Perché Friends è una serie invecchiata bene (che bisogna rivedere)

Matthew Perry
Matthew Perry

È vero che la sit-com è rinchiusa in una bolla atemporale di ragazzi bianchi, etero e privilegiati. Ma al tempo stesso sembra scritta domani. E quei sei sono diventati un po’ anche amici nostri. Come dimostra il dolore condiviso provato per la morte di Matthew Perry

È difficile invecchiare bene. C’è chi combatte il passare dei tempo aggrappandosi con le unghie al passato, chi si imbeve di astio insofferente per il peso dell’età e chi invece se ne fa semplicemente una ragione. E in questo caso vince su tutti. Ecco, la sensazione che lascia “Friends” è esattamente questa: una sit-com invecchiata bene. Che non significa attuale, contemporanea, credibile. Anzi al contrario, “Friends” è la serie più fuori dal tempo che si ricordi, una bolla irresistibile lasciata galleggiare nelle tazze dei caffè del Central Perk, un iperuranio in cui si lavora pochissimo, la privacy non esiste, le pettinature sono un’ossessione e il mondo reale è lasciato rigorosamente fuori dalla porta. Praticamente un soprammobile, che in quanto tale, dove lo metti sta. Ma è il tuo soprammobile. Quello che ti porti dietro in ogni trasloco anche se cambi arredamento e guai a chi lo lascia cadere per sbaglio. 

 

La creatura di David Crane e Marta Kauffman ha debuttato sulla Nbc nell’autunno del 1994 e per un decennio ha avuto dai 25 ai 30 milioni di spettatori a settimana. L’ultimo episodio invece, oltre 52 milioni. Cinquantadue milioni di persone incollati davanti alla televisione, in tempi in cui lo streaming non era neppure una parola considerata, Internet un perfetto sconosciuto, e dalle piattaforme al massimo ci si tuffava. Poi nel 2014 Netflix comprò la serie per cinque anni. Ma alla scadenza, si scatenò una protesta tale degli utenti che il colosso dovette desistere per lasciare il titolo in bella vista, dove campeggia in classifica ancora oggi. 

 

Certo, con la sensibilità odierna tante sfumature fanno storcere il naso, un gruppo di amici bianchi, privilegiati, lievemente omofobi, grassofobici e pervasi da un’ignoranza diffusa. Ma al tempo stesso in quel mondo rarefatto creato in tempi lontani si raccontano cose che sembrano scritte domani: la parità di genere regna sovrana, il padre di Chandler è una persona trans, la prima moglie di Ross è lesbica, Phoebe presta il suo utero al fratello per concepire i suoi tre gemelli, Rachel molla il fidanzato all’altare, Monica non si sognerebbe mai di lasciare il lavoro per seguire il marito e gli abbracci sono il motore immobile che frantuma ogni ansia di virilità esposta ad ogni costo. 

 

Letture diverse che coesistono con serenità, a dimostrazione del fatto, più unico che raro che quei sei amici sono diventati anche amici nostri, i nostri compagni di viaggio, i compagni che sbagliano ma a cui si vuole bene lo stesso. Per questo vale la pena riguardare “Friends”. E quando passa Matthew Perry ricacciare indietro le lacrime e chiedersi: chissà se sarebbe invecchiato bene.

 

DA GUARDARE 
È tornata la “Conferenza stampa”, il delizioso programma in cui i ragazzi intervistano personaggi di vario genere e numero: Carlo Conti, Pietro Castellitto, Matteo Paolillo, Angelina Mango e così via. Dieci puntate (pochine) e visibili solo su RaiPlay. Però, come direbbe Nino Frassica, che bello che bello che bello.

 

MA ANCHE NO
La notizia ha dell’incredibile: Simona Ventura e Mara Venier hanno fatto finalmente pace. L’abbraccio si è consumato in diretta negli studi di “Domenica in”. Il pubblico applaude, la stampa gongola e la domanda resta attaccata alla punta della lingua: chissà cosa ne pensa il Grande Capo Estiqaatsi.

L'edicola

Le radici culturali dell'Europa, antidoto al caos

Contro la crisi identitaria del Continente non c’è che uno sbocco: la riaffermazione dei valori comuni

La copertina del decimo numero: "Vieni avanti, straniero".