La querelle Battisti Mogol è un’ombra che ha una lunghissima scia, un velo spiacevole che rabbuia purtroppo una delle più splendenti avventure creative della storia della nostra canzone. L’origine di questa astiosa vicenda risale verosimilmente a quei mesi del 1980 che silenziosamente, senza un annuncio ufficiale, decretarono la fine del fortunatissimo binomio. Col tempo vennero fuori beghe poco edificanti, litigi da condominio, e una ufficiale e semplificata giustificazione fornita da Mogol, ancora oggi ribadita, secondo cui il problema, di principio, sarebbe stato legato a una ingiusta ripartizione dei diritti. E fin qui tutto bene, molto poco romantico, ma ci dobbiamo accontentare.
Eppure non dobbiamo dimenticare, soprattutto in questi tempi di fitto revival battistiano che di tutta questa storia noi abbiamo avuto sempre e solo la versione offerta da Mogol perché Battisti aveva scelto il silenzio, assoluto, sempre più rigido e senza alcuna eccezione, lasciando anche in eredità a sua moglie Grazia Letizia Veronese la consegna del silenzio. Battisti voleva che a parlare fosse solo ed esclusivamente la sua musica, non ha mai smentito o confermato alcunché, lasciando che si alimentassero le voci più assurde, compresa la leggenda secondo cui sarebbe stato un finanziatore della destra estrema.
Per questo la lettera aperta scritta dalla signora Battisti a Mogol, uscita in questi giorni, è stata una sorpresa imprevista e scioccante. Mogol ha immediatamente risposto all’accusa di aver mentito sulla presunta lettera che gli avrebbe fatto recapitare negli ultimi giorni di vita, ma questo sembra quasi un dettaglio minimo di fronte all’accusa che francamente ci sembra di gran lunga più forte ovvero quella di eccesso di protagonismo («Lucio è diventato il tuo passepartout…», «Non riesci a staccare il tuo nome dal suo»).
Sta di fatto che sono passati 43 anni dalla fine di quella storia e ancora abbiamo tanto da imparare.