Pur sgangherate, le opposizioni hanno centrato un obiettivo con la loro proposta contro il lavoro povero: provare a stare insieme e ritrovare il feeling con la gente. Affrontando i problemi nel mondo reale, dove i diritti solo proclamati non bastano più

All’indomani delle ultime elezioni amministrative, perse dal centrosinistra diviso o quantomeno scollato, lanciammo un appello dalle colonne de L’Espresso. «Care forze di centrosinistra, provate a mettervi insieme su un obiettivo comune. Almeno uno ce l’avrete, no? Magari il salario minimo, cominciate da quello». Non dico che ci abbiano dato retta (nessuno vuole meriti che non ha), ma comunque Pd, Movimento 5 Stelle, Azione e sinistra rosso-verde hanno costruito un cartello delle opposizioni per rivendicare il salario minimo di 9 euro lordi per milioni di lavoratori.

Giorgia Meloni prima ha convocato le opposizioni per discuterne, poi alla vigilia ha detto che, sì, insomma, se ne poteva anche parlare ma era tempo perso. L’incontro (è già tanto che non sia finito a urlacci) infatti non ha prodotto nessun risultato tangibile se non la richiesta di un parere al Cnel, presieduto da Renato Brunetta. Se ne riparlerà tra due mesi: d’altra parte siamo in pieno agosto e dopo le ferie incombe una complicata manovra finanziaria (con vista sulle elezioni europee) in cui ogni uscita dovrà essere misurata con il bilancino.

Francamente è molto difficile che si raggiunga un accordo sui 9 euro perché è una proposta che entra in collisione con Confindustria (le imprese dovrebbero pagare molto di più una parte di lavoratori); con le cooperative, vera potenza non più “rossa” ma economica, che coprono una serie infinita di servizi sia nel pubblico sia nel privato a prezzi concorrenziali grazie proprio agli stipendi bassissimi; con un bel pezzo del sindacato che teme di perdere potere di contrattazione e anche la faccia per i contratti chiusi sotto quella cifra, come quello dei vigilantes.

Una delle motivazioni dei contrari al salario minimo è che guardare solo gli aspetti salariali è come guardare il dito e non la luna laddove, nel loro planetario, il dito sono i 9 euro e la luna i diritti contenuti nel contratto collettivo. Certo: il diritto alle ferie, alla malattia, alla maternità è sacrosanto, ma, se lo stipendio è da fame, in ferie non si va, i soldi per le medicine non ci sono e non si fanno figli perché non ce li si può permettere, i diritti da soli non bastano più. Per una volta sono d’accordo con Pier Ferdinando Casini, secondo cui «il salario minimo non è una questione di destra o di sinistra ma di giustizia ed equità». Interessante anche l’analisi di Carlo Cottarelli nelle pagine che seguono.

Chi vincerà? Difficile fare un pronostico perché per prima cosa ci saranno da trovare le risorse. Le imprese saranno poco disponibili ad accollarsi il totale dei costi e il governo dovrà trovare una soluzione di sgravi o aiuti. E, appunto, il piatto piange. C’è poi l’aspetto politico. Se Giorgia Meloni vuol continuare a togliere la terra sotto i piedi delle opposizioni come ha fatto con il decreto sulla tassa sugli extraprofitti delle banche (anche se poi bisognerà vedere come andrà davvero a finire), un accordo, magari al ribasso o transitorio, si finirà forse per trovarlo ma ci sarà da fare i conti anche con i sindacati rivedendo la legislazione sulla contrattazione collettiva e la rappresentanza ai tavoli delle trattative.

Insomma, sarà dura, ma almeno un obiettivo l’opposizione, pur così sgangherata, l’ha centrato: fare le prove per stare insieme e soprattutto ritrovare il feeling con la gente, vista la gragnola di firme che sta arrivando a favore del provvedimento sul salario minimo. E soprattutto ricominciare ad affrontare i problemi non dentro i salotti, ma dentro la vita reale.