L’inflazione corre, i salari si muovono appena. Nell’Italia che viaggia sul filo della crescita zero, ma forse schiverà la recessione, aumenta di mese in mese il divario tra il costo della vita e il reddito dei lavoratori. Lo sa bene il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che sabato 5 febbraio, davanti a una platea di manager e politici riuniti per l’annuale assemblea del Forex, ha usato parole ancora più prudenti del solito: «Bisogna bilanciare il rischio di una ricalibrazione troppo graduale con quello di un inasprimento eccessivo delle condizioni monetarie».
In sostanza, la Bce dovrebbe limitare allo stretto indispensabile i prossimi aumenti dei tassi d’interesse, perché l’eccessivo costo del denaro può dare il colpo di grazia a crescita economica già debole. Questo il messaggio di Visco indirizzato alla Banca centrale europea. Il governatore, però, chiama in causa anche le parti sociali, che dovrebbero - dice - adottare «decisioni responsabili». In caso contrario, l’aumento delle retribuzioni finirà per consolidare le aspettative di nuovi incrementi dei prezzi, innescando una spirale negativa che manderebbe fuori controllo l’inflazione. L’Italia ha già affrontato una tempesta di questo tipo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso. Adesso però, dati e statistiche descrivono uno scenario molto diverso da quello di quei tempi lontani. E non solo perché, a differenza di allora, non esiste più uno strumento di politica economica come la scala mobile che indicizzava automaticamente i salari all’andamento del costo della vita.
Il fatto è che nel nostro Paese il reddito reale dei lavoratori dipendenti viaggia da tempo in ribasso e accumula ritardo rispetto al treno dei prezzi. Il rapporto dell’Ilo (International Labour Organization), pubblicato poche settimane fa, rivela che in Italia le retribuzioni al netto dell’inflazione sono diminuite del 12 per cento rispetto al 2008. Un trend negativo che tra i grandi paesi industrializzati del G20 è comune solo a Regno Unito (meno quattro per cento) e Giappone (meno due per cento). Nello stesso arco di tempo, per dire, l’aumento supera il cinque per cento in Francia, mentre in Germania siamo ben oltre il dieci per cento.
Se si restringe l’analisi al periodo post pandemia, la situazione non cambia, anzi. Nel corso del 2022, quando il costo della vita ha preso il volo come mai era successo negli ultimi 40 anni, i rinnovi contrattuali siglati dalle più diverse categorie di lavoratori hanno spuntato adeguamenti men che modesti dei salari. A questo proposito, uno studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) segnala che nel 2022 la variazione media delle paghe non è andata oltre un incremento dell’1,1 rispetto al 2021, quando la crescita aveva fatto segnare uno striminzito più 0,6 per cento. Secondo l’Upb, anche nei prossimi due anni i redditi da lavoro dipendenti cresceranno al massimo del 2,3 per cento. A un ritmo, quindi, nettamente inferiore a quello dell’inflazione, che nelle previsioni della quasi totalità degli analisti, e anche della Bce, dovrebbe avvicinarsi al 2 per cento non prima del 2025. Nel frattempo, però, è la conclusione dell’Upb, la perdita di potere d’acquisto dei lavoratori «sarà rilevante» e andrà ad aggiungersi a quella accumulata negli ultimi due decenni.
Alla luce di questi dati, pare improbabile che l’inflazione riparta al seguito delle retribuzioni. Lo stesso Visco, nel suo discorso al Forex, ha spiegato che nell’intera area dell’euro, «non emergono segnali di avvio di una spirale tra prezzi e salari». Al momento solo i redditi dei pensionati sono protetti da un meccanismo che allinea l’assegno mensile alla crescita dell’indice del costo della vita. E infatti, dopo che l’anno appena trascorso ha fatto segnare un’inflazione che superiore all’8 per cento, nel 2023 le pensioni fino a quattro volte il minimo sono destinate ad aumentare del 7,3 per effetto di un’indicizzazione fissata per legge. Il tasso di rivalutazione sarà invece inferiore per le rendite più ricche, sulla base di un sistema a scaglioni.
Il paracadute costerà caro alle casse pubbliche. Nella legge di bilancio di quest’anno, la spesa pensionistica dovrebbe aumentare di oltre 20 miliardi, superando i 320 miliardi complessivi, oltre il 16 per cento del Pil. Il governo si è anche impegnato a varare nuove misure per compensare il caro energia dopo i 21 miliardi già stanziati per il trimestre che finirà a marzo. Con il prezzo del gas, e quindi anche dell’elettricità, in deciso calo nelle prime settimane dell’anno, l’esborso per lo Stato è destinato a diminuire. «La politica fiscale resta espansiva», commenta Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo. «E si muove in direzione contraria rispetto alla politica monetaria della Bce, che almeno nei prossimi mesi, ridurrà ancora la liquidità con nuovi ritocchi al rialzo dei tassi». È questa la contraddizione di fondo che da mesi oppone i governi europei alla Banca Centrale Europea. Con una sostanziale differenza tra l’Italia e altri Paesi come la Germania. Mentre Roma deve fare i conti con un debito pubblico da decenni al livello di guardia, il gruppo degli Stati nordici guidato da Berlino può permettersi manovre supplementari da decine di miliardi di euro per far fronte all’emergenza inflazione e al rallentamento della crescita economica.
Non è una sorpresa allora, se dall’esecutivo di Giorgia Meloni siano più volte partiti appelli in direzione di Francoforte per allentare le maglie della politica monetaria. «Ma - prevede De Felice - l’inflazione è destinata a rientrare molto lentamente. Nelle nostre previsioni l’obiettivo del 2 per cento a cui mira la Bce non verrà raggiunto prima del 2025». Difficile, quindi, attendersi ribassi nei tassi nel breve termine quando il costo della vita nell’area dell’euro viaggia ancora, in base all’ultima rilevazione di gennaio, intorno all’8,5 per cento. Certo, i prezzi si stanno raffreddando. A dicembre, in Europa, l’indice segnava un incremento del 9,2 per cento su base annuale. Nonostante i forti ribassi delle tariffe energetiche, l’alta marea del caro vita si ritira lentamente, senza strappi, e l’Italia, in particolare, deve ancora fare i conti con un’inflazione più alta rispetto ai principali partner Ue. L’aumento rilevato dall’Istat per il mese scorso sfiora l’11 per cento (10,9), se misurato secondo parametri armonizzati con quelli europei. In Francia siamo al 7 per cento, in Spagna al 5,8. «Per i prossimi mesi prevedo ancora tensioni sui prezzi», dice Marco Pedroni, presidente di Coop Italia. Secondo il manager alla guida di uno dei colossi italiani della grande distribuzione, «solo nella seconda metà dell’anno» si potrà assistere un primo assestamento dei listini.
Già partire dall’autunno, oltre a petrolio e gas, anche i metalli e tutte le principali materie prime agricole, dai cereali, allo zucchero fino al caffè, hanno fatto segnare cospicui ribassi sui mercati internazionali. Le quotazioni restano però su valori superiori a quelli di un anno fa. È ancora presto, quindi, per attendersi una netta inversione di tendenza.
Già nel corso del 2021, per difendere le proprie quote di mercato, i supermercati hanno adeguato solo in parte i prezzi. I clienti però hanno comunque ridotto gli acquisti, o si sono orientati su prodotti meno costosi. E infatti la spesa delle famiglie, prevede l’Ufficio parlamentare di bilancio, crescerà solo dell’1 per cento quest’anno. Sempre di più, però, gli acquisti saranno finanziati con i risparmi accantonati in banca. È questo il prezzo da pagare all’inflazione, una tassa occulta che si aggiunge a tutte le altre.