Il caso
Per i cannabis shop i sequestri senza motivo sono diventati una routine
Il decreto che vieta gli oli a base di CBD, stoppato dal Tar del Lazio, è diventato l'ultimo pretesto per gli interventi delle forze dell'ordine. Che poi si risolvono in un nulla di fatto. Ora gli imprenditori del settore alzano la voce: «Ci stanno uccidendo»
«Le forze dell’ordine si stanno basando su articoli di giornale che fanno confusione, sequestrando qualsiasi cosa. Io stesso sono riuscito a bloccare tre sequestri mettendomi in contatto con la Guardia di Finanza». A denunciarlo è Mattia Cusani di Canapa Sativa Italia, un’associazione nazionale di settore che si sta muovendo per fermare definitivamente il decreto che ha reso illegale la vendita dell’olio di CBD. «Si sta danneggiando la nostra stessa economia, fatta di aziende e di famiglie».
Secondo i dati di Canapa Sativa Italia, da gennaio a luglio dell'ultimo anno ci sono già stati 250 sequestri. E dal 22 settembre, quando è entrato in vigore il decreto che stabilisce che il CBD (il cannabidiolo) è una sostanza stupefacente, la sensazione è che quel numero sia in aumento. Da quel giorno sono iniziate anche le operazioni che, giustificate dal documento, hanno colpito indiscriminatamente anche prodotti non menzionati, in particolare le infiorescenze di canapa e di prodotti cosmetici contenenti CBD, di fatto leciti. Perché solo i prodotti a base di CBD per uso orale rientrano nel documento formato dal ministro della Salute Schillaci e che si pone contro le evidenze scientifiche: il CBD è infatti una molecola non psicotropa che non crea dipendenza, contenuta nella pianta di cannabis.
«Ho un negozio di vendita al dettaglio di prodotti a base di CBD, aperto dal 2016, ma se andiamo avanti così rischiamo di chiudere - si sfoga un libero professionista della provincia di Venezia che vuole rimanere anonimo per paura di ripercussioni. - Ho avuto un sequestro due settimane fa, proprio dopo il decreto: hanno preso tutto quello in cui c’era scritto CBD, anche i liquidi per sigaretta elettronica che non sono a uso orale ma a inalazione, gli oli per cani e gatti che secondo normativa europea si possono vendere perché sono un prodotto alimentare per animali. Poi ci sono anche gli oli CBD cosmetici che si possono vendere: per fortuna non li avevo o me li avrebbero sequestrati. E infine quattro cinque chili di infiorescenze». Inoltre è stato sequestrato anche l’olio CBD che l’uomo aveva ritirato dalla vendita e messo in magazzino aspettando che il fornitore lo ritirasse.
Lo stesso è successo a un altro imprenditore, che oltre a un’azienda agricola in Abruzzo ha diversi punti vendita: «Sono venuti alle sette del mattino e sono rimasti fino alle tre del pomeriggio: quindici agenti che hanno mal interpretato il decreto. Abbiamo provato a spiegarlo ma non ci hanno ascoltati - spiega l’uomo che vuole restare anonimo per proteggere la sua azienda - così hanno preso il CBD in essiccazione giustificando che è per uso orale: ma non è così, si inala. Sono un imprenditore, ma ti trattano in altro modo, abbiamo speso e dato tanto per questo settore. Non solo il danno economico, ma veniamo messi in discussione come imprenditori e a livello morale. Ormai sono anni che non dormo più», conclude l'uomo che racconta come i suoi negozi forniscono a circa a 600 pazienti alternative a medicine con effetti collaterali maggiori: «Ho 70 clienti affetti da Parkinson, 50 che hanno la fibromialgia, e poi epilessia, sindrome di Tourette, le patologie più gravi».
«Mi sembra incredibile debba rimanere anonimo per paura che lo Stato si accanisca contro di me e la mia azienda - racconta un altro imprenditore del Piemonte che chiede che la sua identità non venga diffusa - ho aperto l’azienda commerciale nel 2020, subito dopo il decreto abbiamo subito il sequestro di tre chili di infiorescenze. Così colpiscono piccoli imprenditori, che vendono il prodotto anche all’estero e che con le piantagioni modificano in meglio il territorio, prima abbandonato. Questa è una guerra al logoramento».
«Sono molte le aziende che ci stanno contattando, perché subiscono sequestri, che certo avvenivano anche prima, ma ora c’è anche la scusa di questo decreto - commenta Lorenzo Simonetti, avvocato specializzato in reati in materia di stupefacenti - il 90 per cento di quelli che gestiamo si risolvono positivamente - ottenendo in alcuni casi la restituzione del prodotto già nelle indagini - però nel frattempo le aziende spendono soldi, perdono tempo e non hanno la garanzia che il prodotto non si deteriori».
Le operazioni sono continuate anche dopo la sospensione da parte del Tar del Lazio, interpellato dalle associazioni di settore: ad esempio in Piemonte o in Umbria dove le forze dell’ordine si sono giustificate che non valesse per tutte le regioni. «Smaschereremo questo imbroglio istituzionale per salvaguardare la libertà personale e d’impresa - spiega Claudio Miglio, avvocato esperto della materia, che con Simonetti ha uno studio - Innanzitutto focalizzandoci sull’irragionevolezza tecnica della valutazione del CBD, slegata dagli studi scientifici». L’udienza è il 24 ottobre, data in cui scade la sospensione voluta dal Tar del Lazio, ma si naviga a vista, non si sa cosa succederà dopo e il settore è sempre più incerto.