Il periodo delle Feste è sempre più problematico. Il consumismo ci ha rubato il senso profondo di questo giorno, mentre le riunioni familiari a cui siamo costretti si trasformano in sedute di psicoterapia

Cari lettori, anche questa settimana il mondo non è cambiato, né migliorato. E lui è qui. Lui chi? Il Natale. Nel mentre? Il mondo fa quello che può, l’essere umano pure. E noi? A un mese dal giorno fatidico dell’anno, il natale laico (sia mai che lo cristianizziamo in questi tempi di attenzione a non dare noia alle minoranze), si sa che è tempo di bilanci. Siamo appena usciti dal trauma di settembre – il grado zero del lavoratore, quello in cui mette via sandali e ombrelloni e si prepara mesto a tornare a produrre – che già entriamo nel trauma natalizio; periodo clou dell’anno per gli psicoterapeuti (lo so che non ci credete, ma è così).

 

Perché la riunione familiare incombente mette tutti in agitazione. Per gli scapoli ci sarà il classico «E tu quando ti sposi?» che si conficcherà come una inestraibile Excalibur nei petti pieni di tagliatelle e ci rimarrà per mesi, quando attoniti continueranno a chiedersi guardando le coppiette: «E io quando mi sposo? Ce la farò entro Natale?». Non va meglio agli sposati, con la scelta del pranzo a casa della madre di lui o di lei e con conseguenti frecciatine: «Dillo a tua madre» o «Ah, se tuo marito dice così». Brrr… E ai soli? Dio abbia pietà di loro che osservano felici tutti gli altri, affetti da drammi, sì, ma con qualcosa da raccontare a qualcuno.

 

C’era un film bellissimo che si chiamava “Benvenuti in casa Gori”, con un giovane Massimo Ceccherini e il fu Carlo Monni, in cui il Natale in una normale famiglia di provincia si rivelava un crogiuolo di piccoli drammi nascosti. Tradimenti, segreti, non detti, follie varie, insomma le solite cose, quelle che sappiamo bene esserci in ogni famiglia. Alla fine forse il Natale ci mette in crisi solo perché dobbiamo mostrarci veramente ai nostri cari, di cui evitiamo il giudizio per il resto dell’anno. Però ne abbiamo tutti così bisogno. Anzitutto per quel poco di ferie, poi per un minimo di abbraccio caldo attorno al focolare; perché anche se per pochissimo, la magia del Natale ci fa addolcire. Si fa un regalo a un amico, si riceve un bel messaggio, magari si incontra pure qualcuno, si mangia e si beve, ci sono un sacco di dolci, l’albero e il presepe. Per un attimo ci si ferma.

 

Certo, uno deve saper resistere, distrarsi. Il consumismo ce l’ha rubata questa festa, quindi non fatevi infastidire troppo dal natale commerciale che già da settimane vi martella con i centri città addobbati e le vetrine allestite per spillarvi soldi. Non cedete ai falsi sconti che vi compaiono su Facebook o su Instagram! Non fate diventare anche il regalo una piccola ansia. Fate un Natale non commerciale, regalate qualcosa di vostro a cui tenete a una persona a cui tenete, non scervellatevi.

 

Il Natale è come tutti i drammi, ne dovete parlare il meno possibile. Va vissuto in prima persona, dovete attraversarlo come Giucas Casella fa con i carboni ardenti, in fin dei conti è una prova di nervi collettiva, un’esperienza che potete decidere se debba fortificarvi o annichilirvi. Io ne scrivo oggi che mancano venti giorni, poi mi prometto di non farlo mai più fino al prossimo anno. Fatevi forza, tra venti giorni ci saremo tolti il dente e potremo cominciare a pensare al prossimo grande evento sabbatico italiano: il Festival di Sanremo, anch’esso rito collettivo, laico ma spirituale, popolare ma trascendente, vissuto da tutti con contrasti enormi. E quello non ha manco il panettone.