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15 dicembre, 2025L'attivista ha avuto una breve telefonata con la famiglia, in cui ha "sottolineato che non sa nemmeno quale autorità di sicurezza la stia attualmente detenendo e che non le è stata data alcuna spiegazione al riguardo"
La premio Nobel per la Pace, l’iraniana Narges Mohammadi, era stata prelevata e portata via in un posto segreto lo scorso 12 dicembre durante la commemorazione dell’avvocato per i diritti umani, Khosrow Alikordi, morto sette giorni prima in circostanze sospette. Secondo i testimoni sarebbe stata picchiata dalle forze di sicurezza di Teheran. Ora, la versione viene confermata anche dalla famiglia tramite un post sui social della fondazione Narges Mohammadi, secondo cui l’attivista iraniana “non sta bene” ed è stata ''portata in ospedale due volte'' dopo essere stata arrestata “con violenza”.
"Narges Mohammadi ha avuto un colloquio telefonico'' con la famiglia ieri sera - 14 dicembre - e nella telefonata raccontato che “l'intensità delle percosse subite era così forte, violenta e ripetuta che è stata portata al pronto soccorso due volte”, spiega la Fondazione con un post su X. “Le sue condizioni fisiche al momento della telefonata non erano buone e sembrava non stare bene”, prosegue il post. Mohammadi "ha sottolineato che non sa nemmeno quale autorità di sicurezza la stia attualmente detenendo e che non le è stata data alcuna spiegazione al riguardo. Le sue condizioni fisiche al momento della telefonata non erano buone e sembrava stare male", riferisce ancora la fondazione nel post, aggiungendo che "ha chiesto al suo team legale di presentare immediatamente e senza indugio una denuncia formale contro l'organismo di sicurezza che la detiene e per il modo violento con cui è stata arrestata"
La fondazione ha anche dichiarato che Mohammadi sarebbe stata accusata di “collaborazione con Israele” e di aver ricevuto negli scorsi mesi minacce di morte dai pasdaran. Mohammadi aveva lasciato il carcere di Evin a dicembre del 2024, dopo essere stata condannata a più di 13 anni di carcere per quelle che il regime degli ayatollah ritiene attività di propaganda contro il Paese. All’appello per chiedere il “rilascio immediato e incondizionato” della Nobel per la Pace nelle ultime ore si è unito anche il regista iraniano pluripremiato, Jafar Panahi. Anche lui conoscitore del carcere di Evin - è stato lì dal 2022 al 2023 - e a inizio dicembre ri-condannato a un ulteriore anno di prigione. Anche lui per “attività di propaganda” contro lo Stato, un atto d’accusa omnibus con cui la Repubblica islamica cerca di strozzare ogni forma di dissenso.
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