Stati Uniti
La strage di Waco di trent’anni fa è una delle fondamenta del complottismo americano
Il 28 febbraio 1993 gli agenti dell’Fbi circondano una comunità di davidiani vicino alla città texana. Cercano armi. L’assedio termina ad aprile, con una carneficina. E alimenta ancora oggi teorie antigovernative
Cominciò con una perquisizione. Un gruppo di agenti federali che bussano a una porta, un mattino del 1993, in cerca di un deposito di armi possedute illegalmente. O meglio, cominciò con un’enorme quantità di armi accumulate in una fattoria su una collina. O forse è ancora meglio dire che cominciò con decine e decine di persone, membri di una setta cristiana, che si sentivano minacciate. Si preparavano a uno scontro biblico con le forze di Babilonia.
Quanto successe nei dintorni di Waco, in Texas, non è solo una storia di trent’anni fa. È un punto d’incontro tra elementi attualissimi, temi sensibili del nostro presente: la paura della cospirazione e l’ossessione statunitense per le armi. C’è anche la gestione sbagliata della forza da parte dell’autorità, ma per essere attuale avrebbe dovuto rivolgersi contro gli afroamericani.
Invece i davidiani erano bianchi, facevano vita comunitaria in Texas e prendevano le mosse dalla Chiesa cristiana avventista del settimo giorno. Il nome derivava da David d’Israele, il movimento si era costituito nel 1955 e il suo quartier generale era il Mount Carmel Center, una proprietà di circa 30 ettari. E con il nome di David Koresh, un carismatico predicatore, leader del movimento da alcuni anni, è rimasto nella Storia attraverso questa storia.
Dunque, una squadra di agenti federali si presenta alla fattoria con un mandato di perquisizione per rinvenire armi e sostanze esplosive. Si pensa che la setta abbia messo su un vero e proprio arsenale. Koresh, d’altronde, profetizza l’imminenza della fine del mondo e invita a tenersi pronti a una battaglia finale. Poche ore prima, il giornale locale Waco Tribune-Herald ha pubblicato un’inchiesta sulla pedofilia all’interno del centro.
È il 28 febbraio 1993, da poche settimane Bill Clinton è il nuovo presidente in carica. La perquisizione dei federali si trasforma in una sparatoria e restano uccisi quattro agenti e sei davidiani. I seguaci del culto, uomini e donne di ogni età, sotto la guida spirituale e materiale di Koresh, si barricano nella fattoria. Sono verosimilmente 119 persone e tra loro ci sono bambini. Ha inizio un assedio che durerà quasi due mesi.
Il Mount Carmel Center è circondato, l’Fbi taglia qualunque via di fuga. Qualcosa come 600 agenti vengono impiegati nell’operazione. Intorno al ranch volano elicotteri, si dispiegano mezzi pesanti, addirittura carri armati. È coinvolta anche l’unità d’élite antiterroristica della Delta Force. Il mondo intero segue l’assedio, per lunghe settimane, attraverso le cronache dei giornali e le immagini televisive.
Si susseguono confronti tra i rappresentanti del governo e Koresh, si tratta: 35 persone vengono fatte uscire, ma altre 84 restano asserragliate. I giorni passano, la situazione rimane in stallo, la resa dei davidiani non arriva. Il clima è sempre più teso. Poi, il 19 aprile, la negoziazione viene considerata fallita e la donna a capo del dipartimento di Giustizia, Janet Reno, dà ordine di intervenire.
Ciò che accade nelle ore seguenti non smetterà di animare le fantasie antigovernative negli Stati Uniti fino al nostro presente. I fatti di Waco verranno presi come una dimostrazione della fondatezza delle teorie cospirative. Diventeranno un simbolo del conflitto tra la libertà individuale e lo Stato, il potere, il sistema. L’esempio principale si darà nel 1995, quando l’ex militare Timothy McVeigh farà saltare in aria un edificio federale a Oklahoma City, uccidendo 168 persone. Durante il processo, McVeigh spiegherà il rapporto della sua azione con i fatti di Waco, aggiungendo: «Abbiamo restituito al governo quello che ci aveva dato».
Nel 2021, il giovane statunitense Fi Duong, vicino a movimenti di ultradestra, verrà arrestato in seguito all’assalto a Capitol Hill e trovato in possesso di Ak-47, pistole e materiale esplosivo. Secondo il dipartimento di Giustizia, Duong è tormentato dall’ipotesi di una stretta sulle armi private da parte della presidenza Biden. Sempre secondo il dipartimento, Duong ha confidato a un informatore sotto copertura che se la polizia avesse provato a togliergli le armi, casa sua sarebbe diventata una nuova Waco. I davidiani non resteranno i soli, insomma, a identificare le forze di Babilonia con lo Stato che irrompe nella loro proprietà.
L’assedio si conclude nel fuoco, il 19 aprile 1993. I federali intervengono con gas lacrimogeno, ma in quantità evidentemente eccessive: il Mount Carmel Center si incendia. Molti cospirazionisti non vedranno un errore, ma una volontà. Nodi di fumo si sollevano nella giornata fredda e ventosa, esplodono edifici. Ciò che succede all’interno non verrà mai chiarito del tutto. In ogni caso è una strage: i sopravvissuti sono appena nove e a restare uccisi sono in 75, tra i quali Koresh. All’interno del ranch sono rinvenute centinaia di armi, compresi Ak-47 e munizioni anticarro. Di certo, in molti muoiono nel fuoco e altri si sparano per andare più rapidamente incontro alla morte. Uno dei superstiti dichiarerà a Time che a sparare sono stati anche i federali, entrati nella fattoria incendiata, ma l’Fbi negherà sempre.
Forse è qui il seme più resistente tra quelli piantati sulla collina vicino a Waco. Nella sospensione tra l’approccio critico alla versione ufficiale e la sospettosità da disturbo paranoide. Una sospensione che spesso ha un sapore metallico, negli Stati Uniti, dove oggi il numero di armi in circolazione è superiore a quello degli abitanti.