Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan si erano avvicinati alla Cina. Ora la guerra li riporta verso Mosca. Per ragioni soprattutto economiche

È stato un grande colpo di pubbliche relazioni dello “zar” Putin la partecipazione dei leader dei paesi dell’Asia ex sovietica alla parata del giorno della vittoria a Mosca, lo scorso 9 maggio. Gli autocrati o simili degli “Stan”, ossia Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan erano lì a testimoniare l’aumentata influenza della Russia nel proprio cortile e a fornire un pilastro al messaggio imperialista del dittatore russo, mostrando apertamente la realtà della propria dipendenza dal Cremlino.

 

Al contrario dello scorso anno, quando l’invasione dell’Ucraina era in corso da nemmeno tre mesi, Vladimir Putin era dunque in compagnia e, per giunta, proprio degli attori tra i più importanti dell’Eurasia. Questa enorme parte del globo è, del resto, al centro del nuovo “concetto di politica estera” della Russia, pubblicato il 31 marzo scorso.

 

Un documento che individua l’Eurasia come una regione chiave per lo sviluppo russo, amplificando e in parte rivedendo la rotta tracciata dalla precedente “visione” datata 2016.

 

Il problema è che questa area costituisce anche un dirimente asse per la politica estera della Cina, intenta a costruire un collegamento terrestre tra l’Asia e l’Europa, parzialmente già compromesso dalle conseguenze della guerra di Putin contro l’Occidente su cui Pechino tiene ancora una posizione ambigua.

 

Sia la Cina sia la Russia stanno infatti spingendo per una più profonda integrazione dei Paesi eurasiatici come parte del loro sforzo per costruire un blocco Brics di mercati emergenti non allineati che siano indipendenti dall’influenza o dal controllo occidentale.

 

Dopo quasi un anno e mezzo di guerra sanguinosa, gli “Stan” sembrano dunque aver cambiato strada allontanandosi ancora di più, anche se per brevi periodi (presumibilmente) dalla Cina, allo scopo di riavvicinarsi alla federazione russa. A meno che l’apparizione all’unisono dei loro “condottieri” sul palco della piazza Rossa sia stato un esempio di quel che si dice, banalmente, «fare di necessità virtù». Se è vero che i leader di Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan hanno fatto trapelare o dichiarato di confidare nella mediazione cinese per istituire un tavolo di negoziati per la pace, sanno che non avverrà in tempi brevi. In questo lasso indefinito di tempo, tanto vale, quindi, continuare a godere dei “benefici” della guerra.

 

Il commercio tra i vari Stati dell’Asia centrale e la Russia continua a crescere grazie alla guerra: una manna assolutamente necessaria per le loro economie dissestate nonostante la ricchezza di risorse naturali preziose. La regione è ormai diventata un’importante via di transito per merci proibite che entrano in Russia.

 

Alla luce di quanto avvenuto il 9 maggio, lo strategico documento reso noto il 31 marzo pare stia dando i suoi primi frutti.

 

La visione russa del futuro dell’Eurasia mostra alcuni cambiamenti concettuali rispetto al 2016 in cui si distingueva tra una regione eurasiatica (riferendosi, approssimativamente, allo spazio un tempo occupato dall’Unione Sovietica a eccezione dei Paesi baltici) e una regione dell’Asia-Pacifico. Nei capitoli dedicati al continente eurasiatico, questo viene ora trattato nel suo insieme. I riferimenti all’Eurasia comprendono tutta l’Europa, l’India, la Cina e l’Asia-Pacifico.

 

Un disegno che, come si riflette nel documento, trae anche ispirazione dagli scritti degli eurasisti degli anni ’20, un gruppo di intellettuali, ammirati da Putin, che credevano che l’impronta geografica della Russia sia in Europa sia in Asia contribuisse a rendere il Paese una potenza unica. Nel 2012, Putin ha definito l’Eurasiatismo «una tradizione del nostro pensiero politico» che ora ha una nuova risonanza. Coerentemente con tale visione, il documento descrive la Russia come una «civiltà statale distintiva», una «potenza eurasiatica ed euro-pacifica», il centro del «mondo russo» e l’unico «centro sovrano dello sviluppo globale» nella parte della massa terrestre eurasiatica un tempo occupata dall’Impero russo e dall’Unione Sovietica.

 

Il documento di marzo afferma inoltre che la Russia svolge un ruolo chiave nella sicurezza dell’Eurasia e, di conseguenza, si opporrà allo «spiegamento o al rafforzamento delle infrastrutture militari di Stati ostili e ad altre minacce alla sicurezza» in questa fetta del pianeta.

 

Un’altra novità è la promessa di «uno spazio economico e politico integrato in Eurasia». Il Cremlino spera di creare, insomma, legami economici e politici più forti nella regione facendo leva innanzitutto sull’ampia gamma di organizzazioni internazionali che già legano i Paesi in questione.

 

Il concetto riconosce altri «centri di potere globali sovrani» nella più ampia massa terrestre eurasiatica: vale a dire Cina e India. Caratterizza Pechino come «partner strategico globale» di Mosca e Nuova Delhi come «partner strategico privilegiato», segnalando l’importanza che il Cremlino attribuisce alle cordiali relazioni con entrambi. Mosca ha utilizzato entrambe le formulazioni in passato ma, d’ora in poi, si aspetta che queste connessioni diventino ancora più forti. Il principale raggruppamento internazionale esistente in questa parte del mondo è l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco), un’organizzazione politica, economica e di sicurezza internazionale i cui Stati membri includono Cina, India, Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan.

 

Resta da vedere come la visione putiniana di un’Eurasia in versione monolite da controllare attraverso una strategia unificata si concilierà con le ambizione del Dragone.