La piccola repubblica teme l’offensiva per la sua posizione strategica. La Russia ha già gettato un ponte verso la Transnistria e il Paese dipende ancora troppo dal gas di Mosca

Un vento gelido sferza il mercato centrale di Chişinău, la capitale della Moldova, nell’ora di punta il luogo più affollato della città. Nessuno ha voglia di parlarne ma la paura è che, a più di un anno dall’inizio della guerra, un allargamento del conflitto possa coinvolgere questa repubblica di appena due milioni e mezzo di abitanti.

Le notizie che arrivano da Mosca non sono incoraggianti. Il presidente russo Vladimir Putin, infatti, ha cancellato un decreto firmato nel 2012 che in parte sosteneva la sovranità della Moldova nel risolvere la questione territoriale della Transnistria, autoproclamata repubblica che nessuno riconosce. Incastonata tra Ucraina e Moldova, la sua capitale è Tiraspol dove, accanto alla bandiera transnistriana, sventola quella della Federazione russa. Una città pulita, ordinata e apparentemente efficiente che sembra ferma ai primi anni Novanta.

Il decreto del 2012 è stato annullato – si legge nel documento pubblicato sul sito del Cremlino – per «garantire gli interessi nazionali della Russia in relazione ai profondi cambiamenti in atto nelle relazioni internazionali».

 

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La decisione fa parte di una serie di misure anti-occidentali e preoccupa il governo di Chişinău, che spinge per entrare nell’Unione Europea. «È una mossa che non ci aspettavamo, Mosca sta cercando di manipolarci e di intimidirci. Ma nessuno vuole la guerra, tantomeno le autorità della Transnistria con cui stiamo migliorando i rapporti», dice a L’Espresso la ministra dell’Interno moldava Ana Revenco. Che non nasconde le preoccupazioni del rischio di un golpe nel Paese da parte di «sabotatori vicini al Cremlino». «È già successo in passato – spiega –. Utilizzano la crisi energetica per dividere la società e destabilizzare il Paese». Stessa cosa per il vicepresidente del Parlamento Mihail Popșoi, del Partito azione e solidarietà della presidente Maia Sandu: «Vogliono rovesciare il governo democraticamente eletto e creare qui un polo per sostenere gli sforzi militari in Ucraina. Ma non succederà».

La Moldova, però, è in difficoltà: la maggior parte del gas arriva ancora dalla Russia, l’elettricità dalla Transnistria e dall’Ucraina, che, ovviamente, quel poco che ha lo tiene per sé. Le bollette, insieme al malcontento della popolazione alimentato da una pesante propaganda, aumentano bruciando i pochi risparmi dei cittadini. «La guerra ha accelerato i nostri sforzi di diversificazione energetica, ma ci vorranno almeno un paio d’anni», spiega sempre Popșoi. Per questo gli Stati Uniti sarebbero pronti a inviare 300 milioni di dollari per aiutare Chişinău a liberarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia. Un piano di aiuti necessari alla Moldova «per affrontare i bisogni urgenti creati dalla guerra del presidente russo Putin, ma anche a costruire una resilienza energetica a lungo termine e a rafforzare le interconnessioni con l’Europa», si legge nel documento visionato da Reuters. E che Putin potrebbe utilizzare come pretesto per attaccare il Paese, forse nella sempre più esile speranza di creare una continuità territoriale tra Donbass, Crimea e Transnistria.

 

«È veramente difficile capire cosa passa nella mente di Putin. L’unica cosa che ho compreso negli ultimi vent’anni della storia moldava è che è proprio lui ad averci spinto vicino all’Unione europea», il commento di Veaceslav Ioniță, ex parlamentare e analista politico. E ancora: «Noi ovviamente eravamo molto legati alla Russia, ma tutte le sue scelte ci hanno fatto capire che l’Ue è importante: politicamente, socialmente ed economicamente. Solo il gas resta un grande problema». Secondo Ioniță anche la Transnistria non avrebbe alcuna intenzione di appoggiare la Russia. «A Tiraspol ci sono persone leali al Cremlino – dice – ma non tante come dieci anni fa, non tante come credono i russi».

Sul campo però la situazione resta tesa. Dal 1992 vicino a Cobasna, nel nord della Transnistria, si trovano circa 1.500 soldati russi, formalmente in missione di peacekeeping, e un grande deposito di munizioni. Da qui l’allarme su un possibile attacco di Mosca. Il ministero della Difesa russo nega, anzi accusa l’Ucraina di «preparare un’azione militare in Transinistria» sotto falsa bandiera. In uniformi militari russe, insomma, gli ucraini starebbero architettando una scusa per attaccare questa piccola lingua di terra al di là del fiume Nistro. Accuse smentite dalle autorità moldave.

Come in Russia, il 23 febbraio a Tiraspol si è celebrato il Giorno dei difensori della patria. In mattinata qualcuno ha posato dei fiori freschi davanti al monumento ai soldati caduti nella guerra del 1992. Un conflitto che ha sugellato la sua indipendenza dalla Moldova, che qui si ricordano bene. E che non vorrebbero ripetere. Così almeno per Dmitriy. «Non abbiamo bisogno della guerra, non ce la aspettiamo e non ci prepariamo nemmeno. Non abbiamo armi, solo due carri armati arrugginiti», dice mentre gioca a biliardo e fuma una sigaretta dietro l’altra in una bisca vicino alla stazione degli autobus. «Qui vivono bulgari, ucraini, gagauzi, russi e moldavi. Non litighiamo, ci rallegriamo quando c’è il sole e siamo felici di vedere degli italiani nel nostro Paese». Se dovesse scoppiare una guerra, però, Dmitriy non avrebbe dubbi: «La colpa sarebbe della Moldova, della presidente Maia Sandu che vuole combattere».

Gli effetti della propaganda, certo, ma anche Putin non si salva dalle sue critiche: «Non mi piace, sta sbagliando, la guerra non è buona». Lo dice a bassa voce, prima di mettere in buca la palla che chiude la partita.

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