, il 6 luglio 2013. Suo cugino era stato ammazzato davanti alla Chiesa dove pregava, sua madre era stata colpita con delle pietre lanciate per intimorirla, i suoi insegnanti lo picchiavano perché non riusciva a imparare a memoria il Corano. E così, lui, cristiano copto, per poter professare la sua fede, per poter studiare e realizzare i suoi sogni, decide di accodarsi a un gruppo di migranti e fuggire. Per cinque giorni viene sequestrato dagli scafisti in attesa di un riscatto da parte della famiglia che, in quel momento, pur di non farlo morire, vende velocemente tutto ciò che possiede.
«In barca per dissetarci ci davano piccoli sorsi di acqua, razionandola nei tappi di plastica sporchi di benzina. Era così nauseante che non ci veniva voglia di bere. Il riso veniva cotto con l’acqua salata del mare e ho trascorso le prime notti bagnato dalle onde gelide del mare».
Remon riesce ad arrivare in Italia, a Portopalo di Capo Passero, ma qui diventa solo un numero: il novantadue. Resta tale per molto tempo nel centro di accoglienza travolto da liti, fughe, impossibilità di comunicare fra culture e lingue differenti. Una sola volta, dopo un mese, un ragazzo somalo gli presta un telefono cellulare con cui chiama sua madre per avvisarla di essere vivo, ma quella telefonata è solo uno scambio di lacrime e singhiozzi.
Poi accade un miracolo quando incontra una coppia italiana: Marilena e Carmelo che per quindici anni avevano provato ad adottare un bambino italiano, senza riuscirci. Non ci pensano troppo quando lo conoscono: «Eravamo destinati a lui». Carmelo, per fargli imparare l’italiano velocemente e poterlo iscrivere a scuola, ricopre i mobili e gli oggetti di casa con foglietti adesivi con la traduzione in italiano (e in siciliano per farlo divertire). Remon è sveglio, impara in fretta e si sente amato come un figlio, non importa se di sangue o di cuore.
«Qualche volta, di notte, immagino il mio ritorno in Egitto. Immagino di fare una sorpresa ai miei genitori, bussare alla loro porta, anzi fischiare e scoprire che mia madre sa ancora distinguere il fischio di suo figlio, come quando ero bambino, e dire: ce l’ho fatta! Sono diventato l’uomo che sognavate?»
Oggi Remon ha 23 anni, ha realizzato il suo sogno. Si è laureato in Lingue e culture moderne all’Università Kore di Enna, dove è anche rappresentante degli studenti al consiglio dei Garanti, e ha incontrato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al quale ha dedicato il suo amore per l’Italia e l’università. Sogna di diventare ambasciatore e di «rappresentare i diritti degli ultimi».
«Sogno un’Italia che non sia ferita dall’individualismo, spaventata da chi sembra diverso. Capace di accogliere chi la ama, indipendentemente dal colore della pelle o dall’orientamento sessuale e libera da ogni pregiudizio. Ma soprattutto sogno un mondo dove non si debba più fuggire dal proprio Paese per trovare una vita migliore e vivere da esseri umani liberi».