Le origini di Benevento. L’Argentina. L’amicizia con Enrico Rava e il rivoluzionario. Gli anni della Nouvelle Vague e “Ultimo tango a Parigi”. Aneddoti e curiosità in una biografia

Dalle Ande agli Appennini, ecco il racconto “Gato Barbieri: una biografia dall’Italia tra jazz, pop e cinema” scritta dal musicista genovese Andrea Polinelli per Artdigiland, casa editrice specializzata in arte e spettacolo. Una mattina del settembre 1962 Leandro Barbieri (1932-2016), detto El Gato, con la moglie Michelle Sorrentino e la piccola Rochelle, figlia di lei, salgono sul transatlantico “Salta”. Il nome è indicativo perché per il jazzista italo-argentino è un vero salto nel buio. Ha in tasca un indirizzo, quello del regista Gianni Amico che agli inizi degli anni Sessanta lo ascoltò suonare al Festival di Mar del Plata e lo stimolò a raggiungere la terra atavica (la famiglia era originaria di Benevento).

 

La promessa venne mantenuta e Gato Barbieri divenne uno dei più noti sassofonisti in attività negli anni cosiddetti della Nouvelle Vague. Sia a Roma sia nella casa estiva di Manarola, Gianni Amico e la moglie Fiorella Giovannelli fecero entrare Gato in quel circolo composto da Bernardo Bertolucci con la moglie Claire Peploe, Enzo Ungari, Marco Melani, Arnaldo Bagnasco, Gianni Barcelloni, Adriano Aprà, Enrico Rava, Francesco Tullio Altan e la moglie Mara, gli esuli brasiliani Gustavo Dahl, Paulo César Saraceni, Glauber Rocha e la moglie Paula. Come mai quel soprannome così originale? Lo raccontò lui stesso a un quotidiano: «Siccome lavoravo contemporaneamente in diversi club, correvo di qua e di là per le strade di Buenos Aires col mio sax in spalla. Barone, un flautista di Colón, mi diceva: “Mi sembri un gatto che va da una parte all’altra”. Ricordo che all’epoca Michelle già frequentava l’ambiente jazz porteño. A lei piacque e da allora è rimasto».

 

Fu Gato a spingere Enrico Rava, dopo un concerto a Chivasso, a lanciarsi nella professione: «Poche settimane dopo – scrive Rava - mi telefona da Roma. Ci sarebbe da fare una settimana in un club. Mi interessa? Lascio tutto e parto per Roma. Da quel giorno la mia vita cambia completamente e diventa qualcosa che vale la pena vivere. Sono passati ormai sessant’anni da quella sera, ma ricordo ancora ogni parola di Gato e da allora non passa giorno senza che io lo pensi e lo ringrazi». Da lì nasce il sodalizio Gato Barbieri-Enrico Rava Quintet che porterà a eventi indimenticabili come il concerto del 2004 al Teatro Giuseppe Verdi per il Gorizia Jazz Festival, il concerto a Umbria Jazz del 2011, il mega tour dal 2001 al 2004. Ma fondamentali furono anche i rapporti professionali con Antonello Venditti e Danilo Rea che descrive così la sua musica: «L’evoluzione di Gato è stata piuttosto logica: prima suonava sugli accordi e poi, come tutti i musicisti, si è stufato di suonare sugli accordi e ha iniziato a suonare fuori dagli accordi, però sempre sugli accordi. Insomma, un modo per liberarsi della gabbia accordale e strutturale. Aveva una concezione musicale che andava oltre l’armonia. Mi disse: “Non ti preoccupare dell’armonia, tu fa tutto quello che ti pare che io ti volo sopra, io volo sopra a quello che fai e ci rivediamo poi alla fine!” Questa frase così bella ti dà un po’ la dimensione del suo modo di suonare».

 

Capelli lunghi, occhiali spessi, corpulento, voce pacata, sigaretta in bocca, amico d’infanzia di Che Guevara nella natia Rosario, amante del calcio e del ciclismo, un po’ sbruffone ma assai paziente, pigro e sempre assonnato, dolce ma anche duro, dotato di humour, con una forte esperienza alle spalle, Gato entra subito nel mondo jazzistico italiano in un’epoca in cui andavano di moda le jam session. Il 1° dicembre 1962 fa il suo esordio sul palcoscenico a Milano nel sestetto guidato dal bassista Giorgio Buratti all’insegna di un repertorio dedicato a Charles Mingus per poi avviare un proprio gruppo, New Jazz Quintet, al Festival del Jazz di Saint Vincent. Ormai noto nel settore, è sempre Gianni Amico a offrirgli la possibilità di maggior successo mettendolo in contatto con un suo conterraneo, Gino Paoli, per il quale incide l’assolo del mitico brano “Sapore di sale”. Per lui si aprono strade inaspettate che lo porteranno a variare tra jazz e musica leggera, cinema e televisione. Alla fine della carriera inciderà ben 35 album lasciando una traccia indelebile nelle pellicole di Bernardo Bertolucci, con il quale firma “Prima della rivoluzione” ma soprattutto “Ultimo tango a Parigi”.

 

Nel cinema collaborerà anche con Giuliano Montaldo, Gianni Amico, Alfredo Leonardi, Pier Paolo Pasolini in “Appunti per un’Orestiade africana” e con Marco Ferreri in “Diario di un vizio”, oltre che con Ennio Morricone e Luis Bacalov, concedendosi pure il lusso di fare l’attore nel documentario “Calle 54” di Fernando Trueba, girato nel 2000, dedicato al Latin Jazz. Tra il ’65 e il ’69 Gato si divide tra Roma, Torino, Parigi e, infine, New York, impegnandosi sempre di più nel Free Jazz, portandolo a collaborazioni internazionali e un indimenticabile disco con Don Cherry. Così Barbieri racconta il loro incontro a New York: «Ero partito per l’America da solo, Michelle era rimasta a casa perché non c’erano i soldi per due biglietti d’aereo, e mi trovavo malissimo non sapendo una sola parola d’inglese. Appena siamo arrivati Don Cherry mi ha piantato in un hotel dicendomi: ci vediamo domani. Era l’unica persona che conoscevo a New York». In pieno ’69 il regista brasiliano Glauber Rocha, incontrato a New York, lo sprona a recuperare la sua dimensione latino-americana con l’album “The Third World” che apre il periodo terzomondista. Un’attività intensa interrotta con la scomparsa nel 1995 della moglie Michelle, manager e confidente musicale. Un anno dopo Gato si risposa con Laura da cui nasce nel 1998 il suo unico figlio Christian. Da quel momento Barbieri torna ad esibirsi dal vivo. Il suo ultimo lavoro è datato 2010 e si intitola “New York Meeting” con i vecchi amici Carlos Franzetti, David Finck e Néstor Astarita. “Ho girato il mondo e sono tornato a casa” disse indossando la maglietta del suo club preferito, il Newell’s Old Boys di Rosario.