Ovunque nel mondo si combatte. Mentre la diplomazia è afona. Perciò, in occasione della Pasqua, L’Espresso ospita le parole di Francesco. Che indica la strada: il disarmo. A partire dall’Europa, che sembra dimenticare il grande merito di aver garantito 70 anni senza guerre

Siamo felici e orgogliosi che Papa Francesco abbia aderito alla nostra riflessione sulla pace, con un intervento scritto appositamente per L’Espresso. La Pasqua, per cattolici e non cattolici, è unanimemente riconosciuta come il giorno dedicato alla pace. E ci è sembrato giusto costruire l’inchiesta di copertina proprio su questo grande tema, la liberazione del genere umano da tutte le guerre.

Francesco ci ha dato una mano, anche parlando di utopia. In fondo, i grandi obiettivi sono stati raggiunti sempre inseguendo sogni, utopie, traguardi impossibili. E allora perché non provarci? O almeno pensarci? Pensare che un giorno, in tutto il mondo, le armi possano tacere e si possa crescere insieme nella prosperità, nello sviluppo, nella pace.

«Ciò che serve», scrive Francesco su L’Espresso, «è quello che sessant’anni fa san Giovanni XXIII, nell’enciclica Pacem in terris, chiamava “disarmo integrale”: al criterio dell’assenza di guerra che si regge sull’equilibrio degli armamenti dobbiamo sostituire il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Capisco che a qualche orecchio queste parole possano sembrare utopistiche, specialmente in questo momento. Ma non è utopia, è sano realismo: solo fermando la corsa agli armamenti, che sottrae risorse da impiegare per combattere la fame e la sete e per garantire cure mediche a chi non ne ha, potremo scongiurare l’auto-distruzione della nostra umanità».

Dal sogno pacifista alla possibilità pacifista. Massimo Cacciari nel suo articolo propone una soluzione. Auspica un patto per la pace sancito da trattati internazionali, per quanto possibile vincolanti, dove le potenze che lo sottoscrivono trovino davvero soddisfatti i propri interessi. D’altra parte, le guerre si fanno proprio per questi: se vengono soddisfatti pacificamente la motivazione bellica viene a cadere. Nella guerra c’è l’interesse di parte, nella pace ci sono gli interessi di tutti. E proprio in nome di tutti, la cosa migliore sarebbe un intervento dell’Onu, ma la complessità dei suoi equilibri, lo rende spesso un ambasciatore afono.

Una volta, almeno una volta, la pace era una bandiera della sinistra. Non c’era discorso, intervento, comizio, che non contenesse un passaggio sulla pace. Oggi la sinistra sembra essersi dimenticata della sua storia. Perché si è fatto crescere di intensità il conflitto tra Russia e Ucraina per poi armarsi tutti fino ai denti? Forse c’era più interesse a fare la guerra che a fare la pace?

Ovunque, nel mondo, si combatte. Per una linea di confine, per le terre rare, per le fonti energetiche, per motivi etnici o religiosi. Da tante parti ci sono conflitti latenti pronti a esplodere alla prima scintilla. Uno dei pregi maggiori dell’Unione Europea è di essere riuscita a tenere in pace per oltre 70 anni i suoi Stati membri e a farci credere che la pace fosse un diritto acquisito. Ma con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il riaffacciarsi della guerra a due passi da casa ci si è accorti che non è così.

In Europa gli Stati stanziano nei loro bilanci cifre sempre più grandi per gli armamenti; russi, cinesi e americani l’arte della guerra e il prepararsi a essa ce l’hanno nel loro Dna storico. Almeno noi europei, che abbiamo conosciuto le guerre più tremende, non buttiamo via il nostro passato recente e il nostro futuro di pace. Riprendiamo le battaglie ideali combattute sulle parole delle canzoni di John Lennon, Bob Dylan o Joan Baez. Non importa se le note contro la guerra oggi appaiono stonate in un mondo dove la musica la suona il cannone. Il disco della pace non si è ancora rotto.