L’Italia a sei euro
I lavoratori italiani sono i più infelici d’Europa e tra i peggio pagati
Di stage in stage, formati, titolati ma con retribuzioni che si riducono a un rimborso spese o con finti tirocini. Gli studi dimostrano che gli under 36 sono distanti anni luce dai loro coetanei europei
Da una parte smart working e nuove tecnologie, dall’altra contratti di lavoro temporanei e tirocini che penalizzano gli under 36. «Ho subito bossing per un anno ma in pieno lockdown non riuscivo a trovare il coraggio di denunciare il mio datore di lavoro e licenziarmi», racconta Roberto, uno dei ragazzi che hanno accettato di farsi intervistare per il report di Gallup, società americana di analisi sullo stato globale del mondo del lavoro. I lavoratori italiani sono i più infelici d’Europa. Sottopagati, bullizzati e anche tristi. Quasi il 30% prova un’intensa sofferenza ed è scettico sulla possibilità di ribaltare la situazione.
Giulia, pur «lavorando in un’accademia per 15 ore al giorno», viene sottopagata e retribuita in nero. E poi c’è Silvia, specializzanda di Medicina: «Nonostante le responsabilità, mi sono stati offerti sei euro l’ora come libera professionista. Si sono giustificati dicendomi che stavano formando i medici del futuro».
Tirocini, ecco la parola chiave per pagare meno del dovuto. Sotterfugi per forza lavoro a basso costo. Il Parlamento Europeo, in una risoluzione dell’8 ottobre 2020, ha condannato la pratica invitando gli Stati membri a porvi rimedio.
Nel 2021 in Italia, secondo l’Agenzia nazionale Politiche attive del lavoro, sono stati attivati 310.638 stage extracurriculari, 2,5 milioni dal 2014. Dal campione analizzato da L’Espresso risulta che per il 42,9% lo stage è stato il primo contratto di lavoro. Spesso destinato a essere replicato: il 60% afferma di essersi imbattuto in almeno uno o due stage e addirittura il 12,5% in tre o quattro. «I tirocini sono spesso un problema, poco formativi e utilizzati per ridurre il costo del lavoro a discapito del lavoratore», spiega Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt, associazione senza fini di lucro che promuove studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e del lavoro. «La regolamentazione dei tirocini è in capo alle Regioni e risulta quindi difficile immaginare a oggi regole uguali per tutti». Tuttavia, sarebbe utile individuare dei correttivi.
«Dopo tre rinnovi di stage all’interno di una prestigiosa azienda mi è stato offerto un ulteriore periodo di stage senza possibilità di crescita», racconta Valentina, alla quale fanno eco le parole di Cecilia che, pur avendo già maturato quattro anni di esperienza, ha ricevuto una proposta di retribuzione di 300 euro per uno stage full time. «Ho provato a chiederne 500 e mi è stato risposto: perché, tu vali 500 euro?».
E, poiché gli abusi non hanno confine, la ricerca Lei (lavoro, equità, inclusione), realizzata da Fondazione Libellula, conferma che una donna su due si dichiara vittima di una manifestazione diretta di molestia e discriminazione sul lavoro.
Altra questione, la durata della gavetta. Un terzo degli intervistati dichiara di aver firmato il primo contratto a tempo determinato o indeterminato tra i 26 e i 28 anni, l’11,6% tra i 29 e i 32 anni e addirittura il 20% di non aver mai firmato nulla del genere. Un ritardo nell’affrancamento dal precariato che si riflette sugli stipendi. Secondo un report dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps, pubblicato lo scorso novembre, nel 2021 in Italia la fascia 20-24 anni ha registrato una retribuzione media annua pari a 9.918 euro – al di sotto della soglia di povertà, che secondo l’Istat è di circa 10.200 euro in un’area metropolitana del Nord Italia – quella 25-29 anni a 15.296 euro e quella 30-34 anni a 18.715 euro.
In sintesi: prima dei 30 anni non si arriva a guadagnare un netto pari ad almeno mille euro. D’altronde, secondo l’Ocse, l’Italia è l’unico Paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990 (-2,90%). E se secondo Eurostat lo stipendio medio in Italia (15.858 euro) per la fascia 18-24 anni è vicino alla media europea di 16.825 euro, tuttavia è il confronto con gli altri Paesi a rivelare il gap. In Germania, per esempio, nella stessa fascia d’età si guadagna mediamente 23.858 euro, in Francia 19.482 euro, nei Paesi Bassi 23.778 euro e in Belgio 25.617 euro. Solo la Spagna ha un reddito medio inferiore: 14.085 euro. Seppur il 90% degli intervistati dichiari di aver conseguito una laurea e il 60,7% di aver continuato gli studi con un master o un corso di specializzazione, più della metà non va oltre 1.600 euro netti al mese. In un contesto, peraltro, in cui il 71,5% dichiara di lavorare da almeno due anni, e in cui solo per le spese fisse mensili (come cibo, bollette, wi-fi e abbonamenti a mezzi pubblici) il 22% afferma di sborsare tra i 300 e i 400 euro, il 13,8% tra i 400 e i 500 euro e il 9,2% tra i 500 e i 600 euro, arrivando anche a punte oltre i 700 euro al mese. Somme a cui va aggiunta la quota d’affitto (nel 50,5% dei casi), inevitabilmente la più sostanziosa.
Non c’è da stupirsi, quindi, se al netto delle spese, i giovani lavoratori italiani si ritrovino con pochi euro al mese da spendere per il resto. Una paghetta con la quale pensare al presente è già un lusso e il futuro una prospettiva inesistente. Bankitalia, del resto, nota che dal 2006 al 2016 la ricchezza degli under 35 si è ridotta di ben sette volte, mentre la natalità si è contratta e nel 2022 ha fatto registrare un nuovo record negativo: -1,9%. «Lavoro e povero» non dovrebbero stare più nella stessa frase. Un utile meme per la Schlein economy.