Personaggi e interpreti

Il governo taglia le tasse soltanto agli evasori

di Sebastiano Messina   25 marzo 2024

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All'opposizione, Giorgia Meloni prometteva grandi riduzioni delle imposte. Ora, da presidente del Consiglio, s'è resa conto che non sono fattibili. Ma la lotta all'evasione fiscale continua a non essere considerata. Tra tregue, stralci, rottamazioni e condoni di fatto

Le tasse sono sempre state il cavallo di battaglia dei politici. Chi vuole vincere facilmente promette di tagliare le tasse a chi le paga. Chi vuole il voto dei popolari giura che le alzerà solo ai ricchi. Nessuno è così stupido da annunciare che le aumenterà a tutti. È naturale che questo sia uno dei temi cari a Giorgia Meloni, che qualche giorno fa ha voluto mettere le cose in chiaro: «Non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima».

La presidente del Consiglio citava una celebre (e contestata) frase di Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia nel secondo governo Prodi. Era il 2007 e attaccando «l’irresponsabile polemica antitasse», il ministro disse in tv a Lucia Annunziata che «dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione e l’ambiente». Di quella risposta è rimasto nella memoria collettiva solo l’aggettivo infelice («bellissima»), invece di quello inattaccabile («civilissima»). Si capisce che da allora nessuno lo abbia mai più usato.

E a dire la verità nessuno si aspettava che lo facesse la leader di Fratelli d’Italia, che ha fatto del taglio delle tasse il suo pezzo forte. Chiedendo che nella Costituzione fosse inserito «un tetto alle tasse» (2013). Lanciando la battaglia contro «l’oppressione fiscale» (2018). Promettendo «un rivoluzionario taglio delle tasse» (2019). E imperniando la sua campagna elettorale per le Europee di cinque anni fa su quello spot ormai famoso in cui lei fingeva di scoprire al rifornimento quanto incassa il fisco sulla benzina: «Le accise vanno progressivamente abolite; è uno scandalo che le tasse dello Stato compromettano così la nostra economia!».

Belle parole (bellissime, dovremmo dire) finché uno sta all’opposizione. Ma naturalmente quando è arrivata a Palazzo Chigi – ed è toccato a lei affrontare un debito pubblico di quasi tremila miliardi – la premier ha dovuto frenare di botto. A cominciare proprio dal taglio delle accise. Ha spiegato che «il mondo è cambiato», che ora «si fanno i conti con la realtà», che «la situazione emergenziale ci impone di fare alcune scelte» (e infatti un litro di super, che nel 2019 costava 1,48 euro, oggi ne costa 1,85). Era prevedibile, e giusto, che il compito di governare il Paese la spingesse a vedere la questione da un altro punto di vista.

Purtroppo lei, dopo avere preso atto che non si possono tagliare le tasse (la sua sbandierata riforma non è affatto «rivoluzionaria», visto che taglia solo 20 euro al mese e non a tutti), si è guardata bene dal riconsiderare la vera questione-chiave, ovvero l’evasione fiscale. E invece di combattere a muso duro gli evasori che campano sulle spalle dei contribuenti onesti, il governo ha lanciato in questa direzione segnali tutt’altro che rassicuranti. Ha annunciato tregue fiscali. Ha varato stralci e rottamazioni delle cartelle. Ha concesso agli autonomi il concordato preventivo senza accertamenti. Ha allungato a sette e perfino a dieci anni la rateizzazione delle tasse non pagate. E ora annuncia che chi riesce a non pagare entro cinque anni la cartella esattoriale la farà franca, perché il credito sarà cancellato automaticamente.

Per il partito dei «patrioti» doveva diventare un imperativo categorico premiare gli italiani onesti e punire i furbi. Ma purtroppo aveva ragione George Orwell: «Nessuno è patriottico quando si tratta di pagare le tasse».