Giornate divise tra relax e computer. A Milano o su un’isola, in Salento o nelle tappe di un giro del mondo. È la nuova formula dei nomadi digitali che portano in villeggiatura la professione. E il mondo del turismo se li contende

Il nome è brutto ma chiaro: “workation”, crasi di work e vacation. Vuol dire che un po’ lavori, un po’ ti godi la vacanza. Formula ibrida, cui ha aperto la strada la rivoluzione di modi e tempi di lavoro generata dalla pandemia. Non va confusa con smart working o telelavoro: non si lavora da casa ma da posti di vacanza, che si tratti di città desiderabili in Italia o all’estero, oppure mare o montagna.

Un sogno che però non è concesso a tutti: perché è riservato a chi fa lavori che possano essere svolti da remoto; perché non tutti i datori di lavoro ne sono entusiasti e molto dipende dalle capacità individuali di contrattazione; perché richiede disciplina e organizzazione affinché funzioni, tanto più se coinvolge la famiglia, e se va male è una piccola catastrofe professional-personale. Non basta controllare la qualità del mare scelto, fondamentale è anche quella del wi-fi. Una vacanza vera è un’altra cosa, conciliare mail e mojito non sempre riesce.

Però la workation tenta. Tantissimo. Secondo un report Deloitte sulle tendenze nel turismo, chi è a favore tenderà a viaggiare il doppio di chi preferisce vacanze tradizionali (da 2 a 4 viaggi l’anno). Non a caso una compagnia inglese di viaggi, Kayak, ha ideato il Work from Wherever Index (https://www.kayak.co.uk/work-from-wherever/rank), classifica dei migliori posti da cui lavorare nel mondo, che nel 2022 vedeva in testa Portogallo e Spagna.

Società come Smace (https://www.smace.com/) si specializzano in hybrid working e creano esperienze per interi team, workation.com promette di «portare il tuo lavoro in posti incredibili» e disegna soluzioni per single, coppie, famiglie e gruppi. In Piemonte, Workation Village (https://www.theworkationvillage.com/) offre ritiri ed esperienze off-site per gruppi di lavoro, tra spazi di coworking e panorami spettacolari. Un mondo nuovo si muove intorno ai crescenti bisogni, tecnologici e turistici, del popolo irrequieto dei nomadi digitali.

«Sono persone giovani ma non giovanissime, con buona posizione lavorativa e capacità di spesa. A Milano cercano appartamenti piacevoli non lontani dal centro, tra giugno e settembre, per un mese o 45 giorni, raramente 2 mesi», interviene Roberto Canova, booking manager di Novecento Case, società per affitti. «L’anno scorso si è rivolta a noi una coppia di ragazzi americani sui trent’anni (lavoravano per una multinazionale e potevano farlo da remoto), che ha scelto di vivere in giro per il mondo: 6 mesi in un posto, 3 in un altro e così via. Arrivavano da mesi nel sud-est asiatico e volevano fare una workation a Milano di 40 giorni, poi si sarebbero spostati altrove in Europa».

Un ragazzo italiano che vive in Germania, prosegue Canova, da tre anni viene in estate nel capoluogo per due mesi in workation: qui ha amici, la città gli piace, gli consente di conciliare divertimento e lavoro. «Quest’estate abbiamo accolto anche una giovane famiglia portoghese, genitori under 40 e bimba: lavorano durante la settimana, nel weekend esplorano i dintorni o altre regioni. Milano piace agli stranieri, è vicina a tanti posti piacevoli, è comoda, ci arrivi da Linate, Malpensa, Orio al Serio. Ci si trovano senza troppe difficoltà persone che parlano inglese, i trasporti funzionano, ha poi un suo piccolo ambiente cosmopolita che li fa sentire a casa, qui sono tanti gli stranieri residenti». Le richieste? Al primo posto, una connessione internet eccellente, con fibra, «molti chiedono uno speed test per valutarne la qualità. Poi, che ci sia almeno una postazione da lavoro, una scrivania, un tavolo che non sia quello del pranzo. Non molto altro, e chi fa questa esperienza quasi sempre la ripete. Per molti diventa un modo di vivere».

Gli italiani, invece, per le workation si orientano su luoghi di villeggiatura. Come Maria Licci, fondatrice dell’agenzia omonima di comunicazioni e “nomad Pr”, come si definisce scherzosamente. Sta facendo 15 giorni di workation in Salento: casa in affitto con studiolo, call con l’ufficio e relax, famiglia e riunioni online. Maria ha un’esperienza robusta di lavoro da remoto, perché da pochi anni ha deciso di lasciare Milano e le tante ore in ufficio e si è trasferita a Venice, California: se sei riuscita a organizzare workflow, riunioni, appuntamenti con clienti e consulenti nonostante 9 ore di differenza con l’Italia, lavorare dalla Puglia è una passeggiata. «Basta poter contare su alcuni strumenti mentali e professionali. Il mio team e io lavoriamo su documenti condivisi, che via via si arricchiscono. Uno strumento di archiviazione dati efficace, tipo Google Drive o Dropbox, è indispensabile, bisogna investire in abbonamenti a servizi di storage online. Ma quello che è realmente fondamentale è la disciplina personale. Appena alzato devi metterti in ordine come faresti normalmente. La routine va mantenuta, o ti adagi. La workation non funziona se resti in ciabatte. Certo, la tentazione è forte, “tanto non mi vede nessuno”. Ma è questione di pulizia mentale, ne guadagni in lucidità se ti comporti “come se”. Da questo punto di vista non è per tutti, serve capacità di darsi regole».

Maria si è preoccupata in primis di avere una connessione internet impeccabile. Conta poi su alcune app, da quella che consente di fare scansioni e invio di documenti dal telefonino a Imprint: «Mi fornisce utilissime “pillole” su come organizzarmi al meglio, darmi priorità, perfino gestire l’ansia. Il lavoro ti resta in testa, hai scadenze da rispettare, fai il bagno in mare e ti viene in mente quello che ancora non hai fatto, metti la sveglia presto per lavorare quando non ci sono altre persone intorno. Io mi sono data un ritmo piuttosto preciso: appeno apro gli occhi guardo le Pec, perché possono contenere cose importanti, poi metto via il telefonino e in genere fino alle 14 non guardo mail. A quel punto lo faccio e decido le priorità: cosa delegare a chi nel team, fissare gli appuntamenti, scrivere o controllare comunicati, chiedere o dare riscontri. In genere faccio subito tutto quello che penso di poter fare in massimo due minuti, il resto lo programmo per dopo. Sbrigate queste cose, mi godo il mare fino alle 18. Dalle 18 alle 20, di nuovo lavoro. Insomma, si può fare. Sono favorevole alla workation, del resto, anche quando ne vogliono usufruire i miei dipendenti: per un datore di lavoro è un po’ penalizzante non avere le persone in ufficio ma se ne guadagna in fedeltà - per me cruciale. Ho bisogno di continuità per lavorare con selezionati, importanti clienti, che richiedono referenti costanti. Se i miei dipendenti sono contenti io mi stresso meno e non devo formare nuove persone».

Puglia anche per Piero Cerofolini, 38 anni, manager di Boston Scientific basato a Dubai, dove si occupa di mercati emergenti seguendo 97 Paesi. «Il mio lavoro mi consente flessibilità quasi totale, lavoro spesso da remoto, a patto di avere uno spazio tranquillo, anche piccolo, dove niente mi disturbi», spiega: «Ora sono qui con i bambini e i nonni, questa vacation fa bene anche alla mia salute mentale. Mi alzo presto perché interagisco con l’Asia, faccio in quegli orari call e riunioni, poi dalle 16 mi godo mare, famiglia, amici». Da millennial, chiarisce, nella sua scala di priorità la flessibilità sul lavoro precede il guadagno. «Tra un’azienda che offre molto denaro ma poca libertà e una che invece mi dia garanzie di flessibilità su luoghi e tempi di lavoro preferirò sempre la seconda».

Piero lavorerà dalla Puglia circa due mesi e mezzo, poi di nuovo a Dubai. Tornerà in workation a dicembre e gennaio. Perché le cose funzionino, però, servono alcune caratteristiche, per Cerofolini. La capacità di rispettare gli obiettivi prefissi nei tempi prestabiliti, qualunque sia il luogo. E autonomia, disciplina, capacità di risolvere problemi. «Ci sono persone che invece hanno bisogno di essere seguite in tutto, vogliono continuamente essere indirizzate e rassicurate da capi e colleghi, richiedono una specie di babysitting professionale: questa modalità non fa per loro».