Politica
Il leader del Family Day consulente anti-droga del governo Meloni. «Contrario a ogni legalizzazione»
Voluto fortemente dall’amico sottosegretario della Presidenza del Consiglio Mantovano, Massimo Gandolfini va al dipartimento per le politiche antidroga. Noto per le battaglie contro le Unioni civili e il ddl Zan, è contrario alla distinzione tra droghe leggere e pesanti
È stato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano a chiamare il leader del Family Day, Massimo Gandolfini come consulente del Dipartimento per le politiche antidroga. Mantovano, frequentatore e punto di riferimento del mondo pro-life da sempre, sin dal suo insediamento ha dimostrato di saper piazzare i suoi uomini nei ruoli chiave e nei posti che contano, mentre Gandolfini porta le istanze anti-scelta del Family Day.
Alfredo Mantovano è fondatore del centro Studi Livatino e proprio il centro Studi da tempo è punto di riferimento per il Family Day: insieme costruiscono strategie e iniziative legislative contro l'aborto, contro l'eutanasia, contro i diritti delle coppie gay e lesbiche, delle famiglie arcobaleno e dei loro figli, contro l'educazione di genere e sessuale, contro il supporto e l'accoglienza di bambini e giovani trans. “Contro”, parola fondativa di tutto il movimento. Dalle tavole rotonde contro le unioni civili alla guerra al ddl Zan, Gandolfini e Mantovani si sono sempre trovati uno di fianco all’altro, da buoni amici e compari.
Il nome di Gandolfini non è nuovo alle nomine, mai ricoperte solo accarezzate. Vere o presunte. Fu candidato anche alla presidenza della Repubblica all'inizio del 2022 da alcuni ambienti del suo mondo di attivismo ultracattolico. Nel mese di agosto, invece, il suo nome era scivolato nelle liste dei candidati alle elezioni per Fratelli d’Italia. Rimosso all’ultimo minuto. Benché abbia sempre sostenuto di non avere alcuna velleità politica. Nel 2018 aveva più volte ribadito che il suo ruolo era quello di fare pressione sulla politica perché questa mettesse in agenda i temi del movimento anti-gender e pro-life italiano.
Dagli incontri, raccontati da L’Espresso, con i ministri chiave di questo governo alle poltrone, il passo è stato breve ma felpato. Oggi il neurochirurgo che vorrebbe curare gay e lesbiche dalla loro omosessualità, è pronto a dare il suo contributo alla lotta alle droghe: «Un contributo anche di tipo legislativo». Contrario, naturalmente, a fare distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti: «La sentenza della Cassazione – disse nel 2019 quando la Suprema Corte dichiarò legale la coltivazione per uso personale – banalizza il consumo di droga, inventa un diritto a drogarsi che non ha alcun fondamento giuridico e alimenta una cultura dello sballo e dell’abuso».
Nel 2022 è un autore di “Droga. Le ragioni del no”, un libro edito dalla casa editrice Cantagalli e curato proprio da Alfredo Mantovano. «Il volume illustra gli effetti delle principali sostanze stupefacenti, in particolare dei derivati della cannabis, sul fisico, sul sistema neurologico e sull’equilibrio psichico, facendo riferimento soprattutto agli adolescenti, dimostrando l’improprietà dell’aggettivo “leggera”».
Ancora prima, nel 2019, sono stati diversi gli incontri-scambi tra il leader del Family Day e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di parrocchia in parrocchia.
Un cambio di passo chiaro, fa virare a 180 gradi la politica italiana sulle droghe e archivia la stagione della ex titolare del dossier, Fabiana Dadone, che pur non producendo risultati concreti, aveva tentato di aprire un dialogo sulla legalizzazione della cannabis. A novembre 2021, la ex ministra in quota Movimento 5 stelle aveva convocato la Conferenza nazionale sulle dipendenze, 12 anni dopo l’ultima.
Gandolfini ha attualmente firmato per restare in carica fino a fine anno, nessuno stipendio percepito per questa consulenza. È un segnale, dice lui stesso: «Dal punto di vista politico e culturale rappresento una fetta notevole di persone assolutamente contrarie a ogni legalizzazione». Non le competenze dunque ma il sentimento comune che punta alla criminalità affibbiata ai consumatori di cannabis, l’equiparazione tra droghe pesanti e leggere, il rischio di confusione tra spacciatori e possessori. L'eterno ritorno di una destra fobica che non poteva non manifestarsi con lo Stato Etico meloniano, moralista e intrusivo.