Editoriale
Giorgia Meloni è al governo da un anno, ma finora ha solo tirato a campare
L’azione dell’esecutivo è fiacca, con gli alleati divisi. Non si può, quindi, dire che la premier abbia segnato un'era per il momento. In ogni caso, avrà tempo per recuperare. Perché senza avversari potrà durare cinque anni
Ci sono state l’era fascista, quella berlusconiana, quella craxiana e mettiamoci pure quella renziana. Lasciando stare la prima per ovvi motivi e per evitare scomodi paragoni, le altre sono state contrassegnate da chi è stato al governo per periodi più o meno lunghi e intorno, in qualche modo, si è creato un modello di Italia che, piaccia o no, ha segnato, appunto, un’era politica. Il craxismo è stato quello della Milano da bere, dell’uomo forte al comando, della potenza economica, della scala mobile tagliata; il berlusconismo ha fatto credere che si potesse vivere la vita come negli spot pubblicitari, ha segnato il dominio della tv e delle leggi ad personam, della scorrettezza istituzionale e anche qualcosa di peggio; il renzismo si è distinto per la rottamazione del partito e dei partiti, per il gigionismo al governo, il giglio magico, il capitombolo referendario dopo aver voluto sparare troppo alto.
Ora tocca a Giorgia Meloni. Dopo un anno di governo si può dire che sia iniziata l’era melonista? Attenzione, melonista e non ancora meloniana, perché per il momento il governo si basa su un sistema più che su un progetto politico. Un sistema familistico (parenti e amici più stretti piazzati nei posti chiave), un tentativo di conquistare posizioni nel terreno della cultura, mai o quasi mai appartenuto alla destra, un sistema di alleanze in Italia e in Europa che spesso si contraddicono o si fanno concorrenza tra loro come quella con la Lega di Matteo Salvini o gli spagnoli di Vox, inadatti a qualsiasi alleanza digeribile dalle cancellerie europee. E poi un’era deve essere un’era, un lasso di tempo che vada oltre i cinque anni e magari lasci le tracce per altri anni ancora, invece siamo solo al primo. Troppo poco.
Giorgia ama mostrare i muscoli. Per esempio, la guerra in Ucraina è scoppiata 19 mesi fa e in questo periodo Meloni non ha mai pronunciato parole come pace, armistizio, trattativa. Un politico di rango si vede proprio dalle sue capacità di trattare. Le piace battere i pugni sul tavolo. Lo ha fatto anche di recente litigando in modo furibondo con il cancelliere tedesco per i finanziamenti alle ong che scaricano migranti sulle coste italiane. Poi ci sono tutte le partite ancora aperte dal Mes al patto di stabilità, alla manovra economica, alla pioggia di bonus che non risolvono niente, ai condoni tanto per tenersi buono qualche grappolo di elettori. Francamente troppo poco per aprire un’era.
Ci vorrà ancora del tempo. Ma la (o il?) presidente del Consiglio ne avrà. Intanto perché durerà cinque anni: mal di pancia degli alleati, pasticci di ministri, rimpasti possibili fanno parte della vita politica di tutti i giorni e ormai Meloni ha imparato a conviverci anche se il mal di pancia viene spesso a lei. Poi ci sono i sondaggi che, a più di un anno dalle elezioni, la tengono su, più forte e più potente che pria, come direbbe un Ettore Petrolini del XXI secolo, mentre i suoi competitori interni sono lì che galleggiano a debita distanza.
Ma soprattutto le manca un avversario che possa davvero metterla in difficoltà. Anzi, Meloni può quasi permettersi di scegliere con chi confrontarsi. E ha scelto Giuseppe Conte, duro in tante situazioni, ma disponibile a trattare su altre (vedi la Rai) e sicuramente più solido in sella nel suo partito di Elly Schlein, che nel Pd è definita da molti «la segretaria in tangenziale», pronta a essere investita dal tir delle Europee e dall’inevitabile (in quel caso) resa dei conti nel partito. Quindi, se Meloni non inciampa nei mercati finanziari, presto inizierà davvero l’era giorgiana. Anche perché, prima o poi, un segno dovrà lasciarlo. Non può continuare a tirare a campare.