Il caso
Centomila firme per costringere le donne ad ascoltare il battito del feto: la legge dei Pro-Vita arriva in Parlamento
La proposta è sostenuta dai gruppi ultra conservatori ed è solo l'ultimo passo della campagna contro il diritto di scelta delle donne sul proprio corpo. Ma, proclami a parte, ha poche possibilità di diventare norma. Serve più a lanciare un segnale politico alla Destra
«Col suo corpo può fare quel che vuole. Col corpo di suo figlio no», il commento porta la firma dell'ex senatore leghista, cacciatore di streghe, Simone Pillon, ed è la sintesi della proposta di legge di iniziativa popolare lanciata dai gruppi anti-scelta che ha raccolto più di centomila firme. Una donna con il proprio corpo può fare quello che vuole, ma per impedirle di abortire i medici saranno obbligati a far sentire alla paziente il battito del feto. La pratica è considerata da Amnesty International «un passo indietro», paragonabile a una tortura.
Oggi Pro-Vita tenta di ribaltare il senso comune e renderla legale in Italia. Centoseimila firme (ne bastavano la metà) raccolte nei Comuni guidati da Lega e Fdi e nelle parrocchie, nonostante il parere contrario della CEI («Nessuno ha intenzione di rimettere in discussione la 194» è stata la risposta del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana). Nessuno, tranne i gruppi anti-scelta che puntano a modificare la legge 194. «Il medico che effettua la visita che precede l'IVG - si legge nel testo - è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso». Solo dopo questi due passaggi si potrebbe poi abortire.
L'iniziativa era partita da Giorgio Celsi, l’infermiere milanese presidente dell’associazione Ora et labora in difesa della vita per l’abolizione della 194. E segue un pensiero lineare: l’aborto è un assassinio e deve essere sempre vietato. Adottata e spinta dall'associazione Pro-Vita E Famiglia, ricalca la legge ungherese dove l'aborto è ormai ritenuto un crimine. Umiliare, intimidire e infantilizzare chi sceglie volontariamente di interrompere una gravidanza, il tutto attraverso un monitor a ultrasuoni imposto è una pratica estesa anche negli Stati Uniti. Nel 2021 il Texas ha approvato la misura conosciuta come "Heartbeat Bill" proibendo l’aborto una volta rilevato il battito cardiaco del feto. In Italia arriva sotto il nome "Un cuore che batte". Benché, come ha scritto il BMJ-British Medical Journal, nella fase iniziale della gravidanza quando si verifica la maggior parte degli aborti, i feti non abbiano ancora un cuore funzionante ma solo gruppi di cellule che inviano segnali elettrici. Il suono del “battito cardiaco” è generato dal monitor a ultrasuoni per rappresentare questi impulsi elettrici e quindi non è un suono di valvole cardiache. Anche per questo l'Acog, American College for obstetricians and gynecologists, riferimento mondiale dei ginecologi, ha più volte ribadito che il termine “battito cardiaco del feto” non è accurato dal punto di vista medico.
La proposta lanciata con toni trionfanti dai gruppi anti-scelta è pronta però a scontrarsi contro diversi limiti. Storici: dal 1979 a oggi, su più 260 proposte venute dai cittadini, non se ne trova una che abbia ottenuto il placet delle due Aule e sia finita in Gazzetta Ufficiale. A eccezione di tre diventate leggi (risalgono rispettivamente al 1983, 1992 e 2000), solamente perché perché accorpate in Testi Unificati con proposte di iniziativa parlamentare o governativa. E qui arriva l'argine politico: la pdl dovrebbe essere presa in carico da un parlamentare, scelta che andrebbe a scontrarsi tuttavia con il volere della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che più volte ha ribadito: la legge 194 non si tocca. I limiti dal punto etico risiedono nel fatto che ogni medico sa che nessun atto diagnostico o terapeutico può essere praticato senza il consenso del soggetto, e mai contro il suo volere. Ma i cardini dell'etica non spesso incontrano quelli della vita reale: in passato le attiviste di ‘Obiezione Respinta‘, il collettivo transfemminista che ha l'obiettivo di contrastare la pratica dell'obiezione di coscienza in Italia insieme alla pagina ‘Ivg ho abortito e sto benissimo', hanno lanciato una campagna chiedendo alle donne di raccontare le loro esperienze di violenza ginecologica e ostetrica, svelando l'entità di un fenomeno sotterraneo ma comune che attraversa l'Italia intera: Umbria, Emilia-Romagna fino in Veneto.
La proposta di Pro-Vita sembra dunque destinata al cassetto, anzi al cestino. Ma quelle centoseimila firme somigliano più a un segnale lanciato al Governo, o meglio alla ministra della Famiglia, della natalità e delle pari opportunità Eugenia Roccella, negli ultimi mesi dagli antiabortisti più subìta che amata per via di un rosario di polemiche e annunci che nei mesi sono riusciti a gonfiare un’agenda fatta di pagine bianche: nessun azione concreta per limitare l'aborto. Una prova di forza, tutta interna alla nuova destra anti-scelta che abbandonando feti di plastica e rosari, vuole governare l'agenda parlamentare insieme al corpo delle donne.