Giorgia Meloni sa che sulla gestione dei flussi migratori e sulla tenuta dei nostri malmessi conti pubblici è necessario dialogare con l'Ue (e con i mercati internazionali). Al tempo stesso, oscilla tra slogan sovranisti e intemperanze degli alleati

Il Potere, come abbiamo scritto tempo fa, è una Patata (copyright by Dago). Fa appena capolino dalla terra ma sotto ha filamenti e radici forti che vanno in profondità. Senza il consenso della Patata non si governa. Il Potere Europeo è una Grande Patata con filamenti (finanziari) e radici (politiche) che arrivano fino al centro della terra e al cuore degli Stati. Tutti i politici che le sono andati contro sono andati a sbattere. Ora tocca a Giorgia Meloni misurarsi con la Grande Patata europea.

 

All’inizio la (il) Presidente del Consiglio si era barcamenata ripercorrendo le piste del suo predecessore Mario Draghi. Poi però è caduta più volte in tentazione e il suo spiritello antieuropeista è venuto fuori. Ora ha capito che ha bisogno della Grande Patata altrimenti l’Italia rischia di venire soffocata dalla sua mole di debiti e inefficienze che né Giorgia, ma neppure Winston Churchill, visto come sono messi i conti pubblici, riuscirebbero a tirarne fuori le gambe. Così ha provato ad avvicinarsi a Ursula von der Leyen con la passerella di Lampedusa ma la strada europea è lastricata di poche disponibilità. Al di là delle belle parole che in politica non si negano mai a nessuno, soprattutto nelle occasioni ufficiali, sono davvero pochi i Paesi fratelli-coltelli disposti ad accollarsi parte delle pene migratorie dell’Italia. Così Meloni è costretta a lisciare il pelo della presidente della Commissione europea dopo aver detto in più occasioni peste e corna dell’Unione.

 

A tormentare le giornate della premier ci sono sicuramente i conti e la manovra da varare entro fine anno, ma anche, se non soprattutto, i rapporti con gli alleati. Matteo Salvini non perde occasione per mettersi contro l’Europa matrigna e in concorrenza con Meloni, rischiando di far sbandare la locomotiva del governo in vista delle elezioni europee. L’articolo di Susanna Turco racconta con dovizia di particolari questo braccio di ferro. La Grande Patata non è molto disposta a perdonare i discoli italiani.

 

Tant’è che le prime avvisaglie sono già arrivate dalle pagine del Financial Times, la “gazzetta ufficiale” dei mercati finanziari. “La luna di miele è finita”, ha titolato il quotidiano britannico riferendosi al rapporto del governo italiano con i mercati. Mala tempora currunt, direbbero i latini. Le incertezze sulla legge di Bilancio, i ritardi sull’attuazione del Pnrr, il decreto-legge sugli extraprofitti delle banche (contro il quale si è messa di traverso anche la Bce) e persino l’introduzione, poi rimangiata, del cap sul prezzo dei biglietti aerei stanno facendo innervosire gli investitori internazionali. Intanto le grandi banche come Goldman Sachs e Morgan Stanley, stimano che il debito italiano stia andando sotto pressione. Infatti, lo spread tra Btp decennali e Bund è sopra quota 170 punti base per la prima volta dallo scorso giugno, con il rendimento dei Btp intorno al 4,50%, tant’è che Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, ha già cominciato a dire che il costo del debito peserà sulla manovra.

 

Ma sul governo peserà anche il nuovo Patto di Stabilità. Roma chiede più flessibilità, ma ha bisogno di negoziare con Francia e Germania per arrivare a un compromesso che probabilmente porterà a un cedimento sulla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. L’opposizione italiana al Mes, finora, non ha certo contribuito ai buoni rapporti con Bruxelles. Non si sa ancora come finirà questa partita parallela ma così si alimenta il clima di incertezza dei mercati finanziari. E senza il loro appoggio sarà difficile tenere a bada un debito che ormai sfiora i 3 mila miliardi, con rendimenti in ascesa e una crescente necessità di ricorrere a emissioni di titoli per far fronte ai fabbisogni finanziari.